Dobbiamo aprirci al “mistero di Dio”

Gv 16,12-15

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”.

di Ettore Sentimentale

Oggi la Chiesa ci pone di fronte al mistero della Santissima Trinità. Lo fa con questa breve pericope giovannea, tratta dal lungo “discorso di addio” (Gv 13-17) riflettendo sulla quale dovremmo avvertire almeno il desiderio di aprirci al “mistero di Dio”.
Se da un lato la tradizione teologica si colloca nel solco della riflessione sistematica che ha prodotto uno sforzo attraverso cui ha cercato di spiegare e commentare le “relazioni” e le “differenze” che rispettivamente tengono unite e caratterizzano le “persone” divine all’interno della Trinità, dall’altro – scrutando nel dettato evangelico – scopriamo che Gesù ha percorso un’altra strada per farci entrare nel mistero trinitario.
In un certo senso è lo stesso itinerario che ogni comunità deve compiere – attraverso l’illuminazione dello Spirito – per gustare pienamente tutta la verità. In cosa consiste questo percorso? Nell’accogliere l’invito di Gesù a relazionarsi con fiducia al Padre (il salmo 8, in questa domenica descrive la ricerca appassionata di Dio attraverso lo sguardo di un bambino) e seguire fedelmente le sue orme di Figlio incarnato (qui torna l’espressione “Se mi amate osserverete i miei comandamenti”, Gv 14,15) a lasciarci guidare e consolare dallo Spirito Santo (vedi vangelo di domenica scorsa).
Questi passaggi sono “obbligati” se vogliamo “sperimentare” qualche balbettio del mistero di Dio, raccontato da Gesù con “categorie umane”. Così, infatti ci ha invitato a vivere come figli del Padre buono e autentico. Ci ha fatto intravedere in Dio il Padre affettuoso, i cui tratti principali non sono il potere e la forza, ma le sue compassioni infinite. Pertanto nessuno è tagliato fuori dalla comprensione e dal perdono paterni. Anzi, ognuno deve sentirsi al sicuro, “protetto” dall’affetto del Padre perché il Figlio ha inaugurato un progetto che abbraccia e promuove tutti: il “regno di Dio”. Di tale regalità siamo tutti contagiati, particolarmente gli emarginati e gli indigenti.
Capisco che si fa presto a scrivere queste cose che potrebbero risultare un’offesa a coloro che realmente vivono nella povertà…Le rassicurazioni di Gesù, però, ci obbligano in tale ipotesi ad allargare l’orizzonte delle nostre valutazioni, perché garantiscono la veridicità del suo insegnamento: “Non si turbi il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e anche in me” (Gv 14,1).
Lui, il Figlio di Dio, immagine “autentica” del Padre, ci fa scoprire in tutta la sua portata l’amore paterno. La prima cosa di cui si preoccupa un padre, come conseguenza del suo amore, è quella di rivolgersi ai propri figli con fiducia e di insegnare loro attraverso la sua parola. Oggi potremmo tranquillamente dire: instaura un “clima di famiglia” nel quale ognuno scopre di essere amato/amante.
È stato anche questo il desiderio di Gesù: poter formare con i suoi discepoli una famiglia che mette al centro la ricerca e l’attuazione della volontà del Padre, il quale vuole instaurare “cieli nuovi e terra nuova” (Is 65,17).
Domenica scorsa abbiamo ascoltato come la “famiglia di Gesù” è partita per rendere testimonianza della sua morte e risurrezione “fino agli estremi confini della terra” (Atti 1,8). Oggi, contempliamo lo Spirito come l’amore di Dio, il “respiro” che Padre e Figlio condividono, la forza, la spinta e la vivacità che renderà i discepoli collaboratori del progetto di amore della Trinità.