Sulle orme del Vangelo: Che c’è nel fondo del nostro essere?

Mt 1,18-24
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati".
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta. Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Siamo alle porte del Natale e il vangelo ci racconta come “fu generato Gesù Cristo”. Vi propongo una riflessione che prende le mosse proprio dai nomi che vengono dati al bambino. Il primo è “Gesù”, cioè “Dio salva”. Dicendo questo S. Matteo afferma – in chiara polemica con Vespasiano che nel 70 d.C. entra a Roma per essere proclamato “salvatore” e “benefattore” – che l’unico e vero salvatore di cui necessita il mondo è Gesù. Non saranno certo le promesse dei vari “mecenati” che appaiono ogni giorno sulla scena del mondo a risolvere il desiderio fondamentale degli uomini, poiché essi hanno bisogno di essere salvati dal male, dall’ingiustizia, dalla violenza. Hanno esigenza di perdono e di vivere in piena dignità. Ebbene, questa salvezza è proprio quella che Gesù offre. Il secondo nome, che porta a compimento la profezia di Isaia, è “Emmanuele”, cioè “Dio con noi”. Questo appellativo è alquanto nuovo e “rivoluzionario” perché attribuendolo a Gesù riconosciamo che in lui e con lui, il nostro Dio ci accompagna e ci salva. Cosa vuol dire tutto questo? Come possiamo “sapere” che Dio è con noi? Vi suggerisco qualche passo “pratico” per cogliere questa esperienza. La prima cosa da fare consiste nell’imparare a pronunciare “il nome” di Gesù con tenerezza e rinnovata fiducia. I primi cristiani avevano questo nome sempre sulla bocca e nel cuore, ma non per ripeterlo in modo stucchevole, quanto per ispirare la propria vita al mistero del Dio con noi. Il secondo passo è contrassegnato dal silenzio, dal vuoto, per cogliere le nostre radici. In questi momenti possiamo chiederci: da dove viene la vita? Che c’è nel fondo del nostro essere? Se da un lato Dio ci appare immenso e lontano, dall’altro sostiene la nostra fragilità facendoci vivere in Lui. Karl Rahner (uno dei più grandi teologi del XX sec.) pensa che l’esperienza del cuore è l’unica tramite la quale si riesce a “comprendere” il messaggio del Natale: “Dio si è fatto carne”. Da questa consapevolezza travolgente nasce la certezza che Lui è con noi e “festeggia insieme con noi”. Oggi, purtroppo, è molto difficile non lasciarsi contaminare dalle vergognose manipolazioni dei simboli cristiani, perché – nonostante la crisi economica – il consumismo ha troppi interessi. C’è una “freddura” di un nostro contemporaneo, Paolo Curtaz, che suona così: “Natale è ormai una festa di compleanno in cui ci si dimentica di invitare il festeggiato”. Per noi cristiani il Natale deve segnare anche una sfida a dire no a superficialità e stordimento e tracciare un’inversione di rotta. Ecco allora che il silenzio del cuore – di cui vi parlavo – apre la nostra anima al mistero di un Dio che si fa vicino. In questo periodo le facce delle persone sono alquante tirate ed adirate per via della crisi occupazionale, dei salari “non pervenuti” da molti mesi, dell’economia stagnante… Eppure in questo contesto così negativo, vi sono motivi per gioire, a patto che si dilati il nostro orizzonte fino ad abbracciare la vicinanza di un Dio bambino, lasciandosi attrarre dalla sua tenerezza. Il nostro Dio non è l’essere terribile che molti immaginano rinchiuso nella serietà del suo inaccessibile mistero, ma è il “bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2,12) consegnato amorevolmente a tutti noi (simboleggiati dai pastori e dai magi), in cerca del nostro sguardo per deliziarci con il suo sorriso. Fermiamoci in silenzio davanti a questo Bambino: gusteremo la tenera bontà di Dio, fonte di gioia diversa.

Ettore Sentimentale