Prison des Évêques

Dopo una tumultuosa ricerca sul piccolo dizionario, potei chiarirmi un po’ le idee sulle due frasi misteriose: “CI GÎTMGR L’ÊVÉQUE”: Qui giace mons. Vescovo. “CI GÎT SON PAUVRE VICAIRE”: Qui giace il suo povero vicario. In quel momento capii meglio la reazione scomposta di Michel quando gli feci leggere le due espressioni. Però non ne ero sicuro. Mi venne quindi in mente di fare la classica “prova del nove”. Mi recai al vicino cimitero e guardando le lapidi notai che in pochissime era riportata la stessa dicitura: “CI GÎT”. Ne approfittai per vedere se ve ne fosse qualcuna in cui compariva anche il seguito. La mia ricerca non ebbe successo.
Sulla strada del ritorno, mi accorsi di una indicazione turistica: “Prison des Évêques” (Prigione dei Vescovi). Una struttura imponente, usata come prigione fino al secondo conflitto mondiale e oggi riconvertita in un grande museo. Entrai a visitarla ma, preso dal pensiero di quelle frasi che mi frullava sempre più in testa, feci un velocissimo giro e mi ritrovai nuovamente in strada incamminato verso casa.
Nel momento in cui varcai la porta d’ingresso, fui assalito dai morsi della fame…Preparai un pranzo molto frugale e mi sdraiai sul divano. Ero spossato dalla stanchezza e tormentato da quell’insolito ritrovamento, attorno al quale cominciai ad elaborare tante ipotesi.
Forse era stata un’alluvione a portare fin dentro la grotta la pietra e il coccio, forse durante il Cammino di Santiago magari un vescovo e il suo vicario avevano trovato la morte (violenta? casuale?) nei paraggi e qualche mano pietosa li aveva sepolti dentro Harpéa? O magari un vescovo aiutato a fuggire dalla “prigione” e deceduto assieme al suo collaboratore da quelle parti? O addirittura due uomini di chiesa che durante la II guerra mondiale volendo fuggire alla morsa dei nazifascisti pensavano di riparare in Spagna e sono morti lì? E poi quella voce in dialetto: cosa voleva far presagire?
Alla fine decisi di non pensarci più e fu in quel momento che mi inoltrai nel mondo di Morfeo.
“Fantastico, fantastico, geniale!”, sentì sbraitare di colpo. Mi alzai e andai a guardare dalla finestra sulla strada. Non si vedeva anima viva. Mi rimisi sul divano. E risi compiaciuto. Pensai che fosse un sogno. Ma nemmeno il tempo di rinchiudere gli occhi, la stessa voce tuonò: “Viva l’equipe del Consiglio diocesano!”.
A questo punto mi stropicciai gli occhi, andai a bere un caffè liofilizzato portato dall’Italia e tornai a sedermi al tavolo.
Stavo per finire l’ultimo sorso, quando sentii ancora una volta: “Che finezza! Che talento! Bravo. Bravissimo”. Cominciai a sudare freddo e mi ritrovai sul set di “ET”. Ma a parti invertite. Guardai da tutte le parti ma non vidi nessuno e nulla di strano.
La voce continuò distinta: “Con la sua collaborazione il pupillo andrà lontano, molto lontano, in alto”. A questo punto ebbi la netta sensazione che il timbro della voce fosse uguale a quello risuonato nella grotta, in dialetto siciliano. Mi rasserenai un poco. Ero sconvolto, eppure curioso e desideroso di sentire come sarebbe andata a finire questa vicenda.
“Che competenza! Che arte nel magnetizzare le anime! Che stima immensa da parte dei suoi sostenitori!”. Sentivo chiaramente quanto si diceva ma non capivo di chi si parlasse.
Di colpo cadde un silenzio irreale nella stanza. Ero frastornato per quel ch’era accaduto. Mentre il sole tramontava, nuvole minacciose avevano coperto il cielo sopra Saint Jean Pied de Port e facevano presagire che un violento temporale estivo fosse imminente. Chiusi bene tutte le imposte, accesi la televisione su un canale locale dal quale trasmettevano uno spettacolo di “Fandango” con una musica martellante, ingentilita da movimenti armoniosi di giovanissimi danzatori nei loro costumi caratteristici. Feci cena con un’abbondante fetta di “gâteau basque” offertomi dalla padrona e andai a riposare.
Il temporale imperversava sostenuto da tuoni che scuotevano la casa e da saette che riuscivano a proiettare la luce sulla testiera del letto.
Non riuscivo a prendere sonno. Ad un tratto intesi una voce:
“Che felicità, Eccellenza, ritrovarmi in questo luogo con lei”.
Non credevo alle mie orecchie: le voci misteriose ma reali continuavano. Mi alzai di scatto. Andai a riprendere i due reperti. Li appoggiai delicatamente sul tavolo e dissi – fra me e me – “Stavota mmi ‘ll’è godiri tutta”. Dal coccio, la cui iscrizione ricordava la fine del povero vicario, provenivano le ultime parole intese. Prodigio! Mi sentivo terribilmente privilegiato.
Il tempo di una manciata di secondi, proprio quelli necessari per elaborare quanto appena detto, e la voce continuò:
“Abbiamo avuto spesso, ricorda Eccellenza, l’occasione di scambiare e di constatare la nostra comunione d’intenti e di sentimenti. Per un vicario è più facile e gradevole dialogare in questa perfetta armonia in modo che grazie a questa unanimità, si induce il clero e il popolo ad aderire più facilmente”.
“Lei ha perfettamente ragione– disse in modo distinto un’altra voce,proveniente dalla pietra –mio caro vicario. Questa sì che è una delle grazie più fruttuose del mio episcopato in questa diocesi: aver incontrato un vicario accorto, di qualità, con spiccate virtù, di valore eccezionale, disposto a mediare la Parola di Dio e la mia. Quest’ultima sempre brillante, chiara, perfettamente espressa nelle concordanze di genere e numero”.
Ero atterrito ma pure divertito. Mi dissi: era tutto vero, si tratta di un vescovo e del suo vicario!
Quest’ultimo continuò:
“Sono io a dover ringraziare il buon Dio e Vostra Eccellenza, da cui sono stato benignamente accolto. Si ricorda il primo incontro?”.
“Sì, certo che lo ricordo. Vi era stata una paurosa inondazione e lei si adoperò moltissimo a soccorrere gli sfollati. Mi ricordo che insieme abbiamo avviato le pratiche presso il governo centrale perché la gente venisse soccorsa. In quella occasione ho ammirato la sua abnegazione, le sue capacità manageriali”.
“Purtroppo, Eccellenza, come avviene spesso tante persone (e fra queste anche i preti!) cominciarono a fare strani discorsi ipotizzando addirittura che avevamo stornato dei finanziamenti. Si sa: la gente è cattiva!”.
“È vero, mio caro. Ma i preti sono i più pericolosi. Mettono il naso in questioni che non li riguardano e invece di pensare a fare il loro lavoro rendono l’aria irrespirabile. Mi accorsi subito dopo il mio insediamento delle condizioni nelle quali buona parte del clero aveva affossato la diocesi: si trattava delle «3D»”.
“Scusi, Eccellenza, non comprendo bene quello che vuol dire”.
“Ma come? Proprio lei che ha molti titoli accademici ed è sempre così aggiornato non sa questo? «3D» sta per dirty, difficult e dangerous, vale a dire sporchi, difficili e pericolosi. Così erano molti preti della diocesi. Tanti altri sono rimasti tali. Solo il resto del resto si è salvato”.
“Per un momento avevo dimenticatoquesta triste situazione. Vostra eccellenza, però, ha provveduto in tempo a porre un rimedio valido: ha scelto me, baluardo sicuro contro tutte le intemperie dottrinali e pastorali. Lo ha fatto per rilanciare la nuova evangelizzazione e per incrementare potentemente le schiere di giovani cattolici di alcune zone lontane dal centro. Opzione migliore non poteva fare. È andato a colpo sicuro perché serviva un uomo intelligente e generoso”.
“Ma soprattutto devoto alla mia persona!”.
“Io sono testimone, Eccellenza, del vostro comportamento: libertà di parola a pochi e soprusi a molti, obiettività nelle cerchie amicali e faziosità verso i popolani, onestà di facciata nelle cerimonie ufficiali e dissolutezza con pochi intimi. Così facendo siete riuscito nella vostra impresa, quasi una terapia d’urto, perché avete sempre addolcito ogni vostro gesto con la carta vincente: il sorriso. Avvenente, direi perfino seduttore, che esprime da solo la profondità e l’ampiezza della vostra fede. Un sorriso che va dritto al cuore, capace di ammorbidire anche gli irriducibili. Insomma, un asso nella manica!”.
“È un dono del Signore. Segno della predestinazione episcopale”.
“Se questo è stato l’inizio penso che sia più che legittimo attenderci una promozione a un ruolo più alto…magari alla porpora cardinalizia…lo dico senza alcuna malizia”.
“No, no. Non ho avuto questa ambizione. L’unica è stata quella di essere vescovo nella diocesi nella quale sono stato inviato dal Papa. Lei ricorda quando posai per la foto ufficiale, quella da esporre in tutti i luoghi religiosi: parrocchie, santuari, cappellanie, istituti? Qualcuno mi fece notare che nella mia postura c’era un pizzico di civetteria…era dovuto, forse, al colore rosso. Una nuance dal forte accento simbolico: rimanda infatti al sangue dei martiri, al dono dello Spirito Santo, alla vita donata per amore. E io ho amato tutti, soprattutto i più fedeli al Papa, alla dottrina, alla mia missione. A questo aggiungo che lei aveva ragione: il rosso mi sta bene. Lo ripetevano sempre i miei più vicini collaboratori: il sarto e il segretario. Si ricordi però che davanti a queste brame di alterigia, bisogna sempre dire: Domine, non sum dignus!”.
Ero sempre più nel pallone ma non riuscivo a staccare dal trascrivere velocemente, secondo le nozioni apprese durante le lezioni di stenografia, il dialogo fra questi due soggetti. Alla fine mi addormentai sul tavolo.
Ad un tratto fui svegliato dalla voce argentina della padrona di casa che bussò ripetutamente alla porta di ingresso del monolocale e poi disse: “Bonjour, Monsieur! Ça va?”. “Oui!”, risposi di scatto. E aggiunsi “Merci!”. Guardai l’orologio: erano le 10.30! E dire che dovevo sbrigarmi per andare in centro a chiedere tutte le informazioni possibili sul Cammino di Santiago, dovevo iscrivermi fra i partenti del giorno dopo. Avevo messo in programma, soprattutto di andare a messa nella chiesa parrocchiale, attratto non tanto dalla celebrazione (della quale non avrei capito quasi nulla), quanto dai canti del repertorio basco in perfetta polifonia.
Dai manifesti appesi in tutte le strade la messa principale di quella domenica sarebbe stata animata da una corale formata solamente da uomini. Avevo sentito una volta un CD regalatomi da un amico alcuni brani che facevano tremare dentro e venire la pelle d’oca. Ma ora questo desiderio, ahimé!, per aver perso molto tempo dietro i miraggi di quei due (vescovo e vicario) rischiava di sfumare. Decisi però di sbrigarmi e uscire lo stesso. La strada avrebbe portato consiglio.
Per non perdere le stupefacenti sensazioni, frutto della perfetta armonia della corale, mi lavai a “riassunto”: feci la doccia, ma non la barba, mi infilai dentro un comodo (ma non elegante) pantalone, indossai una semplice maglietta girocollo, mi diedi una pettinata velocissima, saltai la colazione e mi fiondai in chiesa.
Appenai varcai l’antiporta del tempio, sentii vibrare prima nell’aria e poi nel cuore le poderose voci della corale: “URRIKAL JAUNA! KRISTO URRIKAL! URRIKAL JAUNA!”. Era il canto del “Kyrie eleison”. L’emozione era a mille! Mi sembrò l’espressione più appropriata che potesse dar sensoagli ultimi fatti accaduti. Mi ero salvato in calcio d’angolo. La giornata, anche se iniziata in modo precipitoso, non era persa del tutto e prometteva bene. I canti hanno ritmato la liturgia. Ero estasiato. Mi sembrava di aver preso parte a un concerto in diretta, senza filtri, senza protocolli ufficiali. Tutto mi è sembrato molto naturale. Finita la messa, mi avviai verso la sede di “Amis du Chemin de Saint Jacques” (Amici del Cammino di S. Giacomo). Per fortuna trovai un signore gentile che parlava l’italiano e mi diede tutte le informazioni utili prima di partire.
(continua)

ongi etorri