Per amore di una donna escluso dalla Chiesa

Andrea Filloramo, ho notato un interesse particolare al tema da te trattato del carattere indelebile che rende il prete che abbandona il ministero, un sacerdote per sempre. Ciò significa che finalmente, almeno i nostri lettori, abbandonando ogni pregiudizio mostrano una certa sensibilità e comprensione nei confronti di quanti con coraggio lasciano il ministero. In un certo qual senso vorrei continuare il discorso da te iniziato nella Post-fazione al libro di Léon Laclau “Per amore di una donna escluso dalla Chiesa” ed. IMGPress 2015. Vogliamo approfondire questo argomento?

Certamente.

A tuo parere quali sono le cause che determinano l’abbandono del ministero da parte di molti preti?

Per rispondere a questa domanda, occorre innanzitutto tener conto che il numero dei preti che hanno lasciato o lasciano il ministero è enorme. Si tratta, dal 1970 ad oggi, di ben 100.00 preti. Le cause, quindi, possono essere tante. Tuttavia, per un’analisi di quello che indubbiamente è un “fenomeno”, del quale si dovrebbero interessare non solo la Chiesa ma anche le scienze sociali, possiamo individuare delle cause generiche, che sono cause remote e cause prossime. Tanti, quindi, possono essere i fattori che causano tale abbandono, che, per tutti – occorre dirlo – non sono mai facili ed indolori. Si tratta di atti di coscienza in ogni caso da rispettare.

Quali, quindi, a tuo parere, sono le cause remote?

Le cause remote degli abbandoni sono molto varie. Esse vanno da situazioni particolari, a situazioni di instabilità affettiva, a crisi di fede, a conflittualità con i superiori, al sentirsi costretti in una struttura che “toglie il respiro”, la depressioni, ai limiti personali, a impreparazione o a mancanza di formazione affettiva/sessuale, carente nei seminari e infine a incapacità di superare problematiche psicologiche.

Quindi non si tratta sempre del venir meno all’obbligo del celibato che la Chiesa impone ai preti?

Hai detto bene, Non si tratta sempre di problemi legati al vincolo celibatario. Per molti che poi si sposano, può essere questa la causa prossima che consiste in un innamoramento nei confronti di una donna.

Come e quando avviene il meccanismo dell’abbandono?

Presa coscienza di una o più cause, che, quindi, maturano nel tempo, o costretto da una situazione che non è mai improvvisa, il prete lascia. L’abbandono spesso avviene dopo più di 10 anni di ministero…

Come fanno a vivere i preti che lasciano. Essi non hanno una professione, spesso non hanno neppure un titolo di studio con cui possono accedere al lavoro?

E’ certo che la mancanza di professionalità e di titoli di studio specifico, possono vietare a dei preti di fare il passo dell’abbandono e che, quindi, possono esserci dei preti che permangono nell’incertezza e forse anche nell’ipocrisia. Oggi, inoltre, con il sostentamento del clero, voluto dalla revisione del Concordato, viene assicurato a tutti i preti e, quindi, anche al sacerdote giovane, appena ordinato uno stipendio, mentre nella società civile, molti giovani, anche se laureati e con dottorati di ricerca, sono, in questo periodo di crisi, destinati alla disoccupazione.Avere, quindi, la certezza, di uno stipendio, frena indubbiamenteogni desiderio di intraprendere una vita destinata alla miseria.Tuttavia qualche volta – e si moltiplicano questi casi che meritano di essere attentamente studiati – vi sono oggi anche dei preti giovani che nel primo o secondo anno dell’ordinazione lasciano il ministero. La maggior parte dei sacerdoti che hanno lasciato, da quel che mi risulta, hanno trovato una dignitosa sistemazione nei settori più svariati. Essi hanno un impiego o un’attività professionale.

La Chiesa si interessa di loro, ha una pastorale per chi per anni l’ha servita?

Assolutamente no. Negli ultimi tempi qualcosa, però, sta cambiando. Risulta, infatti, che parecchi di essi, se dispensati dagli obblighi sacerdotali, sono stati accolti da qualche vescovo per svolgere incarichi ecclesiali e per insegnare religione o, comunque, per lavorare in istituzioni dipendenti dall’autorità ecclesiastica. Si tratta, però, di casi sporadici, che speriamo siano seguiti da altri vescovi.

Risulta, però, che dei preti “secolarizzati” non abbandono la loro vocazione ma solo l’esercizio del loro ministero.

E’ proprio così. Ci sono dei preti sposati che volontariamente svolgono delicate mansioni nella formazione dei giovani e – nessuno si meravigli – nella formazione permanente del clero o nell’aiuto ai sacerdoti in difficoltà.

Non ricordo dove ho letto che, particolarmente nelle grandi città, dove è più facile l’anonimato, vi siano dei preti sposati, che riuniti in associazioni non riconosciute dalla Chiesa offrono i loro servizi sacerdotali a chi li richiede, come fedeli che a motivo della loro situazione irregolare o di comodità non desiderano ricorrere ai servizi di un sacerdote regolare.

E’ proprio così.

I preti che hanno lasciato il ministero, possono, se lo chiedono essere riammessi?

Esiste un discreto gruppo di sacerdoti che, dopo aver abbandonato il ministero, trascorso un certo tempo, chiedono di essere riammessi, ma senza abbandonare la vita di preti sposati, pur sapendo che la Chiesa non concede senza modificare la legge sul celibato. La Chiesa concede la riammissione solo a coloro che sono liberi da vincoli matrimoniali o, quindi, a coloro che non si sono mai sposati oppure ai vedovi. Ben poca cosa, a dire il vero.

Quali sono le procedure che, in questi casi, devono essere seguite?

Per poter chiedere la reintegrazione nell’esercizio del ministero, oltre alla domanda dell’interessato, occorre la dichiarazione di un vescovo "benevolo", o di un superiore maggiore religioso che manifesti la sua disponibilità a incardinare la persona nella sua diocesi (o nel suo Istituto religioso con la professione dei voti temporanei), offrendo garanzie circa l’assenza di pericolo di scandalo qualora la domanda fosse accolta. Il richiedente dev’essere libero da vincolo matrimoniale sacramentale e non deve avere obblighi civili verso la moglie o verso i figli minorenni. Questo suppone normalmente che i figli siano maggiorenni, autosufficienti economicamente e non vivano con il padre. Se è stato sposato, occorre il certificato della morte del coniuge se è rimasto vedovo, oppure il decreto relativo nel caso di nullità del matrimonio del richiedente. Inoltre si richiede che l’età sia "ragionevolmente non troppo avanzata" e che si possa avere la testimonianza di laici ed ecclesiastici circa la sua idoneità a riassumere il ministero. È richiesto anche un aggiornamento teologico di almeno sei mesi. Infine, se si tratta di un ex-religioso che ora desidera essere incardinato in una diocesi, si richiede anche il nulla osta da parte del superiore religioso di origine.

Tutto questo perché nella Chiesa Cattolica non si ha il coraggio di abolire l’obbligo del celibato ecclesiastico.

E’ difficile che ciò avvenga. Per fare ciò occorrerebbe, innanzitutto, che la Chiesa abbandoni la sessuofobia, riveda non solo a parole la misoginia, che se anche, negli ultimi tempi è resa più stemperata, è ben presente e occultata nelle pieghe più profonde dell’anima clericale e non solo. E poi, sarebbe necessaria una ristrutturazione organizzativa totale del vivere e delle attività dei preti, l’abolizione dei seminari e l’indipendenza economica di chi esercita il ministero.