Qualcuno pensa che i preti siano delle persone felici?

di ANDREA FILLORAMO

“…Qualcuno pensa che i preti siano delle persone felici, gioiose, soddisfatte della loro vita. Non mi spiego, però, perché nel mondo ben centomila preti hanno lasciato il ministero……………Cosa ne pensa lei?”
Email ricevuta il 6 novembre 2017 da endis@…………..

Non è proprio vero che i preti vivono in uno stato di felicità. Ricordiamo che il sacerdote è un uomo come gli altri, ma la suavita, a differenza della vita degli altri, si identifica con il suo servizio e per tal motivo egli è esposto continuamente a delle “crisi”, con le quali egli può arrivare anche a mettere in discussione non solo la sua vocazione ma anche i principali aspetti della sua esistenza, quali gli affetti, le relazioni sociali, progetti e obiettivi, fino al senso stesso della propria vita.Isuoi disaginon sono sempre causatidalla mancanza di spiritualità, ma possono nasceredal burn out delle altre professioni cioèl’esito patologico di un processo stressogeno che interessa, in varia misura, diversi operatori e professionisti che sono impegnati quotidianamente e ripetutamente in attività che implicano le relazioni interpersonali. Non mancano, però, i problemi che riguardano l’istituzione ecclesiastica, la sua organizzazione, le responsabilità affidate, le relazioni con i propri confratelli o con il vescovo. Se nel passato però questi problemi ogni prete li viveva da solo, negli ultimi tempi, almeno dove io risiedo, chiede aiuto e non solo per questioni legate al celibato.Non mancano, però, le crisi affettive, quando, cioè, il celibato diventa un peso. In aiuto del prete in crisi ci potrebbe essere un’ampia gamma di possibilità: dal semplice supporto psicologico all’invio presso altri sacerdoti o istituzioni accoglienti per un periodo di riflessione. L’importante in queste strutture è che tutto nasca da un ascolto attento delle problematiche e della storia della persona e che si coordinino progressivamente gli interventi. Dopo un percorso rigoroso, per molti “l’aver affrontato e risolto la crisi può portare a una rinnovata responsabilità, maturità e consapevolezza delle proprie fragilità, con un pieno ritorno al ministero”. Per alcuni di loro, anche se si tratta di una scelta drammatica e dolorosa, però, l’esito migliore può essere l’uscita dal ministero sacerdotale. Quando un prete decide di lasciare, deve parlare con il vescovo e attraverso il vescovo fare domanda alla Santa Sede per ricevere la dispensa dagli obblighi sacerdotali, rimanendo sempre sacramentalmente prete che, però, non può più esercitare il ministero. Se nel passato le diocesi “si lavavano le mani” e il prete che decideva di lasciare il ministero, talvolta o spesso senza titoli scolastici o professionali, era condannato alla miseria, oggi, ci sono delle diocesi che continuano a garantire per un certo periodo un reddito al sacerdote che lascia, ma non mancano anche preti che, magari a causa di incomprensioni e rotture durante il periodo di discernimento, vengono abbandonati;sono persone cui viene negata anche l’opportunità di insegnare religione nelle scuole come possibile sbocco occupazionale. Ci sono anche alcune associazioni o gruppi informalidi preti, laici, psicologi, che affrontano con loro le situazioni diverse che possono capitare, non solo quelle legate al celibato e che si occupano di aiutare quelli in difficoltà che magari non sanno come muoversi, cosa fare, con chi parlare. Le difficoltà maggiori per chi sta pensando di lasciare sono di ordine economico, sociale e sempre la scelta è molto dolorosa. Si tratta di mettere in discussione una scelta di vita fatta per amore e fede. Si tratta di lasciare un mondo che si è amato, per il quale a lungo si sono preparati, comunità da loro formate con grande disponibilità, a volte per una donna, a volte per un’insoddisfazione pastorale o per altri motivi. In ogni caso, un prete che vuole uscire dal ministero non è sempre riconosciuto nella società, spesso non ha una casa e non ha entrate economiche. Per questo ha suscitato entusiasmo tra loro la visita del Papa, l’11 novembre 2016, a casa di un prete sposato dove si erano radunati altri sei sacerdoti sposati con le loro famiglie. È sembrata un’apertura di sguardo misericordioso che altri vescovi sembrano non avere. Come, al di là di quello che molti pensano, non si tratta soltanto di abolire la legge del celibato che dovrebbe essere solo volontario, ma di un cambiamento di mentalità all’interno della chiesa, reso urgente dalla quantità insopportabile di preti che lasciano il ministero