Chiediamo al Signore che il nostro sia il parlare dei semplici, il parlare da bambino, parlare da figli di Dio

di ANDREA FILLORAMO

Rispondo all’email pervenutami in cui la Signora E.G elogia il modo di comunicare di Papa Francesco, evidenziando quelle che sono, a suo parere, le differenze con quello che è il modo di comunicare nelle loro  omelie domenicali di molti preti.

 

Tra le tante disgrazie che affliggono il genere umano, ne esiste una, subdola, che appare particolarmente difficile da debellare: la propensione a generalizzare. È un morbo insidioso dei giornali, nelle email, in mezzo alle conversazioni e non manca neppure nei discorsi in pubblico.

Dopo questa doverosa premessa diamo lo spazio necessario all’ ipotetico fenomeno di cui nella email che mi dà la possibilità di accennare al modo di comunicare di Papa Francesco.

A parere della Signora E.G, tanti sono i preti che nelle loro omelie considerano i Vangeli, come soltanto dei “testi edificanti – così scrive – che non aiutano a scoprire il senso profondo che gli evangelisti volevano dare”.

La Signora continua dicendo che i predicatori, perché tali, inciamperebbero in un difetto che è l’occasionalismo. in cui cioè, il ricorso ai testi biblici sarebbe visto come l’occasione per parlare di molti temi, provocati per lo più dalle circostanze, senza lasciarsi ammaestrare dalla prospettiva data dalla parola di Dio.

Per questo, l’atteggiamento medio dei credenti nei confronti della predicazione sarebbe quello della noia, dell’insoddisfazione, difetto che non solo il predicatore sentirebbe contestare al suo modo di esporre, ma che egli stesso probabilmente sperimenterebbe nel fastidio e disagio di preparare la sua omelia.

Osservo che in ogni pagina e in ogni parola dei Vangeli, ci si trova dinnanzi al linguaggio proprio e specifico della riflessione sapienziale della tradizione della religione giudaica, ben lontana da quello che è il linguaggio che adoperiamo oggi, che diventa incomprensibile se non viene filtrato dalle incrostazioni linguistiche e restituito alla sua genuinità, che coincide – badiamo bene –  con la semplicità che era il modo di fare e di comunicare di Gesù stesso.

  1. Pietro, a tal proposito, fa riferimento all’innocenza dei bambini, al latte genuino spirituale e dice: “chiediamo al Signore che il nostro sia il parlare dei semplici, il parlare da bambino, parlare da figli di Dio: dunque, parlare nella verità dell’amore”.

Ma come valorizzare in pratica la potenza del messaggio evangelico e farlo giungere alla gente aiutandole a superare le difficoltà della complessità?

La risposta a questa domanda la dà proprio Papa Bergoglio che, in realtà, sprona molto e predica poco. Il suo linguaggio, come quello di Cristo, è apparentemente sempre molto semplice perfettamente e acutamente tarato sul suo target che privilegia il rapporto umano.

Segreti della sua comunicazione sono: l’immedesimazione, l’impersonificazione, il mettere se stesso e chi lo ascolta nei panni dell’altro, di chi porta il discorso su un piano diretto, dal quale è impossibile sottrarsi, il farsi carico in prima persona delle condizioni del prossimo. Da ciò un linguaggio alla portata di tutti, che però nulla toglie alla forza delle idee che lo ispirano. Una comunicazione, quella di Francesco, quindi, che lascia molto poco al caso.

 A dire il vero tutti gli ultimi pontefici hanno contribuito in diverso modo a trasmettere il messaggio evangelico e, a rinnovare il modo di comunicare. Giovanni Paolo I, per esempio, abolì l’uso del “noi” e, esprimendosi in modo diretto e semplice, ha cambiato in modo determinante la comunicazione papale.

Ricordiamo la forza delle parole di Giovanni Paolo II e la mitezza con cui Benedetto XVI accompagnava la sua grande chiarezza espositiva.

Papa Francesco è il Papa della prossimità e della misericordia e tutto ciò si manifesta nella sua comunicazione.

Interessante, per chi vuole approfondire questo aspetto della personalità di Papa Bergoglio, è il volume del linguista Salvatore Claudio Sgroi “Il linguaggio di Papa Francesco. Analisi, creatività e norme grammaticali” (Libreria Editrice Vaticana, Roma 2016), che contiene delle analisi sulla lingua del Pontefice e che mette in rilievo le esigenze espressivo-comunicative del “Sommo Locutore” che, per far fronte alla necessità di trasmettere un messaggio immediato, genera possibilità strutturali della stessa lingua e della grammatica italiana anche inedite.