
Tra voi non sia così. Chi vuole essere il primo, si faccia servo di tutti
Mt 20,26
di Andrea Filloramo
Le osservazioni fattemi sugli ultimi articoli da me pubblicati su IMGPress, contenenti una risposta a una email inviatami che si accompagnano a qualche offesa proveniente da un anonimo provocatore, incapace, però – al di là di quello che egli spera- di farmi smettere di scrivere quel che penso, mi obbligano a ribadire quanto ho già scritto su quei sacerdoti, sicuramente pochi, che si sono sentiti disturbati nel loro modo di essere o di apparire, da me definiti: “ raccoglitori di titoli e di insegne, per i quali l’essere pastori sembra cedere il passo al desiderio di riconoscimenti, segni distintivi, passioni a volte smodate”.
Le mie sono state delle considerazioni, magari per alcuni complesse, perché complessa è la psicologia umana, su quel che può avvenire o che è osservabile nella loro vita, consistente in un corto circuito, tra titoli, livree, emblemi, mozzette, talari rosse che non riescono ad abbandonare e la credibilità evangelica.
Si tratta di dinamiche a lungo coltivate negli ambienti clericali, come se la gerarchia sacramentale dovesse sempre corrispondere a una gerarchia sociale fatta di seggi, vesti particolari, propri di una visione medievale della Chiesa e della società, che si oppone però alla fede cristiana, che colloca tutti di fronte a Dio sullo stesso livello, come insegna il Vangelo.
L’assurdo è che, mentre la Chiesa invoca umiltà, servizio, fraternità, continuano a proliferare queste formule antiche, nate in epoche in cui il linguaggio della Chiesa si plasmava su quello delle corti.
Oggi agli occhi di molti fedeli e di tanti sacerdoti quei titoli appaiono stonati, se non proprio contro-testimoniali. Non è questione di ironia, ma di sostanza.
Oggi chi si aggrappa a un titolo o a una talare per farsi notare, chi si distingue ostentando un ruolo, travisando la dignità per vanità, finisce per ridurre la Chiesa a una piramide mondana e dimentica che Gesù ha detto: «Tra voi non sia così. Chi vuole essere il primo, si faccia servo di tutti» (Mt 20,26).
Ricordiamo che Papa Francesco ha provato a spezzare questa spirale. Con decisione, ha ridotto la concessione di titoli onorifici, ha definito il clericalismo una peste, ha scoraggiato i formalismi e più volte ha denunciato la “mondanità spirituale” come una vera piaga, tuttavia la tentazione del prestigio ecclesiastico è dura a morire, perché tocca le fibre profonde del potere.
Se la Chiesa vuole davvero tornare credibile agli occhi del mondo, dovrà imparare a far brillare solo la trasparenza del suo servizio.
Scrive François Charles Mauriac (1885 – 1970), scrittore, giornalista e drammaturgo francese, nell’ultimo capitolo del “Il Figlio dell’Uomo”: “Questa pietra di scandalo per tanti spiriti ribelli, il prete […] costituisce in mezzo a noi il segno sensibile della presenza del Cristo vivo […]. Uomini ordinari, simili a tutti gli altri, chiamati a diventare il Cristo quando levano la mano sulla fronte di un peccatore che confessa i suoi falli e domanda perdono, o quando prendono il pane fra le mani “sante e venerabili”, o quando alzano il calice della nuova alleanza e ripetono l’azione insondabile del Signore stesso […]. Sì, degli uomini simili a ogni altro, ma chiamati più d’ogni altro alla santità […]. Quale mistero in questo sacerdozio ininterrotto attraverso i secoli!”