RISCOPRIRE LA FEDE PER CONTINUARE A VIVERE

Capita spesso ascoltare semplici fedeli ma anche sacerdoti che si lamentano del comportamento e della poca fede dei cristiani che abitualmente disertano le varie attività che vengono proposte in parrocchia. Certamente stiamo vivendo un periodo di crisi profonda, soprattutto antropologica, oltre che economica. Sono molto lontani i tempi del cristianesimo vissuto, quando la cultura occidentale, almeno a livello popolare, si identificava con la cristianità. Le difficoltà in cui si dibatte il cristianesimo sono tante, non solo deve opporsi alla dittatura del relativismo al mondo laicista, a certa intellighenzia che sui media veicola valori diametralmente opposti alla Chiesa. Esistono anche difficoltà interne, i cristiani, i cattolici sono stati “conquistati” da quei valori, che erano propri delle minoranze rivoluzionarie laiciste e ascoltano poco il Magistero della Chiesa. Cosicché diventa difficile mettere in atto la nuova evangelizzazione, di cui tanto spesso si parla, e che auspicava con forza San Giovanni Paolo II. Ciò che rende debole la comunità cristiana è soprattutto la crisi di identità. “Se non sappiamo più chi siamo, da dove veniamo e quali sono le radici della nostra storia, difficilmente ci renderemo conto delle sofferenze che patiscono i nostri fratelli nella fede perseguitati in diversi Paesi e difficilmente riusciremo a vincere la paura che ci divora”. (Marco Invernizzi, Segni concreti in difesa della famiglia e dei cristiani perseguitati, 27.12.15, comunitambrosiana.org). Il mondo occidentale di oggi soffre di una malattia dell’anima, la disperazione, è impressionante il numero dei depressi. “Però, se un mondo sta morendo, un altro può nascere all’interno del mondo che muore. Se la disperazione e la depressione sono malattie così diffuse, da esse si può guarire. La speranza non viene venduta in farmacia ma esiste, se viene coltivata nel campo giusto, dove essa può crescere.
La speranza è una virtù teologale che ci dona la fiducia nelle promesse di Cristo sulla vita eterna. Essa si trova attraverso la preghiera e i sacramenti. Ma quando ritrova la speranza nell’eternitá, l’uomo trova anche la forza per rinascere nella storia, e per ben operare. Così nasce una nuova epoca storica all’interno di un mondo che muore”.
Allora è necessario riflettere sulle forme e sui modi di rendere comprensibile oggi il lieto annuncio del Vangelo. Più che di piani pastorali, che magari sono poco comprensibili e che nessuno legge, potrebbe essere utile un buon libro come quello che mi è capitato di leggere in queste vacanze, scritto da Rosanna Brichetti Messori, “Credere per vivere. Alla riscoperta della fede cristiana”, Sugarcoedizioni (2007). Il testo scritto dalla moglie del più illustre Vittorio Messori, vuole essere “un aiuto, una sorta di guida, suddivisa in molti e brevi capitoli autonomi, scritta in linguaggio facile[…]”. E’ una traccia, per un cammino di approfondimento della fede cristiana. Il testo della Messori, vuole essere “un singolare viaggio fin dentro alle radici del credere per riscoprirle e rinsaldarle, riflettendo sulla bellezza della fede cristiana che apre orizzonti umani e soprannaturali affascinanti e sorprendenti”.
Quale sarà l’arma vincente che consentirà al cristianesimo di superare questi frangenti difficili?” Per la Brichetti Messori è ritrovare la pace e soprattutto Gesù Cristo, radicarsi in lui e seguirlo sulla via della santità, così diventerai “un apostolo efficacissimo che porterà nella sua scia una schiera talvolta innumerevoli di fratelli”.
La Messori fa riferimento a San Pio da Pietrelcina, uno che ha contribuito a convertire davvero tanta gente a Dio, un umile cappuccino, un alter Christus. Uno che ha profondamente trasformate tante anime, un degno figlio di S. Francesco. Certo padre Pio era una vetta di santità, per certi versi è vero. Ma c’è una santità anche dietro una vita ordinaria, simile alla nostra. I santi del quotidiano. I santi taumaturghi, sociali, riformatori, mistici, confessori…La Messori cita una serie di santi a cominciare dalle due colonne della Chiesa, apparentemente antitetici: S. Francesco e S. Domenico.
Dunque dobbiamo essere apostoli, ricchi di grazia divina, strumenti docili nelle mani del Signore, dobbiamo essere uomini ricchi di sapienza che intuiscono i bisogni profondi di chi gli sta di fronte e sapranno “trovare le parole giuste per parlare al suo cuore e aprire la via a Dio”.Per la Messori, “l’apostolato, non è frutto dei nostri sforzi se non in minima parte. E’ anzitutto dono di Dio da meritare con una vita santa fatta di amoroso abbandono a colui che ha detto di essere lui – e non noi – Via, Verità e Vita”. Questo ci consola scrive la Messori, è un conforto di cui abbiamo bisogno in questi tempi duri.
Importante sono i carismi nella Chiesa, a volte possono sembrare contraddittori tra loro. “…a qualcuno il Signore abbia ispirato di dare testimonianza di povertà radicale, ad altri invece abbia chiesto di testimoniare un buon uso delle ricchezze a servizio dei fratelli […]alcuni abbia donato una vocazione monastica, ad altri invece un impegno nel mondo, nella professione o nella carità”. E’ una bella immagine quella della Chiesa dei carismi, dobbiamo apprezzare tutti i carismi, anche quando magari sono lontani dalla nostra immediata simpatia, dal modo che a noi sembra migliore per vivere il Vangelo. Proprio la diversità è la loro ricchezza.
La migliore formula che sintetizza il senso e la finalità dell’apostolato, quel desiderio, il tentativo di portare Gesù Cristo ai fratelli, sono le parole che usa Pietro in una delle sue lettere: “Sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in noi”. Una formula che dice tutto; L’apostolato comporta due aspetti: “il primo costituito da un retroterra, da una formazione che ci renda ‘sempre pronti’ a porgere la Verità, ad aprirle la strada, a chiarire in che cosa consista la fede sia nei suoi aspetti razionali che in quelli soprarazionali”. Il secondo aspetto: non dobbiamo partire “soltanto da ragionamenti, per quanto ben fatti e inappuntabili, quanto piuttosto dalla nostra stessa ‘speranza’. E questo perchè è essa, ed essa soltanto, quale frutto della fede e della carità, ad alimentare ed animare davvero le nostre parole […]”.
Pertanto, come scriveva San Josèmaria Escrivà de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, “possiamo portare Dio agli altri solo se lo abbiamo dentro di noi, se coltiviamo con lui un rapporto vivo e stretto”. Possiamo intraprendere diverse iniziative, che sono la parte visibile del nostro apostolato. Certamente è importante saper tradurre in parole la nostra fede,“ma non è ancora tutto perché un altro elemento decisivo sarà la testimonianza che ciò di cui parliamo ha davvero trasformato fin nel profondo la nostra vita. Solo così, infatti, noi potremo dimostrare non solo che Dio esiste ma che è vivo e opera di continuo nei cuori e che come il suo amore ha raggiunto e cambiato noi, potrà allo stesso modo cambiare quanti, desiderandolo, si avvicinano a lui”. Mi fermo, penso che occorre continuare l’argomento per approfondire meglio.

Domenico Bonvegna
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