La Chiesa dei poveri

di ANDREA FILLORAMO

Credo che sia sfuggita a molti la notizia che i preti di Bergamo, nell’ultima quaresima e in preparazione della canonizzazione di Papa Giovanni, su proposta del loro vescovo Mons. Francesco Beschi, hanno devoluto una mensilità del loro stipendio in aiuto alle famiglie povere. Il vescovo si è rivolto agli 800 preti della sua diocesi con il seguente messaggio:"… Davanti alle miserie dell’uomo e del mondo, il Papa ci invita ad aprire gli occhi e a farci annunciatori della misericordia di Dio, della sua vicinanza, della sua amicizia e nello stesso tempo ci affida il compito di diventare misericordiosi, di farci vicini, di manifestare un’amicizia che riscatta e apre alla speranza. Tutto questo non si può fare senza rinunciare a qualcosa per farci vicino ai poveri: insieme al dono, ci deve essere una rinuncia che ci coinvolga profondamente. La Quaresima è un tempo adatto per la spogliazione; e ci farà bene domandarci di quali cose possiamo privarci al fine di aiutare e arricchire altri con la nostra povertà. Non dimentichiamo che la vera povertà duole: non sarebbe valida una spogliazione senza questa dimensione penitenziale. Diffido dell’elemosina che non costa e che non duole.” … Proprio alla luce del Vangelo e del Messaggio di Papa Francesco, nella felice prospettiva della Canonizzazione di Papa Giovanni, desidero indicare un percorso che assuma il valore di un segno forte ed eccezionale, che confido non si consumi in se stesso, ma diventi capace di generare solidarietà e speranza, di moltiplicare piccoli e grandi gesti di appartenenza, di solidarietà, di fraternità, in ogni nostro contesto di vita quotidiana. Questo percorso è contrassegnato dalla vicinanza ai poveri, dalla condivisione con le famiglie che hanno perduto le sicurezza fondamentali del lavoro e della casa, da un rinnovato impegno educativo in direzione della solidarietà ispirata dal Vangelo”. Il vescovo ovviamente ha dato il buon esempio, versando una mensilità, che si aggira sui 2600 euro e ha messo in vendita anche un palazzo di sua proprietà. Non conosco le iniziative degli altri vescovi delle altre diocesi italiane per venire incontro a quanti, in questo periodo di forte crisi economica, hanno perso il lavoro e la casa, che sicuramente non mancano; ma è cosa certa che il vescovo di Bergamo ha trovato la formula giusta per operare una “ restituitio”, anche se parziale, di quell’otto per mille, donato dai lavoratori alla Chiesa Cattolica. Una serie di pregiudizi assai diffusi accompagna questa donazione. Molti, infatti, sono convinti che la Chiesa usi i fondi dell’ otto per mille soprattutto per la carità in Italia e nel terzo mondo, ma non è così. Le due voci costituiscono nella realtà solo il 20 per cento della spesa reale, L’ 80 per cento del miliardo di euro rimane alla Chiesa cattolica, alla quale va ancora il 60 per cento delle quote non espresse nella dichiarazione dei redditi. Non intendo esprimere un giudizio negativo sul sistema fiscale che destina questa porzione del reddito alla Chiesa e al sostentamento del clero, ma mi chiedo: perché la CEI, “ sua sponte” non rinuncia per qualche anno a questa gratuita donazione, che si aggira a più di un miliardo annuale, destinandolo a chi non ha lavoro o non ha casa? Un’iniziativa del genere credo si possa leggere nelle parole di Mons. Galantino, Segretario generale della Cei, che vuole la Chiesa "più povera di beni terreni e più ricca di virtù evangeliche, che non ha bisogno di protezioni, di garanzie e di sicurezze" e ancora:” "Ma cosa volete che se ne faccia oggi il nostro mondo di una Chiesa impegnata a difendere le proprie posizioni (qualche volta dei veri e propri privilegi)". Aspettiamo che queste parole del vescovo Galantino si traducano in proposte. Tuttavia ci chiediamo: “Perché l’iniziativa del vescovo di Bergamo non diventa l’iniziativa di tutti i vescovi e di tutti i preti?”, “perché un vescovo, per aiutare i poveri non mette in vendita il suo lussuoso palazzo, la sua aurea croce pettorale in cui sono incastonate gemme preziose?” Perché non si ritorna allo “ spirito” della Chiesa primitiva, quando, come dice Rosmini nel suo famoso “ Le cinque piaghe della Chiesa”: “La Chiesa primitiva era povera, ma libera: la persecuzione non le toglieva la libertà del suo reggimento: nè pure lo spoglio violento de’ suoi beni, pregiudicava punto alla sua vera libertà. Ella non aveva vassallaggio, non protezione, meno ancora tutela, o avvocazia: sotto queste infide e traditrici denominazioni s’introdusse la servitù de’ beni ecclesiastici: da quell’ora fu impossibile alla Chiesa, come dicevamo, di mantenere le antiche sue massime intorno all’acquisto, al governo, e all’uso dei suoi beni materiali; e la dimenticanza di queste massime, che toglievano a tali beni tutto ciò che hanno di lusinghevole e di corruttore, l’addusse all’estremo pericolo: noi dobbiamo accennarne le principali”. Se la Chiesa ricerca una semplificazione materiale e spirituale e una più grande solidarietà con i poveri di questo mondo, è in definitiva perché così essa compie meglio la sua missione. La Chiesa, infatti, esiste per testimoniare la forza dell’amore che pare sempre “stoltezza” e “debolezza” alla logica di questo mondo, nella fiducia che “ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (vedi 1Cor 1,22-25). Se il popolo di Dio, e i singoli credenti, mettono da parte tutto il superfluo e l’eccessivo per concentrarsi sull’“unico essenziale” (vedi Lc 10,42), conosceranno la gioia delle Beatitudini, la felicità di chi pone tutta la sua fiducia in Cristo e cammina senza accumulare tesori per domani. Scopriranno la povertà in spirito (vedi Mt 5,3) che, tutt’altro di una fredda austerità, dà la libertà e la gioia di vivere pienamente nel momento presente. Mons. Vincenzo Paglia, recentemente ha scritto un libro: “Storia della povertà. La rivoluzione della carità dalle radici del cristianesimo alla Chiesa di papa Francesco”. Rizzoli (collana Saggi italiani). In esso afferma che carità e povertà: simul stabunt, simul cadent, insieme staranno o insieme cadranno. La storia della Chiesa è da sempre legata a doppio filo all’incontro con i poveri. Sul "fare la carità" si sono giocati per venti secoli l’organizzazione concreta della Chiesa e della società, l’evangelizzazione, la riforma religiosa, le utopie secolarizzate di un mondo senza sfruttati e senza sfruttatori. Monsignor Paglia ripercorre la storia del rapporto dinamico tra Chiesa e società attraverso la peculiare prospettiva della lotta alla povertà nelle sue diverse forme. Partendo dal cristianesimo delle origini, dal monachesimo e dai più influenti ordini religiosi, l’autore dipinge un affresco i cui protagonisti sono le figure emblematiche della cristianità e le loro opere, da Gesù ai padri della Chiesa fino a papa Giovanni XXIII con il Concilio vaticano II e la stagione di papa Francesco. In queste pagine emerge una Chiesa che rivendica con forza il valore della charitas cristiana come cura imprescindibile ai dilemmi sociali del mondo globalizzato. Perché: "è una grande funzione profetica della Chiesa quella di inquietare il banchetto del ricco epulone con la memoria e i dolori del povero Lazzaro. Nell’immaginare un mondo nuovo, o almeno diverso, la povertà è una delle soglie da attraversare con audacia, intelligenza e generosità da parte di tutti, credenti e non. La “ Chiesa dei poveri” è questa la definizione che piace di più a Papa Francesco ed è anche l’obiettivo di un lungo processo iniziato cinquanta anni fa nelle aule conciliari e nel gesto di papa Paolo VI. Era il 13 Novembre 1964, quando il papa dona la tiara papale ai poveri, proprio quella tiara ricchissima, che i cattolici di Milano avevano donato il 30 giugno 1963, conformata da tre anelli di diamanti, smeraldi e rubini. In silenzio, dopo una solenne celebrazione bizantino-slava presieduta dal Patriarca Massimo IV e concelebrata da altri vescovi orientali in onore di San Giovanni Crisostomo, Paolo VI dispone che Mons. Dante depositi la tiara sull’altare. Mons. Felici, Segretario Generale del Concilio, dal pulpito spiega e chiarisce a tutti i presenti nella basilica e in Aula, il significato di quel gesto. "E’ un gesto simbolico. La massima esemplificazione del discorso della “chiesa dei poveri…”. “Cristo vive nei poveri per ricevere, Pietro vive per dare. Il povero e Pietro possono coincidere nella stessa persona. Il gesto del Papa apre un orizzonte, indica un cammino. Dare ciò che abbiamo di più caro, come in questo caso la tiara offerta dai milanesi a Paolo VI. Tutto deve essere subordinato alla carità!”