
Andrea Filloramo hai già scritto sull’esistenza del diavolo e in un’altra intervista, hai argomentato sulle presunte apparizioni di Maria. Per chiudere il cerchio del soprannaturale, parliamo, se vuoi, dei miracoli, che i cattolici attribuiscono alla Madonna e ai Santi
Lo faccio volentieri, anche se ritengo necessario prima fare una piccola correzione: secondo la dottrina cattolica non sono la Madonna e i Santi a fare i miracoli ma solo Dio. La Madonna e i Santi possono solo intercedere presso Dio affinché egli operi un miracolo.
Da che cosa nasce a tuo parere nei cattolici questo bisogno, che per tanti è quasi ossessivo del miracolo. Senza l’attesa dei miracoli forse Lourdes, Fatima, Medjugorje luoghi dove da ogni parte del mondo giungono oggi pellegrini ansiosi di vedere dei segni dal cielo, ritornerebbero ad essere dei piccoli centri di provincia da ricordare soltanto come luoghi d’incontri e di preghiera
Osserviamo nei cattolici un atteggiamento “miracolistico” molto diffuso, col quale essi pretendono, in forza e in virtù della loro fede, che Dio, a loro piacimento, sospenda le ferree leggi della natura, allevii le loro sofferenze e allontani la morte. E’ questo il Dio del “do ut des, del Dio che ha nelle mani il filo che muove le marionette, il Dio “tappabuchi”, un dio che troviamo nelle vecchie mitologie ma che è molto lontano dal Dio che incontriamo nei Vangeli. Questa visione distorta del rapporto uomo-Dio la rintracciamo anche in alcune espressioni ricorrenti, in uso troppo normale, quali "la volontà di Dio" o la "Provvidenza" che possono essere anche fuorvianti se identificano le cose che avvengono con la volontà di Dio, se le legittimano e le liberano da ogni umana responsabilità. Per di più, se sono volute da Dio, le impongono come giuste, necessarie e inamovibili. Da ciò ne consegue che ogni critica, ogni lotta per il cambiamento, ogni conato di rivolta diventano peccati contro Dio e la sua volontà. Forse i cristiani, dovrebbero riscoprire l’orgoglio della responsabilità delle scelte e, nel contempo, la gioia del pensare e soprattutto di parlare di Dio in maniera sommessa, discreta, sottovoce. "Parlare sottovoce” di Dio non significa, come purtroppo taluni dogmaticamente tentano di far credere, rimpicciolire Dio, ma se mai, farlo più grande. Sottovoce, perché del mistero di Dio possiamo solo balbettare qualche cosa con pudore. Il mistero è al di là, molto al di là della povertà delle nostre parole.
Ma Gesù ha detto: Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede riceve, chi cerca trova, e a chi bussa verrà aperto
Queste sono parole di Gesù [Luca 11, 9-10], di cui dei cattolici, sovvertono il loro significato. Pretendere, infatti, di giustificare la richiesta dei miracoli e non sapere o non pensare che “chiedere” e “cercare”, nel loro contesto di riferimento, significano riconoscere che qualche cosa a noi manca che non si ottiene attraverso interventi divini, è un errore interpretativo imperdonabile. Cercare significa manifestare la necessità di riempire un vuoto che sentiamo prepotente e che dobbiamo riempire noi stessi con qualche cosa che ci manca, percepire la necessità e lo stimolo che ci spingono verso il nuovo, modificare il nostro presente. Bussare significa "non varcare il limite", chiedere il permesso, riconoscere che l’altro ha il diritto di impedirci di entrare e, infine, che noi non abbiamo intenzioni violente o prevaricatrici nei confronti degli altri. Solo così possiamo “smuovere le montagne”.
Ritengo che sia estremamente difficile cambiare il senso che sempre abbiamo dato a questa espressione di Cristo
Certamente! Fin da piccoli abbiamo sentito e ripetuto: “non cade foglia che Dio non voglia” anche quando le folate di vento, indipendentemente dalla volontà di Dio coprivano le strade della nostra esistenza. Ed è estremamente difficile non chiedere l’intervento di Dio o anche il miracolo quando la sofferenza ci assale. E’ stato anche difficile per Sant’Agostino, che per quanto concerne il rapporto che si instaura tra credente e preghiera, diceva: “Aut mali, aut male, aut mala”. Non si prega bene quando si è cattivi (mali); quando si prega malamente (male); quando si chiedono cose cattive (mala). Quest’uomo che conobbe la conversione dopo anni di inquietudine e di vita dissoluta, in poche parole, chiarisce un concetto fondamentale nella vita di un fedele, indicando tre atteggiamenti umani che vanificano la sua relazione con Dio. La nostra società ha perso il gusto di pregare e ha tramutato questo appuntamento straordinario dell’uomo con l’Altissimo, in un abitudinario “resoconto” occasionale, o in una “lista della spesa” da buttargli sotto gli occhi. Eppure la sostanza dell’essere umano tende al cielo, avverte nella preghiera un canale di comunicazione con il mondo che non si conosce, ma si ferma qui! Il pericolo di cadere nelle grinfie dei venditori ambulanti della fede, sta a due passi della propria quotidianità. Nei vangeli non esiste né il termine, né il concetto di miracolo, cioè un sovvertimento e un superamento delle leggi della natura in favore dell’uomo. Nei vangeli, e all’inizio della predicazione di Gesù, c’è questa necessità: c’è bisogno non di un cambiamento delle leggi della natura, ma un cambiamento nei rapporti con gli altri che permetta a Dio di trasmettere la sua linfa vitale agli uomini. Allora Gesù dice che i segni che lui ha compiuto, anche noi li dobbiamo compiere e dice che chi crederà nel suo nome, compirà quelle potenze e quei prodigi. Quelle opere, siamo chiamati tutti quanti a compierle. Questa è un’indicazione che gli evangelisti ci danno.
Allora, quelli che noi riteniamo i miracoli straordinari, di fronte ai quali c’è da rimanere sbalorditi, cosa significano?
E’ ovvio che nessuno può proibire a Dio di operare i miracoli ma lui non è un prestigiatore o un mago. Non lo è stato mai neppure quando girava nelle strade della Palestina e faceva prodigi che poi venivano raccontati dall’evangelista. A noi resta l’opera che siamo chiamati a fare: entrare nel testo evangelico e vedere quello che l’evangelista ci vuol dire attraverso immagini che appartengono alla sua cultura, con cui invita a compiere anche noi i prodigi. Uno dei titoli del Nuovo Testamento, per esempio, è quello della “moltiplicazione dei pani” che una lettura superficiale fa vedere Gesù come un prestigiatore che prende il cesto e, voilà: pani e pesci, cento… duecento. Ebbene, chi può pensare di ripetere un’azione del genere? Se andiamo in dispensa a prendere del pane e dei pesci e stiamo a pregare tutta la notte, domani mattina troviamo il pane secco e il pesce marcio. Eppure Gesù dice: “chi crede in me, questi sono i segni che l’accompagneranno: risusciteranno i morti …”. Mai da quando c’è il cristianesimo è stato risuscitato un morto?
Si è vero…non risulta che ci sia un santo che, in duemila anni di cristianesimo, abbia risuscitato un morto
Ma Gesù dice: “questi sono i segni che vi accompagneranno: risuscitate i morti”. Nessuno ci è riuscito.
Allora, non sarà che l’evangelista indica altre cose
Proprio così! In questo episodio non si parla di moltiplicazione dei pani ma c’è un conflitto tra due mentalità: quella di Gesù che attraverso le beatitudini invita i suoi a condividere generosamente con gli altri quello che hanno e quello che sono, e quella dei discepoli che sono vittime ancora della mentalità della società dell’accaparramento egoista. Allora c’è il problema della fame della gente e Gesù dice: “date!”. Usa il verbo dare: “date voi da mangiare”. Mentre i discepoli gli hanno detto: “mandali a comprare!”. Il conflitto è tra questi due verbi. Comprare significa che se tu hai i soldi compri, mangi e vivi; se tu non hai i soldi non compri, non mangi, non vivi. I discepoli, di fronte alla fame, ricorrono ai metodi usuali della società, “mandali a comprare”. Gesù dice: “date voi quello che avete!”, e mettono insieme quello che hanno.
Si parla di cinque pani e due pesci
Proprio così. Bada bene: cinque più due fa sette. Sette, nel mondo ebraico significa tutto. Allora l’evangelista vuol dire che hanno messo insieme tutto quello che avevano. Così egli vuol dire come si risolve la fame: con il verbo comprare si crea sempre disuguaglianza e aumenta la fame, con il verbo dare, con la condivisione, si sfama e si crea l’abbondanza. Ricordi quante ceste avanzano? Dodici. Perché proprio dodici? Perché dodici è il numero di Israele, delle dodici tribù di Israele, dei dodici discepoli. L’evangelista vuol dire: “con questo sistema si sfama tutto Israele”. Allora Gesù non chiede di moltiplicare pani e pesci, basta condividere quelli che ci sono già e si crea l’abbondanza. Quando la comunità dei credenti condivide quello che ha, questo è il miracolo, si crea l’abbondanza”.
Un’esegesi del genere però è riservata agli addetti ai lavori
Sì, è vero, ma tenendo conto che chi legge questa intervista in IMG Press ha una certa cultura e sa che i vangeli sono stati scritti duemila anni fa con un linguaggio mitico e con l’utilizzo di metafore, sa che la parola di Dio occorre attentamente filtrarla, togliendole tutte le scorie date da un modo di comunicare di allora che è diverso dal nostro.
Concludendo: I miracoli esistono?
Dio può far tutto, indipendentemente dall’uomo che può chiedere e bussare quando vuole.