PAURE, TERRORE, DISASTRI, LE BUGIE DEGLI ECOCATASTROFISTI SUL RISCALDAMENTO GLOBALE

Spesso i giornali, i notiziari televisivi lanciano grida allarmistiche sull’ennesima emergenza ambientale imputabile al riscaldamento globale e ai gas serra. Il panorama è sempre lo stesso: enormi cifre di morti per il caldo, enormi blocchi di banchisa che si staccano dai poli, orsi polari e pinguini prossimi all’estinzione, uragani d’insolita violenza, oltre straripamenti e inondazioni a tutte le latitudini. In pratica da anni si predica, “paura, terrore, disastri”, “E’ un repertorio diffuso ovunque e generalmente utilizzato in tutto lo spettro ideologico, concludeva in un rapporto l’Institute for Public Policy Research (IPPR), in manifesti e giornali scandalistici, in riviste popolari e in materiale informativo di governi e gruppi ambientalisti. E’ caratterizzato da un lessico esagerato o estremo, toni di urgenza e taglio cinematografico. Usa coloriture quasi religiose i concetti di morte e di fato, e adotta un linguaggio pressante e assertorio”. Recentemente perfino il COMECE, l’organismo che raccoglie le Conferenze episcopali cattoliche dell’Unione Europea, in un seminario arriva alle stesse conclusioni dando la colpa di tutto questo all’uomo occidentale, che continua a bruciare combustibile fossile e divora le risorse in modo scriteriato. Per questo è necessario introdurre legislazioni vincolanti per mettere gli uomini in riga. In un libro, che ho appena finito di leggere, viene sfatato questo atteggiamento di eco catastrofismo, ci pensa Bjorn Lomborg, con il suo “Stiamo freschi”. Perché non dobbiamo preoccuparci troppo del riscaldamento globale, pubblicato da Mondadori qualche anno fa. Lomborg lui stesso uomo di punta dell’ecologismo mondiale, è autore del molto discusso, L’ambientalista scettico, prende posizione contro l’ecocatastrofismo e confuta le tesi di certe associazioni ambientaliste, in particolare di Al Gore. “La paura da cambiamento climatico ha sempre eccitato la fantasia delle persone, come se si fosse davanti a un “evento a luci rosse”, scrive Lomborg. Con dati alla mano il professore di statistica danese dimostra che il presunto riscaldamento globale è il frutto più di “slanci emotivi che di scelte scientificamente ponderate”. Il protocollo di Kyoto è troppo costoso e produce soltanto piccoli benefici, infatti ammesso che tutti i Paesi attuassero le sue direttive, i cambiamenti climatici sarebbero lievi: la temperatura si ridurrebbe di un impercettibile 0,5 C. Invece di spendere ingenti risorse finanziarie con molto meno si possono risolvere i gravi problemi che attanagliano la grande maggioranza della popolazione: fame, povertà, malaria, l’AIDS, la mancanza dell’acqua potabile, le fognature. E Lomborg si chiede:“perché siamo stranamente concentrati sui cambiamenti climatici quando ci sono altri ambiti in cui esistono grandi bisogni e potremmo fare davvero tanto con i nostri sforzi?”. Come Al Gore concorda che abbiamo una missione generazionale, ma certamente la priorità non è il “global warming”, ma i problemi sociali. Non possiamo fare tutto, come pensano i politici, affetti da ideologia, non è realistico. Bisogna concentrarsi sui bisogni concreti e immediati della nostra generazione, “quelli che possiamo risolvere con facilità e senza grandi somme di denaro,prima di cercare di fronteggiare il problema a lungo termine dei cambiamenti climatici, che sarà così terribilmente caro e avrà ben pochi effetti benefici” Lomborg essendo professore di statistica riesce a dimostrare con numeri e tabelle che addirittura il caldo fa più bene del freddo e sfata certe “leggende” delle morti per caldo nel continente europeo. Se le temperature aumentano non è una catastrofe, neanche l’aumento del livello del mare che viene drammatizzato agli occhi del pubblico. Come la favola delle Maldive sommerse a causa del riscaldamento che ci propina Greenpeace. Altro evento catastrofico propagandistico dell’ideologia ambientalista è quello degli uragani, e viene riproposto quello di Katrina a New Orleans. Forse la questione principale dei tanti morti a causa degli uragani, ma anche delle inondazioni dei fiumi è che oggi “molte più persone vivono in zone assai vulnerabili, disponendo di una maggior quantità di beni. In Florida, le contee di Dade e di Broward hanno oggi molto più abitanti di quanti ne avessero nel 1930 tutte le 109 contee che si estendono dal Texas alla Virginia, lungo le coste del golfo del Messico e dell’Oceano Atlantico”. Infatti alcuni ricercatori si sono chiesti se per caso nella prima parte del secolo le cose sono andate meglio solo perché c’erano meno persone e meno beni da danneggiare. E qui mi vengono in mente i disastri causati dall’alluvione di tre anni fa a Scaletta e Giampilieri nella Riviera Jonica messinese. Per Lomborg basterebbero alcuni semplici provvedimenti pratici per far calare i danni totali del 90% circa e le perdite si ridurrebbero almeno della metà mettendo in atto misure poco costose e accessibili. Mentre Kyoto secondo Lomborg potrebbe farli abbassare soltanto dello 0,5% circa, mentre una semplice politica di prevenzione potrebbe ridurli del 50%, cioè cento volte di più. Quello di Katrina è “disastro annunciato”, bastava fare prevenzione. Bjorn Lomborg sostiene con forza nel suo saggio brillante e documentato (26 pagine di note e ben 40 pagine di bibliografia) che le politiche climatiche non sono l’unica opzione. Ridurre l’anidride carbonica, non avrà conseguenze significative su nessuno dei problemi come la fame, la povertà o la malaria. “Esistono politiche sociali che ci consentirebbero sia di sfruttare i benefici del riscaldamento globale, riducendo le morti dal freddo, sia di contrastare quelle da caldo, meno numerose ma in crescita, grazie a città rese più fresche dalla presenza di acqua, parchi e superfici chiare, e grazie a una maggiore disponibilità di aria condizionata e di assistenza medica”. Lomborg ama portare l’esempio degli orsi polari, che secondo gli ambientalisti stanno morendo a causa del riscaldamento, nel 1° capitolo sfata questo mito: “per ogni orso polare che salviamo grazie a Kyoto, possiamo salvarne più di ottocento abolendo la caccia”. A questo punto ci sarebbe da chiedersi perché bisogna saltare sul carrozzone della catastrofe, come hanno fatto anche i vescovi della COMECE, e illustrare in modo parziale i tanti aspetti del riscaldamento globale e sfruttare la paura del disastro? Per vendere più giornali, attirare spettatori e ricevere attenzione? Probabilmente per ragioni ideologiche. Lo scrive su la NuovaBQ.it Riccardo Cascioli, riferendosi all’organismo ecclesiastico europeo, “E’ questo uno degli esempi più eclatanti di quel “cristianesimo ideologico” denunciato da papa Francesco la settimana scorsa: una spruzzatina di spiritualità per dare una veste cristiana all’ideologia dominante, la citazione di un salmo o di una lettera di San Paolo per seguire ideologie alla moda senza dare nell’occhio. Come negli anni ’70 si seguiva il marxismo, oggi si segue l’ecologismo e diventa “profetico” installare pannelli solari per scaldare la parrocchia”.( R. Cascioli, Quando i vescovi diventano meteopatici, 24.10.13, LaNuovaBQ.it) “Scorrere le relazioni svolte al seminario, è quantomeno sconfortante – scrive Cascioli – E’ la ripetizione di luoghi comuni, peraltro superati dalla realtà, spacciati per scienza indiscutibile (…)”. Perché allora l’organismo che riunisce tutti gli episcopati dell’Unione Europea sposa questa linea? Si domanda Cascioli, “I motivi possono essere vari, ma al fondo c’è una scelta essenzialmente ideologica, una riduzione delle Scritture a puro moralismo. Senza rendersi conto che l’ideologia ecologista è profondamente anti-umana e per ciò stesso anti-cristiana. L’uomo è infatti visto come un corpo estraneo rispetto all’ambiente che lo circonda, è il nemico della natura, che – va da sé – senza la nostra presenza vivrebbe in perfetto equilibrio. C’è dietro una concezione negativa dell’uomo, tipica di un certo protestantesimo che, non a caso, genera forti tendenze totalitarie: se l’uomo, infatti, è intrinsecamente cattivo c’è bisogno di una autorità statale forte per limitare al massimo i danni che può fare. Che siano anche i vescovi cattolici a seguire questa strada non è decisamente una bella testimonianza. Forse gli episcopati nazionali dovrebbero vigilare meglio sulle attività che a proprio nome vengono effettuate in ambito europeo”. (Ibidem)

DOMENICO BONVEGNA
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