EURISPES: BASTA POCO PER FAR RIPARTIRE IL BRAND ITALIA

“L’Italia ha urgente bisogno di una grande sinergia tra pubblico e privato dal punto di vista degli investimenti culturali – dichiara Pietro Folena, direttore del Dipartimento Cultura dell’Eurispes – Purtroppo negli ultimi anni ai tagli culturali operati dal Pubblico si sono aggiunti quelli degli investitori privati facendo sì che il brand nazionale continui a perdere posizioni”.
Sebbene l’Italia sia da sempre al primo posto per patrimonio culturale (davanti a Francia, Giappone, Svizzera, Regno Unito, Perù, Germania, Israele, Egitto, Canada, Spagna, Svezia, Austria, Nuova Zelanda e Norvegia), il suo brand, secondo la graduatoria stilata da FutureBrand, è sceso dal 2012 al 2013 dal decimo al quindicesimo posto. E’ interessante notare come in questa classifica le posizioni di vertice siano appannaggio di paesi che mostrano una grande capacità di dinamismo associato all’apertura verso le sfide della globalità e della contemporaneità, piuttosto che a valori storici sedimentati. Il brand ai vertici della classifica è quello della Svizzera, seguito da Canada, Giappone, Svezia, Nuova Zelanda e Australia. Al settimo posto c’è la Germania, capace di guadagnare nell’ultimo anno ben 4 posizioni. Appare evidente che questi Stati esprimono maggiore capacità rispetto all’Italia di promuovere il proprio patrimonio culturale attraverso il pubblico e i soggetti privati; questi ultimi comprendono anche i cosiddetti iconic brand, marchi aziendali emblematici che operano lungo i margini, provenienti da associazioni di rilievo. Negativo anche l’andamento delle sponsorizzazioni da parte di investitori privati, passate in Italia da circa 1,8 milioni nel 2008 a 1,3 nel 2012, con un saldo negativo di 463 mila euro. Anche se non dovrebbe essere complicato promuovere lo straordinario patrimonio di opere d’arte presenti nel nostro Paese, stando alle ultime ricerche sugli indicatori di competitività culturale l’Italia, per quel che riguarda architettura e musei, è passata dai 60 punti del 1900 ai 18 del 2000. Un trend opposto a quello per esempio di Stati Uniti e Giappone che sono cresciuti rispettivamente da 50 a 100 e da 20 a 39. Lo stesso discorso vale per l’arte dove da 600 punti del 1900 siamo scesi a 105 nel 2000. Eppure basterebbe davvero poco per rilanciare questo settore strategico il cui indotto, anche dal punto di vista occupazionale, ha potenzialità elevatissime.
“Aumentare gli investimenti pubblici – sostiene nel suo ultimo libro, ‘Il Potere dell’arte’ (Datanews), Pietro Folena – significa trascinare inevitabilmente quelli privati in un vortice virtuoso attraverso la “Formula XXI”: in Italia per un euro pubblico investito nella cultura se ne producono 21,3 privati. Lo stesso moltiplicatore applicato ad altri paesi dà risultati decisamente più bassi (8,8 in Francia, 8,5 in Germania, 10,5 nel regno Unito, 5,4 in Spagna). Peccato che in questi Stati si investe molto più denaro pubblico nella cultura e che, quindi, alla fine il risultato ci vede comunque penalizzati. Il Pil culturale italiano, oggi calcolabile in 40 miliardi all’anno, potrebbe rapidamente raddoppiare con investimenti pubblici limitati (nell’ordine dei 400-500 milioni di euro l’anno)”.