
In queste ore sembra che il problema fondamentale di alcuni giornalisti sia se il Papa Leone XIV è in continuità con il pontificato di Papa Francesco. Il motivo? Per dire che è un Papa progressista o addirittura di sinistra? Come se Papa Francesco era da catalogare come un Papa progressista o, peggio, vicino alla sinistra. Nulla di tutto questo Francesco è stato un Papa con le sue particolari caratteristiche, con qualche iniziativa discutibile sul piano sociopolitico, ma che non si è discostato, per quanto riguarda la Dottrina, di un centimetro dagli altri pontefici. Invito a leggere attentamente il suo Magistero.
Un’altra ossessione giornalistica è quella di far apparire il Papa Leone XIV un nemico di Trump, perlomeno, “il meno americano tra i cardinali americani”. Infatti, appena Leone XIV è stato eletto Papa e si è presentato al mondo, in tanti hanno fatto le pulci al suo profilo social per trovare qualcosa, dei post in disaccordo con alcune scelte politiche di Donald Trump. E così, il successore di Pietro è stato bollato come l’anti-Trump e soprattutto nel solco di Jorge Mario Bergoglio. C’era una narrazione che prevedeva – anche a partire dal dato oggettivo che la grande maggioranza di esso era costituito da cardinali nominati proprio da papa Bergoglio – “che il nuovo papa dovesse essere “naturalmente” non tanto il successore di Pietro, ma il successore di Francesco, e proseguire il “rinnovamento” rimanendo fedele alla sua ispirazione”.
Per il professore Eugenio Capozzi, “è innegabile che l’elemento più “disturbante” per i tanti osservatori “ultrabergogliani” sia stato innanzitutto il fatto in sé che il nuovo pontefice provenga dagli Stati Uniti”. Un fastidio eminentemente politico, attendevano, forse, un papa appartenente ad altri continenti; invece, è arrivato per la prima volta un papa nordamericano. E pertanto il mainstream progressista ha attivato subito “l’allarme di un possibile collegamento tra questa novità e il fatto che oggi negli Stati Uniti al governo vi sia quello che per esso è pressappoco il diavolo incarnato, ossia Donald Trump. La nazionalità del nuovo pontefice si andava a connettere immediatamente, in modo subliminale, nelle menti di quegli osservatori, al famigerato meme che ritraeva il presidente statunitense con in testa la mitra papale, suscitando sensazioni disagevoli e angosciose”. (Eugenio Capozzi, Non sarà trumpiano, ma l’elezione di Prevost è una sconfitta del “partito cinese”, 12.5.25, lanuovabq.it)Invece la realtà è più complessa, ha spiegato Federico Rampini, ospite a “In altre parole”, su La7. “La prima buona notizia di questo Papa, che a me piace tantissimo, è che finalmente non si parlerà dell’America soltanto a proposito di Donald Trump. L’America è importante anche per altre ragioni”, ha detto per esordire l’esperto di geopolitica.
Il suggerimento che ne consegue, quindi, è di evitare “di classificare” Robert Francis Prevost “in base alla politica interna americana, pro o contro Trump, perché sarebbe un insulto alla storia della Chiesa. Non serve una caricatura della Chiesa trumpiana”. Per Rampini uno dei fattori che emerge senza il bisogno di tante ricerche “è lo spostamento a destra dei cattolici“, evidente soprattutto alle ultime elezioni di Trump. Il presidente Usa ha vinto anche a causa di “un certo dogmatismo delle frange più radicali della comunità LGBTQ, dell’educazione sessuale nelle scuole sul tema del gender, del diritto di cambiare sesso anche in età prepuberale”. Queste battaglie “hanno spaventato le famiglie, hanno spaventato i genitori, hanno spaventato le minoranze etniche e tutti si sono spostati su Trump”, ha concluso Rampini. E sulla questione del cattolicesimo americano è intervenuto Antonio Socci (Alla scoperta dell’America [Cattolica] di Leone XIV. ‘rendere ancora grande la Chiesa, 10.5.25, Libero).
Qualcuno ha la sensazione che il nuovo papa al papa polacco Karol Wojtyla. “L’elezione di Giovanni Paolo II, nel 1978, fece conoscere a tutto il mondo la fede cattolica del popolo polacco, da cui poi venne la scintilla che fece crollare (in modo incruento) il mostro comunista dell’Est europeo”, scrive Socci. Mentre oggi “l’elezione di Leone XIV fa scoprire a tutti la fioritura e la vivacità del cattolicesimo americano. Perché gli Stati Uniti, negli anni di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI e il loro impulso, hanno vissuto una grande rinascita della fede cattolica che sembrava smarrita e che è diventata socialmente molto rilevante”. È un caso sorprendente e “provocatorio” perché rovescia il paradigma della sociologia secondo cui la modernità è sinonimo di laicizzazione e scristianizzazione. Pertanto, se gli Stati Uniti sono il cuore della modernità, la sua avanguardia: “che il cattolicesimo rinasca con forza proprio lì è la smentita più clamorosa di quell’errata idea della modernità”, peraltro era una tesi questa del sociologo delle religioni Rodney Stark. Con 72 milioni di cattolici negli Usa, il cattolicesimo è diventata la religione più organizzata del Paese. I cattolici hanno contribuito in maniera determinante alla vittoria di Donald Trump, che ha l’amministrazione piena di cattolici, a cominciare dal suo vice J.D. Vance. Siamo di fronte a una primavera del cattolicesimo americano? Per Socci sembra di sì, a questo proposito, racconta una serie di episodi a sostegno di questa tesi.
A cominciare da Marco Rubio, il giovane Segretario di Stato di Trump, che è stato irriso dai media, perché il Mercoledì delle Ceneri si è presentato a un’intervista televisiva con una vistosa croce tracciata sulla fronte (aveva appena partecipato al rito cattolico delle ceneri da cui inizia la Quaresima). Sembrava una cosa ridicola in un uomo politico così importante. Poi sono uscite foto di altri politici cattolici, anche Dem, che portavano lo stesso segno. Così si è scoperto che negli Stati Uniti è una cosa normale. Maurizio Molinari, già direttore di Repubblica, commentando giovedì sera l’elezione di Prevost, spiegava che oltreoceano i cattolici hanno una fede solida, “riempiono le chiese e sono orgogliosi di essere cattolici”. Secondo Socci, “si è verificata una spaccatura storica fra elettorato cattolico e Partito Democratico, ormai lontano da Kennedy e sprofondato nell’ideologia wake. Mentre, con la crisi del mondo fondamentalista protestante, i cattolici sono diventati la nuova base culturale e politica dei repubblicani”. Infine, il giornalista di Libero è convinto che il nuovo Papa americano, “costruito” dall’Arcivescovo di New York, card. Timoty Dolan, potrà essere la figura ideale per unire tutto l’episcopato statunitense e poi quello sudamericano (a cui anche Prevost apparteneva), infine la Curia da cui proviene. Infine, Socci ricorda che la Chiesa americana adesso sarà una risorsa anche economica fondamentale per il Vaticano con i conti in rosso. Sulla pace può esserci una grande alleanza fra Santa Sede e Casa Bianca. La diversità di vedute con Trump sull’immigrazione, molto accentuata dai nostri media, in realtà riguarda assai più i modi di gestione che il problema in sé. Il Papato americano può svolgere un ruolo di moderazione prezioso per un’amministrazione Trump a volte sopra le righe.
DOMENICO BONVEGNA
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