IL FALLIMENTO DI UN PRETE

Andrea Filloramo, mi piacerebbe estendere l’ultima tua intervista su altri temi che riguardano non solo la diocesi di Messina, il suo clero e gli ultimi avvenimenti sui quali anche i media si sono lungamente interessati, approfittando delle tue competenze che non sono solo teologiche.
Accetto volentieri, purché, come tu vuoi, non mi si chiedano, anche se indirettamente, informazioni, interpretazioni e varie sulle dimissioni di chi è stato per anni arcivescovo e archimandrita della storica arcidiocesi peloritana. Occorre, a mio parere, che a tale capitolo debba porsi la parola fine. Sarà la storia, che molto spesso è più severa di chiunque di noi, ma talvolta, anche se a posteriori, assolve, giustifica o perdona, a risolvere i dubbi su una questione che, secondo me, è stata mal gestita dal “cerchio magico”, costruito attorno al vescovo emerito. Esso, per paura di perdere “un potere senza potere” per lui gratificante ma sicuramente inefficace, ha preferito costruire una “turris eburnea”, dove ha racchiuso assieme all’arcivescovo, anchela verità. Ma questo atteggiamento appartiene profondamente alla psicologia dei preti anche di coloro che a questa psicologia si oppongono quando vengono esclusi da qualunque cerchio magico.

Si tratta, hai detto, di un potere senza potere?… Chiarisci per favore questo concetto.
È proprio così. Al cerchio magico appartengono solo gli “ubbidienti totali”, i “perinde ac cadaver”, gli utilitaristi, i “leccapiedi”. Essi quindi, una volta dentro la maglia di privilegi, rinunciano a potersi servire della libertà; entrano a far parte di una generazione di “cavalli di razza”, pronti sempre a trottare per il loro signore, apprezzano i vantaggi del potere, che arrivano da una situazione di quiete. Non hanno interesse, quindi, a istigare nella gente strani pensieri su eventuali aperture verso una Chiesa più democratica, più conciliare, più vera. Sono dentro un groviglio di potere, che non è loro potere, talmente intrecciato, che è difficile credere che possano rinunciare ai piccoli privilegi, di cui godono in ragione del loro accesso alle informazioni che per loro davvero contano, fatte anche di pettegolezzi, di cattiverie, di lettere anonime, talvolta costruite e inventate da qualcuno di loro.

E a quelli che hanno formato, attorno all’arcivescovo, quello che tu chiami cerchio magico, io desidero riferirmi. Vorrei che si parlasse non solo di quello ma dei tanti “cerchi magici”, che, in un sistema di tipo clientelare nella Chiesa, prolificano in quasi tutte le diocesi che, per grazia ricevuta e difficilmente per meriti stanno a destra o a sinistra del seggio episcopale, pronti a tutto pur di non perdere i segni della loro appartenenza a quel mondo che per loro “conta”.
Nella tua domanda, “paucis verbis”, ci sono i profili dei preti appartenenti a quel “Medio Clero”, ai quali, seguendo un modello sicuramente clientelare, si attinge per selezionare i candidati all’episcopato che, una volta fatti vescovi e installati nelle loro diocesi, non possono fare a meno di contribuire a perpetuare un sistema che dovrebbe essere profondamente corretto e, quindi, ne raccolgono i frutti ma talvolta ne pagano le conseguenze. Ciò non vuol dire che chiunque è dentro questo modello è da ritenere, quindi, un cattivo vescovo. A esempio Mons. Antonino Raspanti, Amministratore Apostolico, persona sicuramente degnissima, (certamente mi perdonerà il riferimento) apparteneva al clero di Trapani e fu fatto vescovo per volontà di Mons. Miccichè, che a sua volta, apparteneva al clero di Monreale ed è stato fatto vescovo per esplicita volontà dell’arcivescovo Mons. Cassisa. Il fatto che Miccichè è stato ed è nell’occhio del ciclone della Magistratura e Cassisa sia stato molto chiacchierato, non scalfisce la figura di Mons.Raspanti.

Il sistema della selezione dei vescovi è sicuramente un sistema collaudato; si può al massimo correggere, ma per la Chiesa è difficile o impossibile cambiarlo nello spazio di poco tempo, ma non sono così i vizi e i difetti legati al sistema, che devono, per il bene della Chiesa, essere al più presto eliminati
Il sistema, come tu dici è sicuramente collaudato ed è impossibile dall’oggi al domani cambiarlo. È necessario anzi è urgente eliminare, però, i vizi e i difetti dei preti, che sono presenti nello stesso sistema e costituiscono, pur essendo inconsapevoli, il loro peccato originale. Non è l’ordinazione presbiterale o quella episcopale a renderli migliori, incorruttibili, esemplari, antropologicamente perfetti, diversi, né diventando vescovi, dimenticano di essere stati preti, d’essere stati formati per diventare preti e le strategie usate per essere scelti come preti – essi dicono – dallo Spirito Santo (se fosse così, quanti errori avrebbe fatto lo Spirito Santo!) a fare i vescovi.

Siamo tutti convinti che non è l’abito che fa il monaco, né l’ordinazione che fa il prete o il vescovo. I preti – hai detto – non dimenticano d’essere stati formati a diventare preti.
E’ proprio così. Neppure quei preti che hanno lasciato il ministero riescono, dopo tanti anni a dare un colpo di spugna a tutto ciò che, nel bene e nel male, ha condizionato la loro vita. Esso si ripresenta “ad occhi aperti” e anche spesso ad “occhi chiusi”, nei sogni. È indubbio che l’educazione e la formazione impartita al bambino, all’adolescente e al giovane creano le strutture portanti della personalità di ciascuno. Da evidenziare che molti preti fin da bambini, da adolescenti o al massimo da giovani sono stati nei seminari.

E allora?
Mi riferisco ai seminari di una volta. Dei seminari di oggi so poco o nulla. E se ho delle riserve per i seminari odierni le conservo per me. Il fondamento e gli scopi dell’educazione seminaristica di una volta erano quelli di trasformare le persone in oggetti che non fossero in grado né di rivendicare i propri diritti, né di riconoscere cosa era o non era importante. Il fondamento dell’educazione nei seminari era quello di controllare le persone, fissando in forma patologica quelle forme espressive psicologiche infantili che rendono incapace la persona di agire nella realtà in modo vantaggioso per costruire il futuro.È doloroso fare questa affermazione. Ma solo la consapevolezza di questo “vulnus” alla personalità può aiutare il prete di oggi ad affermare la propria soggettività e forse anche a cominciare ad essere veramente prete, che significa anche far crescere in senso cristiano anche la personalità degli altri.
Eppure i superiori avrebbero dovuto conoscere la psicologia della preadolescenza e dell’adolescenza.
I superiori non conoscevano assolutamente la psicologia di quell’età in cui ogni ragazzo comincia ad acquisire la piena consapevolezza di sé, come soggetto che interagisce con altre persone e con la realtà che lo circonda, in cui comincia a rivedere profondamente i valori prima accettati come ovvi. Questo processo di messa in discussione dei valori è etichettato come semplice ribellione da molti adulti. In realtà, il preadolescente si sforza di costruire una sua visione originale del mondo, attraverso la sperimentazione delle sue capacità; interagisce con l’ambiente al fine di favorire uno sviluppo molto creativo della personalità.

Tutto questo è mancato ai seminaristi, oggi preti, vescovi e cardinali e ciò con responsabilità degli educatori
Ovviamente evidenzio solo alcuni aspetti che io ritengo estremamente negativi per i futuri preti ben presenti nel loro subconscio che ancora creano problemi psicologici. Il seminario allora era un luogo dove si obbediva sempre e comunque, dove si viveva sempre con la paura di essere sbattuti fuori e, perciò, “mandati al macello”, cioè al ludibrio di tutti quelli che, per la veste che indossavi, ti vedevano già prete e, una volta che eri obbligato a ritornare agli abiti civili, ti additavano come “il prete spogliato”.

La non consapevolezza di questo che tu hai chiamato vulnus, la mancata consapevolezza di sé nello stato adolescenziale, gli errori educativi dei seminari creano quindi tutta una serie di problemi ancora ai preti
Altro che. Tali problemi insoluti, ancor oggi permangono in una certa parte dei preti. Molti vizi e difetti e la stessa presenza dei “cerchi magici”, di cui abbiamo fatto cenno, sono la dimostrazione che i problemi ancora agitano una certa parte del clero. Anche se oggiquel tipo d’istituzione seminaristica non esiste più, sicuramente esistono ancora i preti, i rettori dei seminari, i superiori dei collegi religiosi, i vescovi, gli arcivescovi, i cardinali, che in esso lungamente si sono formati. Una buona parte delle attuali gerarchie ecclesiastiche, quindi, è figlia di quel mondo, al quale consciamente e spesso inconsciamente si fa riferimento. Fa seguito a loro una schiera numerosissima di preti.

Mi si permetti, perciò, di azzardare una domanda, indubbiamente provocatoria: “Forse certe chiusure della Chiesa, diventano comprensibili con un tale riferimento?
È proprio così ma una struttura ecclesiastica tesa all’«autoconservazione» e, quindi, all’ «immobilismo» è destinata a fallire.

Fallimento della Chiesa? Ritengo tale giudizio esagerato
Sì, è vero. Correggo il tiro. Si tratta del fallimento e della messa in crisi della casta clericale intesa come gruppo arroccato ai suoi interessi particolaristici.

Sì, è proprio così. I preti per non fallire devono idealmente uscire dalla casta clericale
Operazione molto difficile ma necessaria. È papa Francesco che lo chiede tutte le volte che lancia i suoi strali nei confronti del clericalismo che definisce “uno dei mali della Chiesa, ma è un male complice, perché ai preti piace la tentazione di clericalizzare i laici; ma tanti laici in ginocchio chiedono di essere clericalizzati, perché è più comodo! È più comodo! E questo è un peccato a due mani. Dobbiamo vincere questa tentazione”.