Chiesa & preti: la superstizione non è fede

Sono tanti i preti che spingono i loro fedeli verso il devozionismo e, quindi, avallano anche le forme più superstiziose della cosiddetta pietà popolare, da salvaguardare ma non nelle forme più estreme. Essi distribuiscono, così, un minestrone tossico, di fanatismo e di miracolismo, che si accompagna all’esteriorità dei riti, alla rinuncia al pensiero, all’affarismo, alla furbizia, all’abuso della credulità popolare.

 

 

di ANDREA FILLORAMO

Commento quanto richiesto nell’email oggi ricevuta:

Caro professore, Le sarei grato se volesse approfondire una sua espressione, contenuta nell’articolo del 1° maggio 2019: “Non si comprende perché, nella Chiesa, i preti, che dovrebbero conoscere la pericolosità del devozionismo, mai si sono impegnati seriamente a liberare il popolo di Dio da queste pratiche distruttive della fede, anzi molto spesso l’hanno incrementato con iniziative varie”…

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Sono tanti i preti che spingono i loro fedeli verso il devozionismo e, quindi, avallano anche le forme più superstiziose della cosiddetta pietà popolare, da salvaguardare ma non nelle forme più estreme. Essi distribuiscono, così, un minestrone tossico, di fanatismo e di miracolismo, che si accompagna all’esteriorità dei riti, alla rinuncia al pensiero, all’affarismo, alla furbizia, all’abuso della credulità popolare.

Issano totem ancestrali, mentre archiviano definitivamente la visione di Chiesa e di fede.

I preti sanno che la storia del Cristianesimo (come di tutte le grandi religioni) conosce, attraverso i secoli, quanto l’opportunismo sia a scapito della fede.

Ciò soprattutto è accaduto a partire dagli anni ‘90, quando le comunità cristiane, gli operatori pastorali e i docenti delle facoltà ecclesiastiche, sembrano aver abbassato l’attenzione verso i fenomeni del devozionismo, lasciando che essi si manifestassero in forme anche poco cristiane, fino ad arrivare alle forme scandalose di feste patronali gestite da settori della criminalità organizzata.

In alcuni casi si è stati fin troppo accondiscendenti verso una religiosità popolare malsana, forse perché essa “fa numero e denaro” e si crede, erroneamente, di risolvere così il problema della diminuzione dei fedeli e dei relativi contributi economici.

Per loro resta solo la religiosità sentimentale, priva di radici, oltre il Vangelo, annegata in un’orgia d’irrazionalità che offende la dignità della stessa religione.

Essi dimenticano quale dovrebbe essere il compito del prete, che è quello di governare una comunità, di impegnarsi a responsabilizzarla e a farla crescere nella fede testimoniando il Vangelo.

Non può esistere un futuro per la Chiesa e per la comunità dei credenti… se non tornando al vangelo, nudo e crudo, il cui contenuto è dotato di tanta semplicità da non  confondere col semplicismo o la retorica della “fede dei semplici” o come qualcuno dice “popolare”, una retorica equivoca, perché fondata sul falso concetto della semplicità, su cui si fonda ogni forma di devozionismo, che offende i semplici – quelli veri-  e i falsi cristiani perché  vengono mantenuti nell’ immaturità o, a dirla tutta, nell’infantilismo religioso.