La trasparenza nella Chiesa? è possibile

di ANDREA FILLORAMO

A un tale che ai miei scritti ripetuti sulla trasparenza nella Chiesa e particolarmente nella Chiesa Messinese, obietta che essa, per varie ragioni, è impossibile che si realizzi, cerco di rispondere in maniera, però, che non può essere esaustiva. La trasparenza da alcuni anni è promossa dalla stessa CEI ma – lo sappiamo – è di difficile implementazione, tanto che, in qualche diocesi, la mancata trasparenza ha costretto e costringe talvolta il clero e i vescovi a un “bellum omnium contra omnes” e se non si pone al più presto rimedio, diviene causa di situazioni sempre più intollerabili. La trasparenza, inoltre, è un’esigenza del complesso sistema amministrativo, che è operativo in ogni diocesi e in ogni parrocchia e noi non ci dobbiamo stancare mai di affermarla e dichiarirne i termini.

La trasparenza nella Chiesa? E’ possibile. Lo ha affermato il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco nel febbraio 2011, incontrando i giornalisti a margine di un Convegno sull’otto per mille. “La trasparenza è un valore che tutti desiderano e che fa parte di una cultura dignitosa, quindi è sempre da perseguire a tutti i livelli per il bene del Paese". "Oggi più che mai – ha spiegato Bagnasco – una limpida trasparenza, soprattutto nell’uso del denaro è condizione imprescindibile per la credibilità generale della Chiesa e per la realizzazione fruttuosa della sua missione nel mondo". E ha specificato: "Quando si parla di trasparenza, non si intende tanto sottolineare l’onestà e la correttezza, che all’interno della Chiesa si devono dare per scontate, ma pure una gestione lineare e da tutti verificabile dei beni, ricordando che la dimensione economica è tra le più delicate e incidenti sul vivere e sul sentire degli uomini". La “gestione lineare e da tutti verificabile dei beni” accennata da Bagnasco, dovrebbe regolare, quindi, “la dimensione economica” di ogni singola diocesi. Ogni diocesi,infatti, per raggiungere gli obiettivi pastorali che le sono propri, e, quindi, la sua missione, ha bisogno necessariamente dei mezzi e regole concrete per realizzarla. Da ciò facilmente si evince che ogni scelta sia economica, sia amministrativa che la diocesi fa è necessariamente connessa con le scelte pastorali operate. Il Vescovo, in quanto responsabile della diocesi di cui è titolare, è anche responsabile della gestione dei beni diocesani. Egli, però, non avendo competenze amministrativo- contabili, deve essere capace di suscitare uno staff collaborativo di preti, diaconi e laici, preparati, che con competenza, precisione e capacità organizzativa, predispongano le strategie per intelligente utilizzo delle risorse, evitando il pressappochismo e l’inosservanza delle norme dell’ordinamento civile e di quello canonico. Il Diritto Canonico, infatti, nel can. 1287 § 2 così recita: «Gli amministratori rendano conto ai fedeli di benida questi stessi offerti alla Chiesa, secondo norme da stabilirsi dal diritto particolare»; e il can. 1300: «Le volontà dei fedeli che donano o lasciano i propri averi per cause pie…, una volta legittimamente accettate devono essere scrupolosamente adempiute, anche circa il modo dell’amministrazione e dell’erogazione dei beni». Gli adempimenti richiesti dall’ordinamento italiano, a loro volta, presuppongono un atteggiamento di lealtà e di corretta collaborazione con lo Stato e gli enti pubblici e devono essere attuati con precisione, nonostante una certa onerosità. Importanti sono gli adempimenti volti alla sicurezza, alla tutela di persone e cose, ecc. ma anche quelli contabili e fiscali. È indubbio che la scelta concordataria operata in Italia, che ha indubbi pregi e vantaggi con riferimento agli enti e ai beni ecclesiastici: in particolare perché l’ordinamento della Chiesa in quanto tale diventa rilevante per l’ordinamento dello Stato. In altre parole, per operare nell’ordinamento italiano gli enti della Chiesa non devono configurarsi diversamente da quel che sono, le loro caratteristiche sono quelle delineate dal diritto canonico, per cui le normative canoniche a cui la sua amministrazione è soggetta sono rilevanti anche per lo Stato (vendere un terreno senza la necessaria licenza è un atto invalido anche civilmente). Da non trascurare il fatto che i criteri, lo stile di gestione e di amministrazione dei beni della Chiesa devono essere in particolare quelli della comunione e della partecipazione, come previsto dalla normativa canonica (can. 1277 e delibera CEI n. 37, cann. 1292-1295), che obbliga l’istituzione di due organismi di partecipazione, quali il Consiglio per gli affari economici e il Collegio dei consultori nell’amministrazione della Diocesi (il loro consenso è, per esempio, obbligatorio affinché il Vescovo possa porre atti di straordinaria amministrazione), non è ispirato a soli motivi di prudenza (evitare che il Vescovo faccia tutto da solo…), ma alla caratteristica di corresponsabilità che connota la vita e l’agire della Chiesa. Un’importanza particolare nel sistema amministrativo della diocesi ha l’economo, che non ha mai la gioia di essere ringraziato, che è quello che studia i progetti, che segue con competenza i lavori, che gestisce con pazienza e preoccupazione le scadenze di pagamenti con l’obiettivo di rendere un autentico servizio alla Chiesa, una vera vocazione. "Fare un po’ di pulizia, aumentare la trasparenza, recuperare freschezza, genuinità e agilità fa bene alle strutture e alle persone" che operano nella Chiesa. Papa Francesco lo sottolinea nel videomessaggio inviato ai partecipanti a Verona al ‘Festival della dottrina sociale della Chiesa’, che ha per tema ‘La sfida della realtà’.