Se mi amate, osserverete i miei comandamenti

Gv 14, 15-16. 23b-26

Nell’ora del suo passaggio da questo mondo al Padre, Gesù disse ai suoi discepoli: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

di Ettore Sentimentale

Nella solennità di Pentecoste, celebrazione con quale la Chiesa conclude il Tempo Pasquale, la liturgia della messa del giorno propone alla nostra riflessione un brano del vangelo secondo Giovanni, estrapolato dal lungo discorso di addio. Nel riportare tale pericope, ho voluto anteporre un’introduzione (risonanza di Gv 13,1) che ci permette di collocare il brano nel suo alveo originale. Quello che è l’oggetto della nostra attenzione, è quindi un frammento di quanto avvenuto nel contesto della lavanda dei piedi, preceduta dal riferimento spazio-temporale “nell’ora del suo passaggio da questo mondo al Padre…”.
Il nostro brano ripete ostinatamente il ritornello: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”, dal quale scaturisce il resto e sul quale ruota il contenuto dell’intera pericope: quasi una riflessione approfondita e articolata di Gv. In una battuta, potremmo dire che il quarto evangelista sintetizza in pochi versetti la sua teologia su cosa significhi e comporti “amare il Figlio”.
Amare Gesù, credere in Lui, non può ridursi ad esercizio dialettico, fatto di belle parole e buoni propositi. “Amare Lui” si esprime nella fedeltà ai suoi comandamenti a tal punto da esserne espressamente sottolineata dal testo: “Se qualcuno mi ama resterà fedele ai miei comandamenti” (altra versione possibile dl versetto citato sopra). Gesù sa che non è facile vivere tale lealtà e per questo non lascia solo il credente, in balia delle sue forze inadeguate. In questo contesto di addio, Gesù assicura ai suoi che non resteranno “soli” dopo la sua dipartita, perché lui pregherà il Padre che invierà “un altro Paràclito, lo Spirito della verità”.
Ma c’è di più. Proprio in questo àmbito, Gv ribadisce un tema a lui caro, strettamente collegato al verbo “dimorare”: il Padre e il Figlio verranno a lui (il credente) e prenderanno dimora presso di lui.
Approfondendo questi ultimi passaggi, alla luce della teologia giovannea, bisogna dire che Gesù è il primo Paràclito; lo Spirito ne sarà il nuovo, le cui funzioni sono molteplici: insegnare, fare ricordare, testimoniare in favore di Gesù…
Solo così il Vangelo non sarà un semplice souvenir da esporre con cura come un soprammobile o un messaggio da ripetere a memoria. Nelle situazioni sempre nuove e impreviste, lo Spirito si renderà presente per fare dell’insegnamento di Gesù una parola vivente e illuminante.
Un’ultima considerazione va fatta sul sostantivo con cui la Chiesa definisce lo Spirito. La traduzione liturgica italiana ha optato per il termine “Paràclito”. Altre versioni odierne usano dei sinonimi, ciascuno dei quali mette in risalto una particolare funzione. Fra i più comuni notiamo: “Consolatore” (con particolare riferimento al sostegno che lo Spirito offre a chi è “solo”) e “Difensore” (che mette in risalto la capacità “protettiva” di Gesù, nei confronti dell’uomo peccatore davanti al Padre).
Nell’ultima ipotesi, lo Spirito è l’altro difensore inviato da Gesù, colui che testimonierà e agirà in favore dei credenti e in loro. Sta a noi… lasciare “campo libero” all’azione del Dolcissimo Sollievo.