Il buon pastore dà la propria vita per le pecore

Gv10,11-18
Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio".

di Ettore Sentimentale

Ritorna puntuale ogni quarta domenica di pasqua l’appuntamento con il cap. 10 del racconto di Giovanni, meglio conosciuto come il vangelo del “buon pastore” (lett. “il pastore bello”).
Per comprendere in tutta la sua portata il brano in oggetto, dobbiamo necessariamente contestualizzarlo avendo come punti cardini il periodo di composizione, i destinatari e la reale situazione nella quale si trovava la primitiva comunità cristiana.
Se teniamo presente questo orizzonte ermeneutico, comprendiamo che nel momento in cui, anche fra i primi cristiani sorsero conflitti e dissensi fra gruppi e leader differenti, qualcuno richiamò alla memoria della comunità “gesuana” che solo il suo fondatore era il “pastore buono”. Non un pastore in più, ma l’autentico, il vero, il modello a cui tutti dovevano rifarsi. In realtà questa metafora di “Gesù, Buon pastore” è un invito alla conversione per coloro che anche oggi sono i “pastori” nella comunità cristiana. Il pastore che si rispecchia in Gesù pensa solo alle sue pecore, non fugge davanti ai problemi, non le abbandona, ma al contrario sta vicino a loro, le difende, si sacrifica per esse, “dà la vita” cercando il loro bene.
La stessa immagine, però, è una provocazione rivolta a tutti a vivere la comunione fraterna, nella quale pastore e pecore marciano insieme, ciascuno con il proprio carisma, per “ri-donare” al mondo il sapore bello della vita di cui sono destinatari. Il Buon pastore “conosce” le sue pecore e le sue pecore “conoscono” solo lui. Solo in forza di questa vicinanza intima, da questa conoscenza reciproca e questa comunione profonda, il Buon pastore condivide la sua vita con le sue pecore. Verso questa comunione e il mutuo riconoscimento dobbiamo camminare anche oggi nella Chiesa.
Purtroppo la nostra lingua non rende bene la corrispondenza linguistica che troviamo nella lingua greca fra “gregge” (ποίμην) e “pastore” (ποιμήν)…cambia solo l’accento, quasi a dire che l’uno non esiste senza l’altro. In un flash: pastore di chi, senza gregge? Quale gregge, senza pastore?
In questi momenti non facili per la fede, abbiamo bisogno come mai di unire le forze, cercare insieme criteri evangelici e linee maestre di attuazione per sapere in quale direzione camminare in modo creativo verso il futuro.
Non sempre si scorge il desiderio di camminare. Tanti preferiscono adagiarsi sulle posizioni già conquistate, perché la strada da percorrere è molto accidentata e piena di buche. Se da un lato si notano alcuni inviti pressanti a vivere in comunione, dall’altro non si muove alcun passoconcreto per creare un clima di ascolto e dialogo. Al contrario, crescono il discredito e i dissensi fra vescovi e teologi; fra vescovi e clero della stessa diocesi; fra movimenti e comunità di segno diverso; fra gruppi e associazioni di ogni genere… quando invece lo stile dei cristiani, clero compreso, dovrebbe essere quello del “veritatemfacientes in caritate”!
Ma la cosa più squallida è vedere come sta crescendo la distanza fra la gerarchia e il popolo cristiano. Si direbbe che vivono due mondi differenti. In molti luoghi i pastori e le pecore si conoscono solo di vista… Non è certo consolante, per restare alla “categoria” di cui faccio parte, apprendere che da circa 1000 giorni qualche prete non vede, né sente il suo pastore.
Così come è notorio che per alcuni vescovi non è facile sintonizzarsi con le necessità reali dei credenti, per offrire loro un orientamento e un sostegno di cui necessitano. A molti fedeli, infine, riesce difficile sentire affetto e interesse verso alcuni pastori lontani dai loro problemi.
Paure? Diffidenze? Risentimenti? Incomprensioni?
Questa domenica cade a “fagiolo” per osare un confronto/scontro sereno e obiettivo con il “pastore vero” tramite la pagina evangelica di Giovanni. Se le cose dovessero rimanere tali, la conclusione è già scritta e tutti la comprendono: si è mercenari, lupi camuffati da agnelli che rubano e scannano come fanno i ladri e i briganti…
Servono, invece, credenti che animati dallo Spirito, possano aiutare/aiutarci a creare un clima di vicinanza, ascolto, dialogo e rispetto reciproci. Di ciò la Chiesa ha urgente bisogno.