Briciole che saziano… ma che a volte non bastano per i messinesi

di ANDREA FILLORAMO

Sono stato invitato a fare un “commento“ al Comunicato stampa dell’Arcidiocesi di Messina, che presenta gli “Orientamenti pastorali 2014-2016” dell’arcivescovo S.E. Mons. Calogero La Piana, la cui titolazione è: ”Briciole che saziano”. Tale comunicato è indirizzato ai direttori responsabili e giornalisti. Non posso, perciò, leggendolo con molta attenzione, esimermi dal manifestare la soddisfazione di quanti, volendo vivere da cristiani calati nella realtà odierna, in esso leggono: “L’impegno educativo richiede il radicarsi nel vissuto umano e una presenza concreta nella vita dell’uomo, raggiunta continuamente dalla grazia divina” e ancora: “Lo sforzo che ci attende, guardando la dimensione umana deve essere quello di convergere in Cristo come centro e fulcro dell’humanum”. In queste e altre parole, contenute nel Comunicato, colpisce l’invito dell’arcivescovo ad operare una “ rivoluzione antropologica” “ in dicto” e “ in facto”. Si spera veramente che ciò avvenga. Sicuramente, a tal proposito, l’arcivescovo aveva presente quanto Papa Francesco dice a P. Spadaro nella famosa intervista che tutti conosciamo: “L’uomo è alla ricerca di se stesso e, ovviamente, in questa ricerca può anche commettere errori. Quando un’espressione del pensiero non è valida? Quando il pensiero perde di vista l’umano o quando addirittura ha paura dell’umano o si lascia ingannare su se stesso. E’ il pensiero ingannato che può essere raffigurato come Ulisse davanti al canto delle sirene, o come Tannhauser, circondato in un’orgia da satiri e baccanti, o come Parsifal, nel secondo atto dell’opera wagneriana, alla reggia di Klingsor. Il pensiero della Chiesa deve recuperare genialità e capire sempre meglio come l’uomo si comprende oggi per sviluppare e approfondire il proprio insegnamento”. A tal proposito il Catechismo della Chiesa Cattolica nella Sezione prima, capitolo “La dignità della persona umana” art.1804, afferma: “Le virtù umane sono attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni abituali dell’intelligenza e della volontà che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e guidano la nostra condotta secondo la ragione e la fede. Esse procurano facilità, padronanza di sé e gioia per condurre una vita moralmente buona. L’uomo virtuoso è colui che liberamente pratica il bene”. In una vera rivoluzione antropologica, occorre, quindi, ricreare una “teologia della libertà”, da intendere come "autodeteminazione" e "autorealizzazione"; libertà, autodeterminazione e autorealizzazione che diventavano padronanza di sé, capacità di volere ciò che si è in grado di capire, possibilità di scegliere e, quindi, libero arbitrio. Ben venga, quindi, l’invito dell’arcivescovo a se stesso e ai suoi preti di operare in tal senso. Resta a tutti loro l’impegno a individuare quali sono le principali conseguenze antropologiche in relazione alle richieste etiche della post-modernità. Resta a loro, altresì, l’impegno all’abbandono “in capite et in membris” dell’atteggiamento che è storico di molti uomini della chiesa e particolarmente di quelli che esercitano qualunque potere, di “parlare bene e razzolare male” quando si trovano davanti a decisioni che impegnano la loro coscienza. In tal caso essi devono rammentare di “non essere aggressivi”, “essere umani” “non essere vendicativi”; in parole povere non usare nei riguardi degli altri il climaldello della crudeltà, intesa come indifferenza alla sofferenza per dimostrare di avere ragione,. Nessuno pensi che esagero quando parlo di “crudeltà”. La crudeltà, infatti, si manifesta nella mancanza di ciò che è definito un sentimento consono, come pietà o compassione, per le condizioni in cui versa l’individuo che si è fatto soffrire, piuttosto che trarne godimento. Potremo definire chi fa soffrire un altro un uomo insensibile alla sofferenza che infligge; egli non è toccato da tutto ciò, come se non ne fosse consapevole o come se non considerasse sofferenza ciò che ha provocato. Esempi del passato e del presente ce ne sono tanti. Mi sono soffermato sul concetto di crudeltà, perché ritengo che sia stata una costante nella Chiesa nel passato e forse anche nel presente, un’arma di chi ha potere o presume di averlo “nel nome di Dio “. La Chiesa, infatti, non l’ha ritenuta mai un peccato tanto grave. I Padri della Chiesa, nel codificare i vizi capitali hanno omesso la crudeltà: essa esulava dalla loro concezione del mondo. Dal punto di vista della teologia morale cattolica i sette peccati rappresentano, infatti, una trasgressione alla legge soprannaturale, mentre la crudeltà o malvagità è semplicemente un torto inflitto esclusivamente a un’altra persona. Ciò potrebbe far capire il perché degli efferati delitti della Chiesa (qualcuno direbbe non della Chiesa ma dagli uomini della Chiesa) compiuti contro religiosi e laici. Per tanti secoli sono state inflitte, quindi, orribili crudeltà in nome di Cristo. Tali barbarie sono state spiegate o giustificate in vari modi. Alcuni ne hanno ricercato l’origine nella dottrina della salvezza, secondo la quale coloro che erano investiti dell’autorità avevano il dovere di perseguitare chi la pensava diversamente per impedire loro di indurre altre anime in perdizione. Secondo altri, tutto si spiega se si ammette una sopravvivenza dell’antico concetto di solidarietà esistente fra membri della stessa tribù, concetto che si sarebbe venuto poi trasformando in quello di solidarietà tra tutti i membri della cristianità, che faceva ricadere su tutti una parte del peccato commesso contro Dio se si fosse trascurato di punire severamente il peccatore. Resta il fatto che uomini di qualità ed elevata intelligenza, professanti una religione fondata sulla carità e sull’amore, si dimostrano feroci. Occorre, perciò, anche nella Chiesa, in ogni diocesi ed in ogni parrocchia – così come credo che auspichi l’arcivescovo La Piana- che venga recuperato il valore dell’individuo come persona con i suoi diritti e la sua fisicità, che talvolta vengono scientificamente violati. Occorre, altresì, riflettere sul fatto che il termine stesso “individuo” è il termine fondamentale della cultura occidentale, che si rappresenta appunto come civiltà che riconosce il sacro valore dell’individuo-persona. Il concetto di "soggetto" e di relazione "soggetto-oggetto" costituisce, infatti, un tema chiave della cultura, della filosofia e della stessa teologia occidentali. Il soggetto si configura progressivamente, nel corso della storia, come individuo autonomo, fulcro del sistema socio-culturale. Un altro punto del Comunicato stampa mi ha colpito e cioè l’accenno al “cammino di trasformazione della nostra Chiesa locale, sotto la spinta del Concilio Vaticano, avviato da Mons. Fasola”. Il comunicato continua con “il cammino portato avanti da Mons. Marra”. Non nascondo la mia commozione nel riconoscimento “fatto di sfuggita” ma non poteva essere diversamente, dei meriti di trasformazione della diocesi di Messina, una diocesi estremamente difficile dopo il lunghissimi anni di episcopato di Angelo Pajno, operata da quello che ho sempre considerato il mio secondo padre. Grande vescovo, aperto al dialogo, dal grande cuore, sempre pronto ad ascoltare e mai a castigare, esempio per tutti i vescovi, impegnato sempre ad essere e far diventare gli altri santi. Ancora agita il mio pensiero la preghiera a lui più cara, ripetuta e fatta ripetere in ogni incontro: “Vergine Maria, madre di Gesù, fateci santi “.