Andrea Filloramo: È inaccettabile tollerare e ancor più grave è non denunciare preti che sono colpevoli di pedofilia

di ANDREA FILLORAMO

In quel tempo Gesù diceva ai suoi discepoli: “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. … Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa” (cfr. Mc 4,26-34).

Con questa espressione hanno inizio sei parabole chiamate “del Regno”, in cui Gesù attinge alla vita quotidiana dei suoi ascoltatori ai quali fa balenare il mistero di Dio attraverso paragoni, immagini e simboli desunti dalla loro esperienza.

Nel racconto di Matteo, poi, si evidenzia un fatto curioso: dopo la semina interviene il maligno di notte, nel buio, nella confusione; lui va dove non c’è luce per seminare la zizzania e questa, quando cresce in primavera, non si distingue dal frumento o dall’orzo; solo al tempo della mietitura diventa più riconoscibile perché più corta, sgraziata e senza spighe.

La parabola diventa, così, facilmente comprensibile. Il male – lo sappiamo – spesso non appare subito. Il grano e la zizzania, cioè il bene e il male, crescono insieme in un intreccio che l’uomo non è in grado di districare, convivono e si fronteggiano. Si fronteggiano anche i due modi di ragionare: quello proposto dai servi, dello sradicare subito la zizzania, e quello paziente dell’attesa per selezionare con prudenza e non distruggere anche il buon grano.

Il richiamo alle parabole del Regno è spontaneo quando si pensa ai tanti preti pedofili, che vivono nelle diocesi, nei presbiteri, nei seminari, nei conventi, nelle parrocchie, assieme a tantissimi altri preti ben lontani da questo spregevole difetto o vizio. È inaccettabile tollerare e ancor più grave è non denunciare quei preti quando si è consapevoli degli abusi che essi commettono o hanno commesso.

Eppure è stato sempre così nella Chiesa Cattolica, ma anche in quella anglicana, ortodossa, protestante e ciò fa pensare che la pedofilia non sia sempre collegabile con il celibato ecclesiastico, fino a dopo il papato di Giovanni Paolo II.

Maureen Dowd del New York Times in un editoriale durissimo sostiene che Papa Giovanni Paolo II non ha fatto nulla per fermare la piaga dei sacerdoti pedofili, piaga sempre esistita, che scosse anche molte diocesi statunitensi e che, anzi, durante il suo pontificato si è fatta sempre più purulenta.

Gravissime accuse di occultamento di molti casi di pedofilia, oltretutto, recentemente, sono state rivolte al cardinale Stanislaw Dziwisz, per quarant’anni segretario di Karol Wojtyla prima a Cracovia e poi a Roma.

Tali accuse sono arrivate proprio mentre il Vaticano ha reso pubblico il rapporto sull’ex cardinale arcivescovo di Washington, Theodore Edgar McCarrick, colpevole di aver commesso atti di pedofilia e al quale Francesco ha prima tolto la porpora e poi lo ha ridotto allo stato laicale.

Il totale cambiamento di rotta nella Chiesa cattolica, ha inizio con un tratto del pontificato di Benedetto XVI e ha trovato ed è continuato con Papa Francesco, che nel maggio 2019, ha pubblicato un suo Motu Proprio, “Vos estis lux mundi”, pensato per far sì che tutte le molestie e le violenze del clero siano segnalate internamente e, insieme, per assicurare che vescovi e superiori religiosi rendano conto del loro operato.

Con questo “Motu proprio” tutti i chierici, i religiosi e le religiose hanno l’obbligo di “segnalare tempestivamente” all’autorità ecclesiastica tutte le notizie di abusi di cui vengono a conoscenza come pure le eventuali omissioni e coperture nella gestione dei casi di abusi. Questa disciplina è da osservare non solo se le persone sono indagate per abusi sessuali compiuti direttamente, ma anche quando vengono denunciate di avere “coperto” o di non avere voluto perseguire abusi di cui sono venuti a conoscenza, e che spettava loro contrastare.

In realtà la normativa non specifica in che cosa consistano questi “sistemi”, per lasciare alle diocesi la scelta operativa, che può essere diversa a seconda delle diverse culture e condizioni locali. Ciò che si vuole è che le persone che hanno sofferto abusi possano ricorrere alla Chiesa locale sicure di essere ben accolte, certe che saranno protette da ritorsioni e che le loro segnalazioni saranno trattate con la massima serietà”.

Fin ora non risulta che in tutte le diocesi si sia aperto questo “sportello” al quale si possono rivolgere preti e laici.

È certo che “Vos estis lux mundi” pone l’accento sull’importanza di tutelare i minori (persone con meno di 18 anni) e le persone vulnerabili. L’obbligo di segnalazione all’ordinario del luogo o al superiore religioso, non interferisce né modifica qualsiasi altro obbligo di denuncia eventualmente esistente nelle leggi dei rispettivi Paesi: le norme infatti “si applicano senza pregiudizio dei diritti e degli obblighi stabiliti in ogni luogo dalle leggi statali, particolarmente quelli riguardanti obblighi di segnalazione alle autorità civili competenti”.

C’è poi una norma riguardante il coinvolgimento nell’investigazione previa dell’arcivescovo metropolita, che riceve dalla Santa Sede il mandato per investigare nel caso che la persona denunciata sia un vescovo.

Il ruolo del metropolita tradizionale nella Chiesa, ne esce rafforzato e attesta la volontà di valorizzare le risorse locali anche per le questioni riguardanti le indagini sui vescovi.

Il metropolita, incaricato di investigare, dopo trenta giorni trasmette alla Santa Sede “un’informativa sullo stato delle indagini”, che “devono essere concluse entro il termine di novanta giorni” (sono possibili proroghe per “giusti motivi”). Ciò stabilisce tempi certi e per la prima volta viene richiesto che i Dicasteri interessati agiscano con tempestività.

Ma, come scrive il Papa nel documento: “affinché tali fenomeni, in tutte le loro forme, non avvengano più, serve una conversione continua e profonda dei cuori, attestata da azioni concrete ed efficaci che coinvolgano tutti nella Chiesa”.