LA RIVOLUZIONE SESSUALE CHE HA PORTATO ALLO SMANTELLAMENTO DEL MATRIMONIO

Fra le cause che hanno condotto allo smantellamento del matrimonio il professore Roberto Marchesini, autore di un pregevole manualetto, “E vissero felici e contenti”, Sugarcoedizioni(2015), indica “la diffusione della psicanalisi freudiana”, siamo al 4° fattore di quel cambiamento sessuale iniziato negli anni Cinquanta. Freud riteneva che la nevrosi nell’uomo consistesse nella repressione sociale delle pulsioni sessuali, pertanto occorreva liberare quella pulsione originaria che è la libido. Anche se per Marchesini Freud, che lo ha studiato bene, non voleva una liberazione incontrollata della libido. Piuttosto sono stati i suoi discepoli come Wilhelm Reich, a diffondere una versione delle teorie freudiane in netto contrasto con la morale sessuale tradizionale. Per Reich lo scopo per cui l’uomo vive è l’orgasmo. Pertanto tentò di coniugare il marxismo con la psicanalisi accusando le classi dominanti di reprimere una sessualità libera. Reich inizia ad usare l’espressione “rivoluzione sessuale”, e siamo al 5° fattore culturale che ha distrutto il matrimonio. Negli anni Sessanta attraverso la dialettica marxista si contrappone una sessualità più libera e spontanea al sesso coniugale che nel frattempo diventava un retaggio borghese. Per Marchesini la pubblicazione di un libro ha contribuito molto alla realizzazione della sessualità sfrenata. Si tratta di “Porci con le ali”, che diventa un caso letterario. Il libro racconta di due studenti liceali impegnati politicamente a sinistra, i quali considerano come “normale”, qualsiasi pratica sessuale, e ben presto diventa un manuale della contestazione sessantottina. Infine l’ultimo fattore che ha contribuito allo smantellamento del matrimonio, è stato il “Referendum sul divorzio”.
Marchesini ripropone una tesi interessante dello statistico Roberto Volpi, che ha dedicato un libro, “La fine della famiglia”, Mondadori (2007), al vertiginoso crollo della natalità italiana dalla metà degli anni settanta del secolo scorso al Duemila. Secondo Volpi, l’inizio di questa drammatica tendenza a non fare figli, non coincide con la legalizzazione dell’aborto, ma piuttosto con la legalizzazione del divorzio (1970). La vittoria del no al referendum che confermò la legge sul divorzio, secondo Volpi, “contribuì in modo decisivo a una complessa trasformazione di atteggiamenti culturali, schemi mentali e perfino posizioni ideologiche sul matrimonio, la famiglia, i figli, le istituzioni e sulle relazioni fra tutti questi schemi fondanti la società”. Certo lo statistico non esclude che a distanziare il matrimonio dalle prospettive dei giovani, intervengono anche i fattori materiali, ma soprattutto è convinto che “la prospettiva della coppia, checché ne dicano loro stessi, ha perso tra i giovani fascino e capacità di attrazione sul mercato delle possibilità e delle opportunità di vita, innanzitutto perché è sentita come troppo stringente; perché sembra richiedere troppi sforzi, troppa dedizione, troppi sacrifici che, oltretutto, non garantiscono il risultato, non eliminano i rischi del fallimento, di rottura più o meno traumatica, di dissolvimento a volte impietoso di speranze, attese, progetti; perché sembra implicare un restringimento dell’orizzonte esistenziale piuttosto che un suo ampliamento: tutte cose, queste, che più si possono spostare in là con gli anni meglio è”.
Allora se questa è la situazione, su che cosa si deve fondare il matrimonio perché abbia successo? Molti dicono sull’amore, ma questo per Marchesini nella nostra società egoistica ed edonistica può essere quantomeno equivoco. Così il matrimonio diventa qualcosa di emotivo, di soddisfazione personale. Invece amare vuol dire “volere il bene dell’altro”. Mentre il “nuovo” matrimonio, per Marchesini, è fondato sull’innamoramento. “Ma l’innamoramento è solo una fase transitoria, esclusivamente emotiva, che deve lasciare il posto all’amore, duraturo e che coinvolge anche la regione e la volontà”. Un matrimonio fondato sull’innamoramento, viene costruirlo sulla sabbia, mentre occorre fondarlo sull’amore. La rivoluzione sessuale per Marchesini sembra guidata da due principi: “il diritto all’amore e il diritto alla felicità nell’amore”. Pertanto se l’unione non funziona e si sbaglia nella scelta del compagno, si può, anzi si deve ricominciare con un altro, donde il moltiplicarsi di divorzi, delle unioni libere e anche la necessità di valutare con più attenzione il momento opportuno per la nascita dei figli (…)”.
Naturalmente questa rivoluzione ha reso più fragile il legame matrimoniale. A questo punto Marchesini sostiene che il 70% dei divorzi avvengono in famiglie a basso livello conflittuale (low-conflict), quindi “non ci si lascia perché si litiga: ma probabilmente, perché le aspettative di soddisfazione personale riposte nel matrimonio sono rimaste deluse”. In conclusione si può sostenere secondo il professor Marchesini che non ci si sposa per vivere quel “ benessere psicologico dell’innamoramento, con le farfalline nello stomaco, il sorriso ebete stampato sul volto, l’ebbrezza alcolica senza aver bevuto una sola goccia d’alcool”. O per “la soddisfazione dei propri bisogni affettivi e sessuali(…) o per “provare le grandi emozioni dei film hollywoodiani”. Se ci si sposa per questo, secondo Marchesini occorre prepararsi “ad una repentina separazione, ad un imminente divorzio”. Invece “ci si sposa per dare, per darsi. Se ci si sposa per ricevere, inevitabilmente il matrimonio diventerà una ‘partita doppia’: dare-avere”. Quindi nel momento in cui ci si accorgerà di non ricevere quanto si dà, o di non ricevere quanto ci saremmo aspettati nel giorno del nostro matrimonio, tutto viene messo in discussione. Ma allora perché ci si sposa? La risposta alla prossima puntata.

DOMENICO BONVEGNA
Domenico_bonvegna@libero.it