Ecc.za Mons. Calogero La Piana….

di ANDREA FILLORAMO

Compito di chi scrive in qualunque giornale è quello di dare un’informazione il più possibilmente equilibrata e reale. Se può egli si ritaglia uno spazio, in cui trasmette senza alcuna arroganza intellettuale la sua cultura. Tale spazio, però, non deve essere viziato da atteggiamenti moralistici o di parte, che uccidono la libertà. La sua “mission”, quindi, non s’identifica con alcun credo, con alcuna filosofia o ideologia ma deve dimostrare l’attitudine ad articolare il proprio pensiero secondo principi logici che non possono essere condizionati, nella coerenza del loro procedere, da nessuna fede, da nessun pathos del cuore. E’ certo che quello di essere “laico”, cioè possedere quella forma mentis, quella capacità di distinguere ciò che è dimostrabile razionalmente da ciò che è invece oggetto di fede, a prescindere dall’adesione o meno a tale fede è un concetto ambizioso ma irrinunciabile. La laicità qui è assunta in senso attivo e positivo, come spinta al confronto, al dibattito, all’autonomia del pensiero e delle scelte personali, alla ricerca continua calata, perché ha senso, nella realtà socioculturale in cui si vive. Comprendo che alla lettura di queste righe alcuni preti, sicuramente non tutti della mia generazione, saltano sulle sedie. A loro dico che la cultura – anche cattolica – se è tale è sempre laica, così come la logica – di San Tommaso o di un pensatore ateo – non può non affidarsi a criteri di razionalità. Laico – lo diceva Norberto Bobbio, forse il più grande dei laici italiani – è chi si appassiona ai propri «valori caldi» (amore, amicizia, poesia, fede, generoso progetto politico) ma difende i «valori freddi» (la legge, la democrazia, le regole del gioco politico) che soli permettono a tutti di coltivare i propri valori caldi. Perché questa lunga premessa? Le mie interviste, come i miei articoli su questo giornale, al di là dei numerosissimi “mi piace” sottoscritti, sono stati, come mi risulta dalle “email” che mi sono giunte a valanga, considerati uno stimolo alla discussione da parte di molti preti che “a metà guato” fra il clericalismo e la laicità, non hanno il coraggio di dire al loro vescovo quello che pensano e lo riferiscono a me, loro amico. Del resto questo lo scrivevo il 4 giugno u. s, all’arcivescovo La Piana: “L’ipocrisia e il tatticismo purtroppo, eccellenza reverendissima, sono diffusi anche fra i preti della sua diocesi, come ho potuto notare nei vari incontri conviviali che ho avuto con alcuni di loro nell’ultimo anno. Sono rimasto fortemente colpito dal fatto che essi non amano il proprio vescovo, dicono «peste e corna» di lui, sostengono convinti che in lui manca l’attitudine adassumersi le proprie responsabilità, che la diocesi soffre della mancanza di pastoralità per deficienza del suo vescovo ed altro ancora”. Ritengo, tuttavia, che quando si trovano davanti a lui cosa fanno? Abbassano la testa qualunque cosa egli dica, colpiti come sono dal carrierismo, un virus clericale, duro a morire. Intanto, Papa Francesco rammenta loro: “quando un vescovo, un prete va sulla strada della vanità, entra nello spirito del carrierismo, fa tanto male alla Chiesa, fa il ridicolo alla fine, si vanta, gli piace farsi vedere, tutto potente. E il popolo non ama quello”. S. Ecc.za Mons. Calogero La Piana, dopo quella missiva, scritta per affrontare assieme a lui, un mio problema riguardante degli incartamenti fino allora non rintracciati, mi invitava gentilmente ad un incontro che ho avuto il 30 giugno. Nell’incontro con lui ribadivo quanto gli avevo scritto. Ho potuto vedere allora che l’arcivescovo di Messina è una persona garbata e gentile. Altro che quello che scrive un sacerdote relativo ai miei articoli e cioè che scrivo per togliermi qualche “sassolino dalle scarpe”. Caro Reverendo, ho avuto sempre un ottimo rapporto con i vescovi e con i sacerdoti di Messina, non ho mai rinnegato il mio passato, non ho né sassi né sassolini nelle scarpe, ma cerco di aiutare a non essere ipocriti, vigliacchi e, ogni tanto, di consultare – lo dico da ex insegnante e da preside – non solo i libri di teologia ma anche i libri di storia: molti infatti sono i riferimenti storici presenti nei miei articoli.