Era solo un uomo. La sua dedizione alla Chiesa arrivava al massimo grado

di ANDREA FILLORAMO

Molti sono i commenti e tante le deduzioni per quel che è avvenuto a Lumezzane in provincia di Brescia: con un testamento olografo, il parroco don Giulio Gatteri, ha lasciato alla sua badante 800.000 euro. Tanti si sono chiesti: “i soldi lasciati dal prete alla badante sono soldi della parrocchia girati sul suo conto corrente, oppure sono soldi personali? E, se sono soldi personali e se essi non provengono da eredità familiare, come ha fatto quel prete, degno emulo dell’avaro di Moliere, a mettere da parte una tale ingente somma?” Per rispondere a questa domanda occorre necessariamente fare riferimento al sistema che presiede al sostentamento del clero in ogni diocesi italiana. Esso è un sistema complesso, ma che garantisce un’equa distribuzione delle risorse a tutti i sacerdoti, eliminando ogni disparità. Per esigenze di esemplificazione diciamo che esso è calcolato attraverso un punteggio che tiene conto dell’anzianità e dell’ufficio. Pertanto lo stipendio mensile di don Giulio Gatteri doveva aggirarsi sui 1000 euro. Impossibile, quindi, che l’accumulo di euro da parte del parroco di Lumezzane, potesse essere tale da raggiungere l’ingente somma lasciata per testamento alla badante. Per tali motivi, la Curia ha invocato il blocco della successione per invalidità e, quindi, ha portato la faccenda in tribunale. Qualunque sia la provenienza del denaro di don Giulio Gatteri, ci chiediamo, innanzitutto, se il sistema, voluto dalla CEI, che dovrebbe garantire il giusto sostentamento del clero, presenti delle “crepe”. La risposta non può non essere positiva. Tale sistema, infatti, non rende trasparenti, controllabili e certificate tutte le “risorse” di un parroco. Ricordiamo che la gente e, quindi, anche i fedeli, sono molto sensibili alla “trasparenza”, vogliono che vengano assicurate non solo la conoscenza dei servizi resi, ma anche tutte le “entrate” non fittizie del parroco e, nel caso in cui la trasparenza non è assicurata, parlano subito di fenomeni corruttivi. Ritengo che per restituire il prete al suo compito ministeriale, occorre, quindi, liberarlo da ogni incombenza finanziario-amministrativa. Dalle sue mani, quindi, non dovrebbe passare denaro proveniente da elemosine, offerte, oboli, benedizioni, assistenze, predicazioni, funerali, matrimoni, battesimi. Ciò anche per far superare al prete la tentazione del carrierismo, cioè dell’ambizione e della smania di fare carriera, anche a costo di comportamenti poco dignitosi o di azioni moralmente biasimevoli. Il prete che cade nella tentazione del“carrierista“ desidera la parrocchia più grande e più ricca, l’incarico più prestigioso, la “posizione” più prossima al potere politico per ottenere “favori” che hanno sempre a che fare con il denaro e con ciò che al denaro è legato. Il vescovo, in quanto distributore dei “benefici” clericali, nel nominare, trasferire, promuovere, un parroco o un prete, rischia di rendersi complice del carrierista. A proposito della familiarità del prete con il politico e della possibilità del vescovo di rendersi complice con il prete carrierista, mi si permetta di dire, quasi sottovoce: come è possibile pensare che un vescovo non conosca alcuni casi che sono sulla bocca di tutti? Egli saprà certamente di quel prete, che per 50 anni è parroco di una parrocchia, fatta diventare, attraverso il “voto di scambio” un “feudo” di un uomo politico, che ha assicurato la ristrutturazione e l’abbellimento della chiesa, la casa canonica, i locali parrocchiali e tanti “favori” al parroco e a quanti egli ha “raccomandato”. A quale prezzo? Al prezzo di una maggiore “radicalizzazione” di una cultura “mafiosa” che a parole tutti combattono. Voglio rammentare che “la cultura mafiosa non riguarda solamente la mentalità della criminalità organizzata ma ha un’accezione più ampia poiché con essa s’intende la negazione delle regole sociali a favore delle regole private. Questo “pensare mafioso” si esprime attraverso dei comportamenti che distorcono ogni tipo di rapporto e fra questi il rapporto popolo – prete.