COSTRUIAMO PONTI VERSO I GIOVANI PER COMPRENDERE LA QUESTIONE DEL “GENERE”

Il termine “genere” è polisemico, cioè, può avere diversi significati, tuttavia risulta abbastanza ambiguo, introdotto nel campo della medicina, poi nel femminismo e quindi nella politica, si ha difficoltà a comprenderlo. Ho appena finito di leggere un ottimo pamphlet, “Il Genere, i Giovani e la Chiesa”, (Città Nuova Editrice, 2025; pag. 192; e. 17,90) scritto da Marta Rodriguez Diaz, una giovane docente spagnola di Filosofia del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum e coordinatrice dell’area accademica dell’istituto di studi superiori sulla donna.

Il tema del “Genere” si presta facilmente a “scontro” ideologico, politico, generazionale. Pertanto, la Diaz cerca in tutti i modi di non polarizzare il tema, che non significa trasformare l’errore in verità, ma significa che esistono semi di verità in ogni posizione. Soprattutto la docente ci invita ad ascoltare e comprendere il dolore che c’è anche chi è nell’errore. Il testo comprende XX brevi capitoli e viene visto come un viaggio dell’autrice in questo delicato tema, che ha una sua storia, nato negli anni ’60 ad opera di uno psicologo e sessuologo americano, John Money (1921-2006) che ha fondato la Clinica dell’identità di genere, specializzata nel trattamento delle persone intersessuali e transessuali. Money era convinto che fosse necessario distinguere tra il sesso biologico (quello che riceviamo dalla natura) e il genere, che è invece un risultato culturale e psicologico.

Cosa significa? Per Money avere un corpo maschile o femminile, “non è necessariamente associato a una serie di determinate disposizioni o caratteristiche”. Money per dimostrare che il genere era costruzione interamente sociale, è anche famoso per l’esperimento sui gemelli Bruce e Brian Reimer, ma non mi soffermo sul caso. Poi il termine è sviluppato all’interno del femminismo, la prima a introdurre il termine “genere”, è stata Gayle Rubin, con il suo famoso articolo del 1975, “Lo scambio delle donne. Una rilettura di Marx, Engels, Levi-Strauss e Freud”. Rubin cerca di comprendere perché le donne siano state oppresse in tutte le culture e in tutte le epoche storiche. La risposta starebbe nel “sistema sesso-genere”.

Mascolinità e femminilità, sarebbero frutto della cultura. Pertanto, la Rubin si colloca nel femminismo classico che vuole superare la “tirannia della biologia” e rifiuta che esiste un legame necessario tra biologia, identità e cultura. Poi c’è l’aspetto della politica; il termine “genere” è introdotto nel 1995, nella Conferenza mondiale sulle donne a Pechino. Nel rapporto finale, dopo due settimane di studi, la parola “genere” appare 251 volte. Le femministe si appropriano del termine “genere”, ma gli danno significati diversi. Mentre nel mondo cristiano e pro-vita si diffonde un forte sospetto nei confronti del termine. Soprattutto dopo certe pubblicazioni e qui la Diaz cita un libro che ho letto e presentato nei blog dove collaboro, si tratta di D. O’Leary, La guerra del gender, Rubbettino, 2017.

La Diaz propende perché ci siano più teorie di genere e condanna gli effetti dannosi dell’ideologia del gender. Nel III° capitolo affronta l’argomento sui tanti modi di intendere il genere. Ce ne sono almeno tre grandi, forse anche quattro. Ci sono teorie che esaltano maggiormente la cultura, altre la libertà e altre ancora la biologia. Attenzione, scrive la Diaz, tutti mettono in rilievo aspetti reali, tutti hanno in parte ragione. Pertanto, se vogliamo dialogare veramente “dobbiamo essere disposti a riconoscere il nucleo di verità che esiste in ogni idea, anche nell’errore”. Purtroppo, il problema di queste teorie è che scelgono alcuni elementi e ne tralasciano altri. Enfasi su una parte a dispetto di altre e così cadono nella visione ideologica. Assolutizzano una parte, ignorando il resto. Ecco perché i giovani di oggi sono prigionieri della più totale confusione. Alla fine, la Diaz parla di un vero labirinto dove noi cristiani dovremmo saperci muovere al suo interno. Anzi dovremmo fare un esame di coscienza: non è tutta colpa del ’68. E poi per quale motivo le cose sono diventate così complicate?

Possiamo dire che prima del ’68 funzionava tutto bene? La Diaz pone un quesito interessante se diamo soltanto la colpa alle lobby, ai gruppi di interesse, ai poteri mediatici, l’impossibilità di dialogare con i giovani sui temi come il genere e invece noi adulti non facciamo nessuna autocritica, allora difficilmente si può migliorare. Se riconosciamo che una parte del cambiamento dipende da noi, allora siamo sulla giusta strada. Per la Diaz ci sono state alcune situazioni che hanno reso possibile la diffusione delle ideologie di genere. E qui la docente interroga i genitori, gli educatori, gli adulti in genere, che certamente possono fare qualcosa. La Diaz, intanto, ci invita a rifiutare quel desiderio nostalgico del passato, è una scorciatoia da non prendere in considerazione. Crediamo davvero che prima del ’68 andasse tutto bene? “Se non ci fossero ingiustizie, forse le ideologie non attecchirebbero”. Le femministe sono nate proprio perché c’erano (e ci sono) vere e proprie discriminazioni nei confronti delle donne. Giovanni Paolo II riconobbe chiaramente la causa ultima delle ingiustizie: il peccato originale, che tra l’altro aveva alterato il rapporto originario tra l’uomo e la donna, con conseguenze peggiori proprio per la donna.

E qui che comincia la storia del dominio, molto prima della rivoluzione sessuale. Per la Diaz nel passato, la questione donna era trascurata. Il pensiero cristiano è stato spesso condizionato dai pregiudizi di ciascuna cultura. Si sono formati tanti stereotipi sulla donna, che hanno dato diversi motivi al femminismo di nascere. Una certa pastorale sui temi del matrimonio e della morale sessuale tendeva ad essere negativa. Il sesso era visto come male minore e comunque tollerato in vista della procreazione. Anche la Chiesa è stata contagiata nel corso della Storia da pregiudizi che oggi definiremmo omofobici. La Diaz affrontando il tema dell’omosessualità e la distinzione tra la tendenza e il comportamento, ci ricorda quello che dice il Catechismo su quanti hanno tendenze omosessuali: “devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza”. La Diaz si è permesso di scrivere che la pastorale della Chiesa su questo tema è ancora tutta da sviluppare e che è urgente assumere questo compito. Certo occorre stare attenti a “non confondere l’accoglienza con l’accompagnamento dovuto a questi figli della Chiesa con la giustificazione morale del comportamento omosessuale, o con la benedizione delle coppie dello stesso sesso”. Non bisogna fare confusione con la natura del matrimonio. Diaz accenna alla Dichiarazione Fiducia supplicans dove non si intende dare alcun tipo di legittimazione alle unioni omosessuali e che “l’insegnamento della Chiesa è fermo nell’affermare che il matrimonio tra un uomo e una donna è l’unico ambito in cui le relazioni sessuali trovano il loro significato naturale, adeguato e pienamente umano”. Pertanto, le ideologie si innestano sulle debolezze e sulle ingiustizie, anche se questo non significa giustificarle. A proposito di Chiesa, che cosa dice? Ne parla nel VI° capitolo. Ammettere di non aver capito…è una condizione per crescere. Tuttavia, la Chiesa non fa propria nessuna filosofia, è impegnata nella ricerca della verità. E comunque la forza di questo testo della Diaz è che fa riferimento esplicito al Catechismo della Chiesa cattolica e soprattutto alla teologia del corpo di san Giovanni Paolo II. Oppure la Lettera della Congregazione della Dottrina della fede del 2004, sulla collaborazione degli uomini e delle donne nella Chiesa e nel mondo. Ma c’è anche il Magistero di Papa Francesco con le sue encicliche. A mio parere è un punto di forza. Inoltre, da evidenziare anche citazioni di autorevoli studiosi. Tuttavia, il problema del genere rimane complesso. Spesso l’approccio nell’affrontarlo rimane insufficiente. Affrontando il tema della Persona, del Sesso, la Diaz evidenzia la svolta copernicana di san Giovanni Paolo II.  Il papa polacco ha affermato con forza che il sesso “è ‘costitutivo della persona’ (non soltanto ‘attributo della persona’) “Ciò significa che il sesso non si colloca o si limita alla dimensione biologica, ma permea piuttosto il corpo, la psiche e l’anima spirituale”. La riflessione del Papa cambia radicalmente tutto. Wojtyla introduce l’elemento che la differenza sessuale porta alla scoperta della propria identità di dono.  “La realtà è che l’uomo non è pienamente sé stesso se non nell’incontro con la donna, e lo stesso vale per la donna rispetto all’uomo”.

Ma il testo pone delle domande abbastanza profonde che poi cerca di rispondere. Una tra tutte: come si può spiegare la realtà di chi non riesce a sentirsi a proprio agio nel proprio corpo o quella di persone che non si identificano né con l’essere uomo né donna o il vissuto di chi si sente fluido? Non è facile comprendere noi stessi, per i limiti di chi ci educa, per le ferite e le avversità della vita. Tuttavia, tutti siamo in cammino per guarire, per fare questo non basta proporre verità teoriche, anche se autorevoli, occorre aiutare le persone a scoprire nel loro cuore ciò che realmente le fa essere più autenticamente se stesse. L’obiettivo principale del libro è quello di fare un viaggio con i giovani e cercare di dialogare con loro, l’autrice lo sottolinea più di una volta. Sarà utile riflettere sul linguaggio che noi usiamo, sui concetti arrugginiti, che oggi non riescono a convincere. C’è un capitolo intero dove si affrontano i vari stereotipi che sono idee riduttive di una realtà. Buona parte del femminismo contesta le idee stereotipate sulla femminilità. Gesù era contro ogni tipo di stereotipo. Avere uno sguardo critico sugli stereotipi e sulla lotta ad essi è sempre salutare. Certo non bisogna combatterli ma neanche accettarli.

Dovrei avviarmi verso la conclusione per non far diventare la recensione un saggio. Comunque sia la docente spagnola è consapevole che affrontando questo viaggio spinoso della questione del genere, rischia molto, intanto è una scommessa che fa con se stessa, entra in un campo minato e dunque pericoloso. E’ rischioso ammettere che la sessualità non è solo una questione naturale ma anche culturale. La Diaz ritiene che la teologia e la Filosofia, ma anche l’antropologia, debbano ascoltare e aprirsi al dialogo con le scienze per raggiungere una sintesi armonica del sapere. Ma soprattutto è necessario che “l’antropologia cristiana entrasse in dialogo con le numerose discipline che affrontano la questione del genere (psicologia, sociologia, economia) per correggere le proprie conclusioni illegittime a partire da una comprensione più ampia della realtà, e per lasciarsi interpellare dalle domande che pongono”. I cristiani non devono rimanere fuori dai giochi, dobbiamo accettare la sfida che viene da quel mondo LGBTQ+. Per esempio, il culto del corpo non può essere ignorato, come più volte ci ha insegnato Giovanni Paolo II. Il corpo alla luce dell’incarnazione di Cristo, come immagine di Dio. “Per il fatto che il Verbo di Dio si è fatto carne – affermava Giovanni Paolo II – il corpo è entrato, direi, attraverso la porta principale della teologia”. Pertanto, tutte le ferite dell’uomo e della donna possono essere guarite da Gesù Cristo, è Lui la risposta a tutti i nostri desideri, al cuore dell’uomo.

La Chiesa come Madre e Maestra ci offre tante possibilità di rinascere, di riscoprire la via retta. Ci accoglie senza rinunciare alla verità, ma ci ammaestra. Gli ultimi capitoli sono importanti, forse più decisivi, ci danno degli orientamenti: “Come parlare della Verità”, indicazioni per i formatori (genitori, insegnanti, catechisti, allenatori sportivi). Allora qui subentra l’importanza delle relazioni con i giovani in particolare. È necessario un cambiamento di approccio e un nuovo modo di parlare della verità che non si impone, viene verso di noi. Arriva più per attrazione che per istruzione. “L’accompagnatore deve essere paziente e flessibile per camminare al ritmo dell’accompagnato fino a creare un ambiente in cui interpellare il suo cuore”. Nelle note, che abitualmente metto nei testi letti, ho aggiunto bisognerebbe interpellare Karol Wojtyla quando era cardinale a Cracovia. In buona sostanza, bisogna accompagnare i giovani con il metodo di Gesù.

DOMENICO BONVEGNA

dbonvegna1@gmail.com