Rinnovare la Chiesa

di ANDREA FILLORAMO

Papa Francesco, in poco tempo, è diventato il leader più influente del pianeta. A tal proposito Andrea Riccardi osserva: “ il papa è divenuto, senza volerlo, un leader spirituale mondiale, che i politici sono interessati a incontrare. Bergoglio è un esperto di umanità: per tutta la vita ha incontrato la gente e i suoi problemi. È stato vescovo di una megalopoli del Sud, Buenos Aires. Sa quale grande sfida sia oggi introdurre la Chiesa nel mondo globale, che trasforma i legami familiari e comunitari, mescola genti diverse, crea scenari umani inediti”. Per tali motivi Papa Francesco è il più ascoltato e da molti il più temuto per le sue prese di posizioni, per i suoi interventi, apparentemente semplici forse anche apparentemente “populistici”, totalmente estranei a quanti non conoscono quel mondo che si chiama Argentina, da cui Bergoglio proviene. Per i cattolici il papa si è prefisso un’impresa, che appare gigantesca: rinnovare la Chiesa. Ma dietro le quinte, la lotta al Papa si fa sempre più aspra. Il tempo, a sua disposizione – egli l’ha riconosciuto -è poco. La posta in gioco è la fisionomia del cattolicesimo di domani, la disintegrazione di una cultura “assolutistica”, fatta diventare artificiosamente “teologia” e  “ecclesiologia”, in cui la Chiesa non appare “mater et magistra”, ma viene da tanti considerata matrigna, insensibile, cioè, ai “bisogni”dell’uomo moderno, che “scarta” quanti soffrono a causa dell’incuria e dell’abbandono, nonché della solitudine, alla quale si sentono condannati. Il papa rompe tutte le barriere fra chi crede e chi non crede e vive la miseria di quanti sono emarginati,avendo nei loro confronti tenerezza e compassione. La rivoluzione è agli inizi: l’esito è incerto. Il papa Bergoglio opera particolarmente contro la “monarchizzazione” del potere papale, evangelicamente non sostenibile, che è lesiva della modernità, spesso tacciata di eresia teologica e di relativismo morale e di un’etica per nulla flessibile e, infine, di una visione negativa della fede. Francesco ha reso irreversibile la faccia nuova del pontificato, fino a qualche tempo fa impensabile. Egli vuole che il papa non sia da considerare un’icona, un dottrinario, un monarca assoluto, pena una drammatica perdita di contatto con la società contemporanea, credente o non credente. Bergoglio ha rivoluzionato il linguaggio. Egli usa il linguaggio di un parroco in grado di farsi ascoltare da tutti. Papa Bergoglio vuole una Chiesa più comunitaria e partecipata, anzi una chiesa “sinodale”, in cui il capo non decide in solitudine imperiale, ma decide insieme ai vescovi, non rinunciando, però, se necessario, al potere delle “somme chiavi”. L’avvio di questa riforma è la creazione di un consiglio cardinalizio, formato da otto porporati di tutti i continenti, cui si aggiunge il segretario di Stato. È il cosiddetto C9, con il compito di “consigliare (il Papa) nel governo della Chiesa universale”. Si tratta ancora di un embrione di collegialità. Il secondo passo in direzione della collegialità è rappresentato dalla nuova funzione del “Sinodo dei vescovi” (il parlamentino di Santa Romana Chiesa), che non più destinato a rimanere una semplice arena di opinioni, ma – grazie a Francesco – è diventato titolare di un potere propositivo per trovare soluzioni ai problemi pastorali più urgenti. Concedere democrazia – libertà di parola e di voto come durante il Concilio – significa tuttavia fare i conti con le opposizioni e la possibilità di perdere qualche battaglia: è accaduto al Sinodo del 2014. Francesco ha aperto su temi sin qui tabù: la comunione ai divorziati risposati, le convivenze, le coppie omosessuali, la transessualità ma le resistenze interne al mondo ecclesiastico hanno impedito finora un cambio ufficiale di atteggiamento della Chiesa. E’ certo che ancora si avverte un solco tra Francesco e quella parte della gerarchia in Vaticano e all’estero, rimasta attaccata alla visione di un papato sacrale, giudice dottrinale inflessibile delle “deviazioni” dai comandamenti del catechismo. Un solco netto esiste anche tra la fascia di sacerdoti – spesso giovani – imbevuti di spiritualismo, dogmatismo e ideologia del potere sacerdotale, che resistono alla declericalizzazione auspicata da Francesco, e invece quei preti, secondo i quali annunciare il Vangelo nella società urbana globalizzata esige di fare i conti con la mescolanza delle culture. Francesco ha avuto il merito di mettere sul tavolo un argomento tabù come il ruolo delle donne nei luoghi decisionali della Chiesa, ma non ha incontrato una risposta entusiastica da parte degli episcopati nel mondo. Non è detto che in tutti questi campi, su cui si è fatto sentire Francesco, si realizzino cambiamenti concreti già durante il suo pontificato. Lui è un seminatore, i sassi sul suo cammino sono tanti e i suoi avversari si comportano alla pari dei farisei che seguivano Gesù “con animo incattivito, scandalizzati dei suoi incontri con prostitute e peccatori, sempre male interpretando, sperando di poter intravvedere qualsiasi minima deviazione riguardo alla Legge, per giudicarlo e condannarlo…”. In tre ambiti precisi il pontefice argentino ha già voltato pagina. Per la prima volta ha destituito, processato ecclesiasticamente e degradato (ridotto allo stato laicale) un vescovo pedofilo: l’ex nunzio nella Repubblica Dominicana Jozef Wesolowski. Tuttavia nel comitato anti-abusi, da lui creato, sono emerse resistenze a proposito di nuove Linee guida internazionali più stringenti. La banca vaticana è stata sottoposta ad una drastica ripulitura dei conti correnti, sono stati firmati accordi di cooperazione giudiziaria con Italia, Germania, Stati Uniti, è stata creato un comitato anti-riciclaggio e una Segreteria per l’Economia, che vigilerà sugli appalti e la regolarità dei bilanci delle varie articolazioni della Santa Sede e che ha portato alla luce fondi riservati (benché regolari) di alcuni organismi, che non erano stati inseriti nel bilancio consolidato del Vaticano. Il terzo settore in cui Francesco ha mostrato una forte impronta è quello geopolitico. Ha ridato slancio alla presenza del Vaticano sulla scena internazionale, impedendo una catastrofica invasione occidentale della Siria, indicando a Israele e Palestina la via di una pace dei coraggiosi, denunciando il traffico di armi dietro ai conflitti in corso, impegnandosi contro le “moderne schiavitù” (la tratta sessuale, quella dei migranti, le fabbriche clandestine). Suo obiettivo, discusso con il presidente Barack Obama, è far dichiarare dall’Onu la tratta degli esseri umani un “crimine contro l’umanità”. I suoi interventi contro la corruzione, la criminalità organizzata, l’ideologia neoliberista del profitto senza regole, il primato assoluto del mercato che produce “scarti” vecchi o giovani, alimentando il precariato permanente, hanno suscitato un’eco vastissima a livello internazionale, ben al di là del mondo cattolico, ma le leadership politiche ed economiche non hanno mostrato nessuna intenzione di elaborare un modello economico ispirato al “bene comune”.
Per molti aspetti Francesco è applaudito, ma resta solo. Dentro e fuori la Chiesa. La sua – benché non lo mostri – è un’autentica lotta contro il tempo. L’ostacolo più grande a questo piano pontificio, però, è dato dalla presenza nella Chiesa di un episcopato per lo più incapace di tenere il passo del vescovo di Roma, di seguire l’esempio, di operare all’interno delle singole diocesi la medesima rivoluzione. Si tratta di un cambiamento, di una “ metanoia” che stravolge innanzitutto il loro modo di essere, che li costringe ad abbandonare in modo definitivo privilegi, benefici, alcuni anche storici. Sarebbe per loro necessario un nuovo ma impossibile protocollo formativo e un difficilissimo turnover che sostituisca quanti non vogliono o non possono adeguarsi alla nuova situazione che velocemente si sta affermando nella Chiesa. Certamente Papa Francesco vorrebbe far questo ma viene richiamato alla prudenza da quanti a lui ancora vicini cercano di frenarlo in tutti i modi, costringendolo talvolta a “rimangiarsi” le sue decisioni”. Fra questi certamente ci sono gli agguerriti amici dell’ex Segretario di Stato, che, nel passato, ha posto in molte diocesi come vescovi appartenenti alla sua famiglia religiosa, impegnati oggi innanzitutto a “risanare” il bilancio della stessa Congregazione attraverso alienazioni di beni, anche storici con finalità educative, di loro appartenenza, posti nelle loro diocesi. In tal caso essi si sono trovati a scegliere fra due “ status”, quello di vescovo e quello di appartenente ad un Ordine religioso e hanno preferito scegliere l’appartenenza all’Ordine. Al papa non resta altro che scegliere personalmente, spesso senza l’ausilio della Congregazione dei vescovi, i nuovi pastori, prendendoli non più e non sempre dalle cattedre teologiche ma dalle parrocchie. Opera così il ricambio che ritiene necessario per l’affermazione di una Chiesa più aperta, più conciliare.