PER FARE UNA BUONA SCUOLA PROVIAMO AD ASCOLTARE LA MASTROCOLA

Sabato prossimo scade il termine per l’invio di contributi alla consultazione via internet sulla “buona scuola”. Effettivamente dando un’occhiata alle motivazioni espresse nel sito www.labuonascuola.gov.it si è presi da un grande conforto e da una grande malinconia, forse anche da un po’ di irritazione. Da grande conforto perché non ci si può non riconoscere nell’orizzonte umano prima che politico in cui si situano. Del resto quando si scrive che si vuole “ migliorare le proposte, a capire cosa manca, a decidere cosa sia più urgente cambiare e attuare (…) perché per fare la Buona Scuola non basta solo un Governo. Ci vuole un Paese intero”. Come non essere d’accordo con questo intento. Però c’è anche un grande sconforto sapendo che la cultura politica di Renzi e dei suoi spinge in direzione opposta a questi così buoni proponimenti. Mi sembra che il libro di Paola Mastrocola, nonostante il titolo dissacratorio, può essere un utile contributo a dare una svolta decisiva e quindi a fare una buona scuola. “Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di no studiare” (Ugo Guanda 2011) è un testo che si legge agevolmente, appena pubblicato, io giornalista freelance l’ho presentato ai miei lettori in una delle solite recensione anomale, questa volta di ben otto puntate.
Anche la Paola Mastrocola inizia la sua battaglia partendo dalla culturache deve rientrare nella nostra vita di tutti i giorni.
Pertanto la scuola deve ritornare al centro della società e se la scuola interessa poco ai genitori, ai politici, sicuramente , non sta più nella vita dei ragazzi, nella loro giornata, non trova spazio, è fuori posto. La scuola disturba, distrae, scrive la professoressa torinese, paradossalmente “ I giovani sono occupati in altro. Non sono affatto dis-occupati, o non pensanti o non-facenti. Pensano, certo che pensano, ma ad altro(…) La scuola ci prova a essere divertente, ma poi c’è sempre quel guaio che deve insegnare qualcosa, e chiedere indietro, e allora la scuola rompe quando spiega, quando interroga, quando fa compito in classe. Interrompe. Disturba". I nostri ragazzi invece sono concentrati sulle loro occupazioni, giochi, amicizie, svaghi. Guardiamoli come si comportano al sabato pomeriggio o alla sera, sembrano dei gechi incollati al muro. Circa il 60% dei ragazzi non sa perché studia. “Forse i ragazzi – scrive la Mastrocola – non studiano perché non sanno di dover studiare. Mi viene il dubbio che non lo sappiano perché noi non gliel’abbiamo detto”. Ci siamo dimenticati, non gli abbiamo detto che, “andando a scuola, dovevano anche studiare, e che era abbastanza necessario che lo facessero”. La professoressa di Torino, non si illude, prevede le valanghe di critiche al suo ragionamento: “i giovani non sono tutti così”. E’ l’insegnante che deve essere bravo a trasmettere la bellezza di quello che insegna, “e se non ci riesce è solo colpa sua, quindi che cambi mestiere. E poi se la scuola propina ancora Tasso, è chiaro che i ragazzi di oggi non hanno voglia di farlo(…)” Il solito ritornello di quelli che pensano che è sempre colpa dell’insegnante che non sa motivare. C’è un masochisticosenso di colpa, legato alla parola, "motivazione", una paroletta magica che ha fornito un meraviglioso alibi e ai ragazzi più svogliati e ai genitori più indulgenti: sì mio figlio non studia un accidenti, ma sai, ha un insegnante che non sa proprio motivarlo, non è capace, non lo appassiona… "
Il libro della Mastrocola volutamente provocatorio arriva ad essere anche irriverente della nostra società, piccola borghese. Togliamo il disturbo, arriva a polemizzare con il nostro benessere, con le nostre società opulente delle seconde case, dell’auto, la moto, la barca, due cellulari, due tv, le vacanze esotiche. Tutto questo, forse distoglie dallo studio, dalla scuola, che è fatta forse per gente, che non ha niente, che imparando potrà migliorare la propria vita, la propria condizione sociale ed economica, e persino esistenziale.
Il libro della Mastrocola contesta certe stupide ambizioni familiari, che non riguardano per niente il ragazzo, non si pensa a riconoscere quale sia l’ambizione giusta e naturale del ragazzo, ma quello che la famiglia desidera per se stessa. Ecco perché si fa di tutto per mandare i propri figli al cosiddetto “doposcuola”, una sorta di “Scuola Sommersa Pomeridiana”.
Pertanto il libro denuncia una sorta di ipocrisia sociale: i genitori, constatano che il proprio figlio non ce la fa, che prende ogni giorno un’insufficienza, non capisce quel che sta scritto sui libri, non è in grado di studiare o semplicemente non ne ha la minima voglia. Cosa fanno? Invece di staccare la spina cambiando scuola o trovargli altro da fare, si incaponiscono fino all’estremo e a suon di euro, e lo mandano a lezione privata per tutta la durata del liceo.Così, tra una lezione privata e l’altra, si arriva all’università, dove da qualche anno sono nati i corsi di azzeramento per insegnare la lingua italiana(le solite ortografia e grammatica…) a ragazzi che non sanno parlare, leggere e scrivere. Ritornando alla disaffezione dalla scuola, secondo la Mastrocola il problema è che oggi si giustifica collettivamente il diritto di non studiare. Questo non era mai successo. "Nessuno di noi comuni mortali avrebbe giudicato suo diritto andare a scuola non studiando, o anche non studiare pur andando a scuola. Avevamo l’idea di un dovere -continua la Mastrocola – l’idea che non si dovessero fare esclusivamente le cose che procurano piacere, ma che qualche cosuccia di un po’ sgradevole o faticoso o di non completamente appagante facesse normalmente parte della vita (…)” La professoressa, fotografa con grande precisione, l’odierna situazione della scuola: questi ragazzi, "vanno a scuola e non studiano. E’ una specie di avversativa-concessiva: vanno a scuola ma, ciò nonostante non studiano. Una paradossale aberrazione. Sarebbe come sedersi al ristorante e non ordinare niente, dicendo al cameriere: No grazie, guardi, stasera non mi va proprio di mangiare. Cosa pensate che direbbe il cameriere?" Oggi i nostri ragazzi hanno una povertà lessicale sconcertante, afferma Mastrocola. Possiedono poche parole, quando leggono, ne ‘saltano’ moltissime perché non conoscono il significato. La povertà lessicale è esattamente causata dalla dismissione della lettura: Non si possiedono parole, se non si legge ". L’analisi mi ricorda un articolo provocatorio che ho letto del critico letterario, Ferdinando Camon,”se non leggi non vivi” .Ma se siamo a questo punto per la Mastrocola molte colpe sono degli adulti, forse non leggono perché noi a scuola non gli abbiamo più fatto Torquato Tasso (…)se noi ai giovani non abbiamo, in otto anni di scuola, strutturato la mente, i giovani adesso non leggono libri e non sanno scrivere (…) ‘strutturare’ vuol dire fare un progetto, gettare le fondamenta, erigere i pilastri portanti, i muri, il tetto. Tuttavia perché il ragazzo abbia voglia di leggere“deve trovare anche un mondo che attorno a sé ami leggere, o che perlomeno mandi il messaggio che è bene farlo. Se no, spiegatemi per quale ragione mai dovrebbe essere l’unico che lo fa”. La colpa è nostra, la generazione degli anni Cinquanta, noi generazione del Sessantotto e dintorni. Risultato finale: quasi nessuna sa più scrivere, il 70%, 2/3 dei ragazzi che escono dalle superiori, non sanno scrivere quello che eventualmente, pensano. Domanda finale: se questi sono i risultati di quindici anni di scuola, non era meglio andare tutti sull’ottovolante?

DOMENICO BONVEGNA
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