Chi sono gli ex preti?

di ANDREA FILLORAMO

Ricevo il messaggio dalla Sig.ra S.G: “Finalmente le posso scrivere. Ho avuto il suo numero di telefono da Padre XXXX. Le chiedo: «Quale è l’identità dell’ex prete e quali sono le motivazioni per le quali un prete lascia il sacerdozio?». Queste domande me le sono poste dopo aver letto un suo articolo su IMGPress. Grazie”.

Rispondo alla Signora SG, così come posso.
Ci chiediamo innanzitutto: “chi sono gli ex preti?”. La risposta più ovvia sembrerebbe la seguente: “Sono quelli che sono stati preti e adesso non lo sono più”. Ma, per i cattolici, non è così. Per la Chiesa, gli ex preti, sono quelli che hanno rinunciato al ministero, ma continuano a essere preti, in quanto l’ordinazione che hanno ricevuto è un sacramento indelebile, come il battesimo e la cresima, al quale non possono, essi rinunciare; tant’è che, se amministrano un sacramento, compiono un atto valido anche se illecito. La rinuncia al ministero, fatta su richiesta di chi è stata ordinato, significa, quindi, soltanto la dimissione dallo “stato clericale” e la conseguente eventuale dispensa dal celibato. Sarebbe, quindi, incongruo parlare di “ex preti”, tuttavia quell’ex che si premette al termine “prete” indica, da un punto di vista sociale, soltanto l’abbandono di un ruolo e la sostituzione con un altro; perciò il passaggio dallo stato clericale a quello laicale, in parole povere il cambiamento di vita. Andiamo adesso alla domanda: “Quali sono state le motivazioni che hanno portato gli ex preti alla cessazione del ministero?”. E’ difficile dare una risposta univoca a questa domanda, perché ogni scelta di cambiamento di vita è sempre una scelta personale e, quindi, se la scelta di lasciare il ministero, riguarda in Italia circa diecimila preti e nel mondo circa centomila preti, tante sono le difficoltà a pervenire a dati precisi concernenti tutti i motivi dell’abbandono. Le cifre dell’abbandono, cioè il numero totale di quelli che hanno lasciato il ministero, oltretutto mai sono ufficiali anche se abbiamo la certezza che dal Concilio ad oggi, quindi dagli anni sessanta ai nostri giorni, la defezione sacerdotale è un fatto assai frequente. Per rispondere con certezza alla domanda del perché una moltitudine di preti, in Italia, ha lasciato il ministero occorrerebbero degli studi sociologici, che in realtà sono pochi. Per rispondere, quindi, faccio riferimento alla mia esperienza e a quella di quanti ho potuto ascoltare nel mio pluriennale accostamento ai preti in difficoltà sia quelli in esercizio, sia particolarmente a quelli che hanno lasciato. Mi preme innanzitutto evidenziare che molti ex preti, pur avendo lasciato l’esercizio ministeriale, hanno continuato, nella profondità della loro coscienza, a sentirsi preti, forse preti più veri di prima, più consapevoli di sé, non più funzionari del sacro e addetti ai riti, ma preti in tutto quel che fanno. Ciò è dimostrato anche dal fatto che ci sono degli ex preti che, non sentendosi vincolati al divieto della Chiesa ad esercitare il ministero, celebrano l’eucarestia e gli altri sacramenti nel chiuso di piccoli gruppi. Se si chiedono a loro i motivi per i quali hanno lasciato il ministero preferiscono non rispondere se non per accenni. Gli accenni concernono i malesseri del presbiterio, i rapporti problematici con i superiori, quasi mai il desiderio di contrarre matrimonio, che considerano una conseguenza generata in molti casi da una conseguenza di più fattori, la routinizzazione dell’esercizio del ministero al quale si sentivano obbligati. Quasi tutti poi riferiscono dell’ insoddisfazione determinata dallo stato di solitudine dovuta al loro stato, della scarsa fiducia nel sistema clericale, del mancato rinnovamento della Chiesa, della necessità di avere una famiglia, della paura di vivere la vecchiaia in uno stato di abbandono. Per tutti loro lacerante è stato il conflitto interiore prima di fare la scelta dell’abbandono e dolorosissimo l’exit, durante il quale essi erano consapevoli che un capitolo della propria esistenza si stava chiudendo e un altro irto di tante difficoltà si sarebbe aperto. Tuttavia l’uscita è stata sempre accompagnata da un senso profondo di liberazione e dalla certezza di assumere un maggiore controllo della propria vita. Essi sapevano di perdere tutte le garanzie di cui hanno sempre beneficiato, di cercarsi un’abitazione e un lavoro, lontano dal luogo di residenza, di lasciare, quindi, tutte le persone con cui si erano stretti dei rapporti, che forse sarebbero rimasti delusi. Sono diventati, perciò, preti in modo diverso, con una famiglia, con mogli e figli, con un lavoro che talvolta li impegna più di una parrocchia. L’inserimento nel mondo del lavoro per loro è stato estremamente difficile e talvolta ha seguito percorsi tortuosi, sia per la mancanza di titolo di studio, dato che nel passato, gli studi fatti nei seminari non avevano un riconoscimento giuridico, sia per la mancanza di professionalità. Alcuni, pur sentendosi dequalificati, hanno svolto professioni come quello dell’operaio generico o del muratore. Quelli che, superando difficoltà, hanno, da preti ripreso gli studi per un diploma e una laurea hanno trovato una collocazione professionale nella scuola e da docenti non si sono trovati molto lontani dalla “mission” del sacerdote e hanno, più degli altri, trovato una realizzazione personale. Da quel si sa, infine, quasi tutti i preti che si sono sposati sono soddisfatti della vita di coppia e poche sono state le separazioni e i divorzi.