Ci sono circa 6 mila preti (80mila nel mondo) che hanno ottenuto le dimissioni dallo stato clericale

di Andrea Filloramo

“Tutto è numero” scriveva Pitagora. Sull’esistenza degli “oggetti matematici” si è molto dibattuto in Filosofia, ma tutti sappiamo che i numeri sono necessari per fare addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni, divisioni e, infine, nella crosta dura dei numeri e delle percentuali, esprimiamo la nostra capacità di interpretare e leggere la realtà così come essa ci appare.

Per far ciò ci serviamo anche della “statistica”, scienza che studia con metodi matematici, fenomeni collettivi, che va dalle sperimentazioni cliniche alla ricerca medica, ai modelli di rischio elaborati dalle società finanziarie, alle analisi dei voti, fino all’analisi degli sterminati database accumulati durante le osservazioni cosmologiche e, ancora, molto altro.

Non è esagerato dire allora che in un mondo che è sempre più dominato, quasi travolto, da un flusso costante e ingovernabile di informazioni, la statistica rappresenta uno strumento per leggere, decifrare e interpretare dei dati.

Anche la Chiesa Cattolica, pur mantenendosi spesso lontano dalla scienza che esige la conoscenza matematica, utilizza la statistica, a fine pastorale, come risulta da diverse fonti.

A tal proposito ho sott’occhio le tavole tratte dall’«Annuario Statistico della Chiesa», aggiornato al 31 dicembre 2018, riguardanti i membri della Chiesa, le strutture pastorali, le attività nel campo sanitario, assistenziale ed educativo.

Leggo, quindi, che in quella data, il numero di quanti si professavano cattolici nel mondo era di 1.328.993.000 persone, con un aumento complessivo di 15.716.000 dall’anno precedente e la percentuale era del 17,73% del totale.

Nel biennio 2018-2019, il numero dei sacerdoti era 414.336. A fronte di importanti incrementi per l’Africa e per l’Asia, in Europa e in America c’è stata una flessione, rispettivamente dell’1,5% e di circa mezzo punto percentuale.

Ma, volendo, limitare la nostra conoscenza all’Italia: quanti erano allora i cattolici e sacerdoti?

Per rispondere a questa domanda abbandoniamo l’Annuario Statistico del 2018 e facciamo riferimento a dati (non so se ce ne sono altri più recenti) che sono quelli pubblicati sul sito della Conferenza Episcopale Italiana (Cei), che, nel 2019, ci ha fatto conoscere che su 59,73 milioni di abitanti,  il 97,67% degli italiani si dichiarava cattolico ed è stato battezzato secondo il rito della Chiesa cattolica (secondo, però, un’indagine Eurispes  solo  il 36,8% era praticante) e che il numero dei preti dal 1990 a al 2019, cioè in quasi in 30 anni, è calato di circa 15mila unità con una flessione del 27%. andando sotto quota 40mila, precisamente a quota: 33.941.

Di questi solo, però, 30.985 ancora erano in grado di prestare un ministero attivo al servizio delle diocesi.

Anche le ordinazioni, in quegli anni, hanno subito il drastico calo di un terzo nel primo quindicennio del nuovo millennio, così pure il numero dei seminaristi, che sono diminuiti del 31%, per non parlare dei religiosi.

Secondo studi recenti, inoltre, il dato più preoccupante è l’invecchiamento del clero italiano: “I preti con oltre 80 anni erano il 4,3% nel 1990, mentre sono diventati il 16,5% nel 2019, i preti con meno di 40 anni erano il 14% del clero italiano nel 1990, mentre rappresentano non più del 10% nel 2019”.

L’età media dei preti diocesani è passata dai 57 anni del 1990, ai quasi 60 anni nel 2010 e ha superato i 61 anni nel 2019, in un processo di invecchiamento che, con la crisi delle vocazioni, ha avuto luogo, a margine e dopo il Concilio Vaticano II quando il trend delle vocazioni era ancora in crescita e molte diocesi erigevano nuovi seminari o ampliavano quelli esistenti.

Rispetto alle vocazioni, le cifre mettono in luce un interessante geografia dei preti delle regioni: fatta eccezione, infatti, per il Lazio (+11%), nel trentennio 1990-2019 a nord di Roma si assiste a un vero tracollo.

In testa in termini negativi il Piemonte con -32 %. Seguono la Liguria (-31%), l’Emilia-Romagna e il Triveneto (-28%), Marche e Toscana (-24%).

I dati, quanto mai significativi allarmano i vescovi ma ormai molti di essi vivono come normale il fatto che non vi siano più da anni ordinazioni sacerdotali e delle vocazioni, che un tempo dovevano essere la prima cura del vescovo e fanno quel che possono per non lasciare le parrocchie prive di sacerdoti. Alcuni suppliscono con l’inserimento di sempre più numeroso clero extracomunitario.

Mentre nelle parrocchie tutto, però, continua a ruotare attorno alla figura del prete, Papa Francesco punta sui ministeri istituiti riconoscendo il ruolo dei catechisti e aprendo alle donne il lettorato e l’accolitato.

Si va verso, quindi, una Chiesa in cui l’unico popolo sacerdotale eserciterà diversi ministeri, ordinati e istituiti? Sarà un argomento del prossimo Sinodo? Perché ci sono tante resistenze ad andare in questa direzione? E quali scenari si aprono?

Erio Castellucci, nel suo Sito, scrive: “La diminuzione dei presbiteri, specialmente in Occidente, è certamente molto forte e non si prevedono cambiamenti di rotta, almeno a breve. Una risposta inadeguata sarebbe quella di mantenere la struttura pastorale delle nostre comunità cristiane così com’è e cercare risposte altrove. Non si tratta cioè di trovare ‘sostituti’, siano essi preti immigrati o altre figure che pur non essendo presbiteri continuano a far dipendere la comunità da un’unica persona”.

 La strada potrebbe essere quella suggerita da Luciano Moia, caporedattore di mensile di Avvenire, che scrive:

“In Italia ci sono circa 6 mila preti (80mila nel mondo) che hanno ottenuto le dimissioni dallo stato clericale e la conseguente dispensa dagli obblighi sacerdotali. Se soltanto un quarto fosse disponibile a “rientrare” la Chiesa italiana potrebbe disporre immediatamente di circa 1.500 sacerdoti in più. «Ma è un calcolo per difetto. Tra le centinaia di preti sposati che conosco, la maggior parte sarebbe felicissima di essere riammessa a pieno titolo. Naturalmente nelle condizioni coniugali e familiari in cui si trova».

Ma diciamolo con chiarezza: sicuramente i preti che “vorrebbero ritornare” non accetterebbero mai il clericalismo che li ha indotti a “lasciare”.

Se ciò dovesse accadere, si tratterebbe di una rivoluzione nella Chiesa di ampiezza impensabile, che prima o dopo il Papa attuale o i suoi immediati successori, sono quasi obbligati a prendere, se non trovano altre soluzioni.