
di ANDREA FILLORAMO
Proprio in questi giorni sto rileggendo “Le lettere di Berlicche” (Jaca Book 1990) dello scrittore Clive Staples Lewis. E’ un racconto satiricodel 1942, che, in forma epistolare,racconta di un diavolo anziano, Berlicche, che istruisce un giovane diavolo apprendista tentatore e gli consiglia come assicurare la dannazione dell’anima di un giovane essere umano a lui assegnato, indicato come il “paziente”, di fronte alNemico, cioè Dio. A un certo punto il diavolo istruttore dice che Dio “fa spesso bottino di esseri umani che hanno dato la vita per ideali che Dio pensa che sianocattivi, per la ragione mostruosamente sofistica che gli esseri umani li credevano buoni e che agivano nel miglior modo che sapevano”. Ho a lungo pensato sul significato di questa frase e, superata la scrittura satirico- fabulistica dell’autore, mi sono calato senza difficoltà nella realtà moderna e il racconto l’ho reso reale. Abbiamo una certezza, quella di appartenere ad un tempo di crisi morale di incerta prospettiva, tale che non riusciamo più a orientarci nel dibattito culturale e di fare una sintesi o una proposta rispetto alla dicotomia tra cultura clericale ovverossia "cattolica” e cultura “laica”. Nell’una e nell’altra sponda sorgono e risorgono integralismi, per cui non mancano quelli che, in nome della verità religiosa vorrebbero erigere a principio l’intolleranza civile e dall’altra parte vi sono quelli che vorrebbero, in nome della tolleranza civile, far vivere la Chiesa in un isolamento totale e assoluto.Volendo rimanere nel campo cattoliconotiamo con una certa facilità come l’ integrismo cattolico che fa da pendant all’integrismo laico, con certi vagheggiamenti di un ritorno a modelli di pensiero e di comportamenti di altre epoche. Spostandomi poi nell’altra sponda ho notato come nel cosiddetto laicismo va riconosciuto il mento storico di aver elaborato e approfondito i valori della razionalità, della libertà di coscienza. del pluralismo, della storicità di certi aspetti della vita e della società civile.L’obiettivo di chi vuole che le due culture si incontrino è quello di rafforzare la linea di dialogo nella società pluralista, che non si perda però nel sincretismo religioso o nell’indifferentismo, ma che guardi alle differenti radici come tesoro da condividere nel dialogo e nella costruzione di un mondo più umano, nel rispetto della vita, della libertà di pensiero e di azione nella società.Questo, a mio parere è ciò che vuol fare Papa Francesco con la sua parola ma particolarmente con la sua azione.Egli cerca di integrare le due culture e di far superare gli antichi conflitti e pregiudizi, aprendo la strada a un nuovo umanesimo che, partendo da una relazione tra fede e ragione che ne avvii il riconoscimento reciproco sul piano conoscitivo, liberi dall’integrismo secolarista e confessionale, e dalle realizzazioni del nichilismo. Ciò vuol fare anche con l’indizione del Sinodo sulla famiglia che si riunirà ancora nei prossimi giorni.La Chiesa, al di là delle decisioni che prenderà sulla comunione ai divorziati, sulle regole e sull’approccio da avere nell’accostarsi al sacramento del matrimonio etc., vuole superare Il tema della autoreferenzialità ecclesiale.Tale tema, come questione di fondo, è stato sollevato da papa Francesco immediatamente dopo la sua elezione. Anzi, potremmo dire che questo è il tema fondamentale che ha segnato anche il discorso che Jorge Mario Bergoglio ha pronunciato alla Congregazione dei Cardinali, durante la preparazione del Conclave. E’ forse il tratta decisivo che qualifica il suo pontificato. E indica la esigenza di superare una tendenza che potremmo riconoscere collocata alla base del rapporto della Chiesa cattolica con il mondo moderno. Sia con la “prima modernità”, nel conflitto con il protestantesimo, sia nella “seconda modernità”, nel conflitto con la società liberale. Una Chiesa antiprotestante e antimoderna, inevitabilmente, ha accresciuto largamente una “sindrome di chiusura” che le ha fatto perdere quasi ogni fiducia verso l’”altro”. In tal modo, chiudendosi progressivamente in se stessa, la Chiesa ha perso non solo la propria identità, ma anche la propria vocazione.“ La morale cristiana – ha spiegato ancora il Papa – non è lo sforzo titanico, volontaristico, di chi decide di essere coerente e ci riesce, una sorta di sfida solitaria di fronte al mondo. No, questa non è la morale cristiana, è un’altra cosa. La morale cristiana è risposta, è la risposta commossa di fronte a una misericordia sorprendente, imprevedibile, addirittura “ingiusta” secondo i criteri umani, di Uno che mi conosce, conosce i miei tradimenti e mi vuole bene lo stesso, mi stima, mi abbraccia, mi chiama di nuovo, spera in me, attende da me”. Francesco ha quindi ribadito quale sia la strada della Chiesa: “lasciare che si manifesti la grande misericordia di Dio. La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; la strada della Chiesa è proprio quella di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle “periferie” dell’esistenza; quella di adottare integralmente la logica di Dio”.