Capitolo quarto: Fuoco sotto. Fuoco sopra

Fuoco sotto. Fuoco sopra. Romanzo culinario d’appendice bisettimanale e d’appendicite cronica di M. Gavio Fano Galt…

Capitolo 4.

 <<Il mare quella notte sfoderava i suoi migliori compagni d’avventura: Eolo, Zeus e Thanatos… pioggia, vento e morte avevano preso in balia la nave di Eufemio. Piccoli puntini neri lottavano contro le forze della natura. Uomini in mare e distruzione erano lo scenario notturno ma, a un certo momento, gli dei decisero dall’alto di fare continuare l’avventura di Eufemio.
Quale fu il motivo di questa improvvisa clemenza, non si conosce. I sentimenti divini avevano superato le piccole motivazioni umane, quelle del comandante Eufemio e della sua avventura: vendetta, lussuria e smania di potere.

L’alba fu delle più tranquille… Il sole, timidamente appariva e i marinai saraceni sfiancati dalla notte in tempesta, si trovavano sul pontile senza forze per continuare il viaggio. Il cuoco di Eufemio che perorava la causa del suo comandante dovette trovare una soluzione. Ciò che rimaneva di quella notte per sfamare la truppa era ben poco: sarde passate di freschezza dei mari di Mazara, pasta di frumento di Castelvetrano, i pinoli che avrebbero aiutato per eventuali intossicazioni, il finocchietto selvatico che avrebbe coperto il sapore forte, lo zafferano, suo ingrediente preferito di uomo del deserto, avrebbe amalgamato tutti i sapori e i sentimenti che si provavano, ovvero, vendetta, amore e passione verso una donna proibita per il suo comandante,  smania di conquista e giustizia verso gli usurpatori.
Il piatto fu mescolato con tutti gli ingredienti e ne venne fuori “il piatto degli Dei”: la pasta con le sarde. Diede una grandissima energia all’equipaggio che navigò in acque più tranquille da Mazara alla volta di Palermo.>>
(Paola Roccoli)

 

A Palermo chiamano broccolo … il cavolfiore. Bianco, verde, viola. La “pasta chi vrocculi arriminati” è una delle magnificenze culinarie palermitane. L’onomatopeico arriminare significa agitare e girare senza fretta, senza pausa. Arriminare, tuttavia, significa molto di più. Dipende dal contesto discorsivo. Per esempio, che s’arrimina è uno che si dà da fare dimenandosi,spacciandosi, intrigandosi, incuneandosi a spirale.

La pasta che si addice a questo piatto è il versatile bucatino che si presta ad accogliere (si’ come l’amatriciana) il condimento dal conturbante sposalizio di sapori. Ilsibilante bucatino non perdona. Arrendetevi. E’ impertinente. È indomabile. Ci schizza. Ci si macchia.

 

Anzitutto, per la ricetta, bisogna ammollare un pugnetto di uva passa (quella piccola e nera di Corinto).  Contemporaneamente, occorre lessare  il cespo di “broccolo”, curando la preservazione dell’acqua di cottura salata, in cui “calare” la pasta.

Tagliare finemente lo scalogno da soffriggere in un tegame. Appena sarà imbiondito, aggiungere qualche filetto di acciuga. Se ne conserverà traccia solo per la sapidità. Aggiungere le passoline e i pinoli. Anche di quest’ultimi un pugnetto. Parentesi, attenzione alla eventuale trascrizione. Il femminile di piccolo pugno esprime altro concetto. Chiusa parentesi. Fare insaporire. Poscia, introdurre il broccolo lessato e smembrato.  Mescolare bene con un cucchiaio di legno e colorare con una bustina di zafferano sciolta in mezzo bicchiere di acqua tiepida. Portare a cottura. Serviranno pochi minuti.

Nel frattempo, i bucatini si saranno cotti nell’acqua del broccolo. Scolare. Impreziosire con altro zafferano. Servire spargendo della  “muddica atturrata” ottenuta – more solito– tostando, in un padellino unto d’olio, del pangrattato.

Eligio e Raniero facevano fatica a arriminarsi. Conoscevano le regole del gioco. Sapevano sgomitare. Non sapevano arruffianarsi, millantare, liffare.

Una volta, gli amici non li selezionavano le mamme ma una maestra di vita … la strada … la cui direzione non sempre era maestra. Anche quando larga, la strada impone classe funambulare. Cammini sul filo del rasoio. Lo sbaglio, la deviazione, l’astinenza dietro ogni angolo, ogni semaforo, ogni cunetta. Per imboccare o restare nella retta via ci vuole forza di volontà e … fortuna. La dea bendata, quando si tratta di palestrarsi in strada, prescinde dal censo.

Erano cresciuti nutrendosi di tutte le vitamine e di tutti gli anticorpi dei giochi e di tutti gli sport  possibili e immaginabili praticabili in cortili, carreggiate,piazzuole e parcheggi. Guardia e ladri,  mammarrivai o caricacaricachitivegnu, ciappa, ciuscia, ppa’, monte, ciunna, moffassuddatu etc. etc. Le poste in palio figurine, giornaletti, modellini di macchine. Talvolta, si azzardava con le monetine. Poi ancora … le scommesse nei bar con i flipper … e ancora biliardo, biliardini e macchine con gli scarafaggi invasori nelle endas. Alternativa il mistico ping pong delle sagrestie prima e dopo il catechismo.

Il calcetto prima maniera istruiva sulle strutture piramidali. Chi giocava bene era il capitano. Il capitano formava la squadra. Prima scelta il portiere. I portieri erano rari. Poi via via secondo le abilità nel calciare la palla o nel calciare l’avversario. Chi non sapeva giocare ma voleva essere della partita aveva due possibilità … fare l’arbitro … portare il pallone. Prima regola di sopravvivenza o iocare o spasciare u iocu. Lacrime bandite.

I giochi non contemplavano promiscuità. Masculi cu masculi,  fimmini cu fimmini. I momenti di contatto erano rari. Occorreva attendere prima del convegnistico “muretto” estivo o la trasgressiva ruotante bottiglia (schiaffo o bacio) o l’eccitante ballo della spazzola nelle festicciole in casa.

Eligio: “Al gioco della bottiglia ho dato il mio primo bacio”.

Raniero: “Anche io”.

Eligio: “Raniero, ero presente. Solo che quella volta avevi fatto ridere tutta comitiva”.

Raniero: “Cioe’?”

Eligio: “Noi per non rivelare che alle ragazzine guardavano tette e culi … dicevamo gli occhi. Le gambe sarebbero state una prematura sorta di sofisticata iperbole osé”.

Raniero: “Eh!”

Eligio: “Raniero … sia cosa hai detto?”

Raniero: “No”.

Eligio: “Mi innamoro di dita affusolate, tremule, ansiose di delicatezza”.

L’amicizia … che sentimento. E’ l’amico, … “l’amico sa il  gusto amaro della verità . . . ma sa nasconderlae per difendertiun vero amico anche bugiardo e’” (inno di Dario Baldan Bembo).

Eligio si intenerì rinvenendo una storia in internet.

Prima di raccontarla a Raniero, gli chiese se ricordava come erano cresciuti.

Raniero: “Con le ginocchia sbucciate. Era un continuo rincorrersi dietro un pallone, in sella alla bici, sui pattini, con i carrettini in legno con ingrassati cuscinetti a sfera. In ultimo con lo skateboard.”

Eligio: “Ci si rincorreva anche anche per darsele.”

Raniero:”Ci stava”.

Eligio: “Non ti stancavi mai. Si passava da un gioco ad un altro. Ciascuno eccelleva in qualche abilità. Nessuno tornava a casa pulito. Nessuno tornava a casa senza rimproveri o sonate”.

Raniero: “Scorro gli sguardi e i richiami dei genitori”.

Eligio: “Il rossore, il timore”.

Raniero: “Cafone … porcu tu e io chi fici … di chi era?”

Eligio: “ … del papà di Mimmuccio”.

Raniero: “Papà, uffa, nni sentono … Aria netta non avi paura di trona”.

Eligio: “Sebastiano e suo padre”.

Raniero: “Le mani … le mie povere mani”.

Eligio: “Totò quannu si taghiau ccu l’offendicula per scavalcare un muro”.

Raniero: “Non piangeva per il dolore. Non tremava per il sangue che scorreva. Pensava alla cinta che lo attendeva rotante”.

Eligio: “Che risate”.

Raniero: “Che tempi”.

Eligio: “Padri padroni senza telefono azzurro?”

Raniero:”Capi comici per un esilarante teatrino”.

Eligio: “Raniero senti che storia che ho letto dal barbiere. Intendiamoci un barbiere con wi-fi. Ho i brividi.”

Un anziano seduto al bar guarda un ragazzo e gli dice: Giovane, ma te sai cos’è l’amicizia?”
Il ragazzo viene stoppato prima di potere rispondere.

“Lo vedi quel signore seduto laggiù? Quello è il mio migliore amico, siamo nati nel ‘39, siamo nati e cresciuti insieme…

 Io gli ho fatto da testimone di nozze e lui l’ha fatto a me.Abbiamo comprato la terra da lavorare insieme, e tutti i giorni venivamo in questo bar e prendevamo un Bianchino e leggevamo le notizie.Lui me le leggeva perché io non so leggere e io ascoltavo… sempre insieme… 
Nel ‘78 abbiamo litigato… ce le siamo anche date… e da quel giorno non ci siamo più parlati… neanche un ciao… Beh, ti dirò… dal ’78, nonostante tutto, ogni giorno veniamo qui, sempre alla stessa ora, ogni giorno ci vediamo, non ci salutiamo e ci sediamo in due tavolini differenti.Entrambi prendiamo un Bianchino…Tutti i giorni lui prende il giornale e legge le notizie ad alta voce… la gente pensa che sia matto… ma lo fa per me… dal ‘78…”.

 

Raniero: “Bellissima”.

Eligio: “Gli amici del Fondo Genovese li ricordo tutti. Pisellino, Johnny, Ricchiazzi, Peppecacatu, Mozzarella, U Giumpilirotulu, Fetu, Bombolo, Bacinella, Nrichettu, Scantulinu, Ciuffo, Numerosette, eccetereccetera … quelli della stessa nfornata … quelli un po’ più grandi, quelli un po’ più piccoli. Rapporti veri.”

Raniero: “Li ricordo tutti anche io. A te Eligio non posso nascondere che su tutti mi manca Ciuffo, il fratello maggiore che non avevo avuto.”

Eligio: “Lo so Raniero. Lo so. Ciuffo che tipo! Spavaldo e tenero, sapiente e leggero, paraculo e protettivo.

Raniero: “Mi aveva fatto vedere le prime foto di donne senza reggiseno. Mi aveva, però, anche regalato il Piccolo Principe.”

Eligio:”Vero? Forse ti associava al bambino con serpentello attorno alla caviglia immobile a custodire con occhi sgranati una rosa nel deserto. Sarà stato per quel tuo incantarti davanti a un fossile di minerale  o per l’ossidiana nella scrivania”.

Raniero: “Ciuffo era capace di seminarmi quando doveva incontrarsi con una ragazzina … poi, per face pace, mi prometteva che con me avrebbe fatto il primo viaggio in vespa”.

Eligio: “A me una volta offri’ un arancino da Nunnari. Ero rimasto fuori. Non avevo percepito la paghetta settimanale. Si era accorto che non ero entrato. Uscì, allungo’ un braccio sulla mia spalla. Mi trascino dentro. Ordinò. <<Un arancino e menza bira per mio compare>>. Neanche il tempo di ringraziarlo che si dileguò per andare dietro la gonnella di Biancamaria del quinto ginnasio artistico. Biancamaria assomigliava alla mediterrraea Mariagrazia Cucinotta. C’ero rimasto un po’ male. Lo vidi tornare subito dopo. Tornava sempre indietro. Non ti mollava … mai … come un angelo serafino”.

 

Raniero: “Erano rapporti disinteressati quelli di allora.”

Eligio:” Quanta munnizza si incontra dopo. Tutto appare improntato alla cerimonia, alla cordialità, alla convenienza.”

Raniero” A proposito di munnizza. Sai quale è la pasta cca munnizza”.

Eligio: “No. Ma sulla munnizza ho presente un film di Luigi Magni.”

Raniero:”Aspetta. Prima ioA pasta c’a munnizza” è nientepocodimenoche la pasta con le sarde della Palermo murata. Parola di zio baffo.”

 

La pasta con le sarde si colloca a cavallo tra la dominazione araba e quella bizantina.

La leggenda narra che pasta con le sarde sia stata creata dal cuoco del “Tumarca” Eufemio, dignitario siculo Bizantino che, nonostante i suoi meriti – in pace e in guerra – i bizantini, gelosi, avevano cacciato da Messina. Pare che avessero preso come pretesto la tresca con una suora. Eufemio condusse i Musulmani in Sicilia per vendicarsi. Si segnò accusssi’ l’inizio della nuova dominazione … uno sbarco presso Capo Granitola vicino Mazara del Vallo. Li’ sabbaggi finocchietti indigeni incontrarono pisci azzurrimenziscaffiduti.

 

Mondate i finocchietti e lessateli in abbondante acqua salata. Una volta cotti scolateli e triturateli al coltello avendo cura di conservare l’acqua di bollitura.  Soffriggete nell’olio lo spicchio d’aglio (da spezzettare o da eliminare intero rilasciati gli umori) e unitevi il finocchietto, l’uva passa, i pinoli e lo zafferano. Mescolate bene per qualche minuto, aggiungendo un mestolo di acqua di bollitura dei finocchietti, in modo da amalgamare tutti gli ingredienti. In ultimo unite le sarde deliscate e fate insaporire il tutto.

A questo punto cuocete la pasta (proponiamo gli ziti) al  dente. Intanto in padella dorate il pangrattato con poco olio senza farlo bruciare. Saltate la pasta con il condimento e sabbiate cca muddica tostata.

 

Eligio: “Ora tocca a me.”

A Roma, in Piazza del Popolo, e’ stata apposta nel 1909 una targa in memoria di due giovani Leonida Montanari e Angelo Targhini. Erano stati condannati alla pena di morte nel 1825. Condannati senza processo, possibilità di difesa e accertamentodi colpevolezza. Ancora oggi capita che in assenza presupposti per l’applicazione di misure cautelari personali e cioè fuori dalle condizioni di attualità e concretezza di pericolo di fuga e/o di reiterazione e/o inquinamento probatorio si venga arrestati per teoremi di accusa magnificati da ampollose conferenze stampa con divise fiammanti e militari da fotoromanzo.

Il fatto storico, nel 1969, venne rivisitato in chiave “romanzata” nel film dal titolo “Nell’Anno del Signore” di Luigi Magni.

Nella parte finale … I due “imprigionati”, due carbonari, sono in carcere.

La pena viene ritardata dalla  ricerca del “pentimento”.

Un frate … crede nella redenzione e nella salvezza delle anime. Non può salvare loro la vita ma li vuole guidare in Paradiso.

I carbonari credono nella libertà e … nella rivolta del popolo.

Si “perde” tempo … il popolo irrompe, finalmente, nella prigione per invocare giustizia.

Chiedono, in verità, che si proceda nello spettacolo … lo spettacolo delle teste mozzate.

Il frate incredulo e attonito sale un un pulpito improvvisato … improvvisando

<< …. Ohhhhhhhh …  Popolo, ma che te sei messo in testa, ma che voi … voi comanna’ te. Popolo? Vuoi comandare? E chi sei? Sei Papa? Sei Cardinale? Sei Barone? Perché se non sei manco Barone … chi sei? Sei tutti gli altri. E tutti gli altri chi so? Rispondi. Risponni a me invece di assaltar li castelli. So gli avanzi  de li Papi, de li Cardinali, de li Baroni. E gli avanzi che so? So mondezza. Popolo sei na monnezza. E voi metter bocca? … Tu non sai manco quale è la fortuna tua … perché sei na monnezza … ma resti pulito perché non ci hai le responsabilità. Vattene a casa a Popolo. Vattene a casa ah …>>.

Raniero: “Storia e Filosofiadegli ultimi due secoli in pochi fotogrammi”.

 

Eligio: “Oggi in tv i filosofi sono chef stellati”.

Raniero:” Allora come nel Little Lord Fauntleroy, in cui i filosofi erano il droghiere mister Hobbs e il lustrascarpe Dick, i pensieri più profondi passavano da Ntoni callicalli, dal maestro gelatiere Tanino specializzato – però – in marsigliesi con la mortadella, da Mimmo l’Ammiraglio (l’ultimo che con la mano al petto piangeva ascoltando sia l’Internazionale che ilGimn Sovetskogo Sojuza).

Mimmo, leva in marina, levataccie per il banco al mercato di frutta e verdura del Zaera, un metro e novanta di tenerezza.”

Eligio: “Raniero tu dici allora. Allora il massimo della speculazione filosofica si condensava– a mio avviso – già a ridosso dell’Immacolata, attorno a tavoli verdi senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.Possidenti (vinni e mancia), nullafacenti e nullatenenti, onesti e faccitagghiati, magistrati e pacchisti, sbirri e pali, prufissuri e studenti, bancheri, bancari e bancarellisti, squattrinati e ricchiarrivati, professionisti e impiegati, nobili e plebei, medici e impresari di onoranze, commercianti e ambulanti, poeti e uscieri, opi e sauri puntavano a dismisura.

Raniero:”La cosa bella era questa. La esprimo in rima. Suggiennu l’occhio ppa strada nuddaimposta era calata.”

Eligio: “Luci sfavillanti in ogni casa adornavano un immenso tecnologico presepio. Le luci della città. Luci di una bisca diffusa.”

 

A Palermo, dalla dolcezza dei broccoli arriminati si passa, in estate, alla tenerezza delle pampine della struggente cucuzza longa. Ne deriva la  prelibata minestra estiva della pasta coi tenerumi.

L’abbinamento tradizionale di queste foglie larghe, cinigliate, verde persiana è con gli spaghettoni spezzati a mano in più segmenti dentro ‘na mappina.

Esiste una versione brodosa ed una “annacatella”.Gli spaghetti vengono cotti nella stessa acqua delle verdure.Nella versione non bianca, sono conditi, senza scolarli, con il “picchi pacchi”.
Neanche a dirlo anche il picchi pacchi è una specialità nostrana. Trattasi di una densa salsa di pomodori pelati che qualcuno prepara con cipolla al posto dell’aglio.

 

Prendere i tenerumi, selezionare foglie e germogli, e immergerli – ripetutamente – in abbondante acquaper non ritrovarsi residui di terriccio. Lessare in acqua salata. Tiratele fuori, ne’ coriacee ne’ spappolate, aiutandovi con  una schiumarola. Ridurre in striscioline.

Nell’acqua rimasta cuocere la zucchina lunga, in precedenza spogliata dai filamenti di copertura (come si fa per le carote)  etagliata in tocchetti. Tirate fuori.

In un tegame di coccio versare i tenerumi tritati ed i cubetti di zucchina aggiungendo (con regolo oculare) un po’ di acqua in cui erano state cotte.

L’acqua restante mantenetela  a bollire. Potrebbe servire. Quando le verdure avranno raggiunto il bollore calate la pasta risottandola. Un paio di minuti prima che la pasta termini la cottura unite il picchio pacchio bollente, un generoso quantitativo di foglioline di basilico ed il pepe nero. Neanche il rosso guasta. A cottura ultimata, spegnete il fuoco e fate riposare a coperchio chiuso per pochi minuti. Distribuite nei piatti di portata, coronando il tutto con un bel filo d’olio evo a crudo. E’ vivamente consigliata una generosa spolverata di formaggiooptando per le soluzioni invece per le soluzioni a chilometro zero. Servire con un filo d’olio.

La mamma di Eligio non disdegnava aggiungere con la cucuzza anche una patata a dadolini.

La patata… alfiere de re stocco nella roccaforte missinisa. Agghiotta.

In questo libro si va e viene, parte e ritorna, su e giù, avanti e indietro per la Sicilia ma il baricentro restala città della gomma del Ponte. Ops … la gomma utilizzata per cancellare a legislature alterne … è una priorità …non è priorità.Una sorta di sbianchettatura coram populo da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale.

Continua…