VIAGGIO FRA PATRIOTI, BRIGANTI E PRINCIPESSE NEI GIORNI DELL’UNITà

Continuo la lettura di “C’era una volta l’Italia” di Antonio Caprarica, edito da Sperling & Kupfer (2010). Il 5° capitolo Caprarica lo dedica ai sovrani del Regno delle Due Sicilie, a Francesco II e Maria Sofia. Due giovani che dovettero affrontare loro malgrado gli anni più difficili e bui del Regno borbonico. Molto più energica Maria Sofia Wittelsbach, nonostante i suoi diciannove anni, sorella di Elisabetta, detta Sissi, l’imperatrice dell’impero austriaco, moglie di Francesco Giuseppe. La giovane Maria Sofia fino all’ultimo ha cercato di convincere il consorte a non abbandonare Napoli, con insistenza lo invitava a montare a cavallo e guidare personalmente la riscossa borbonica per riprendersi il Regno che suo cugino gli stava rubando, ma il giovane re Francesco era timido e rassegnato, forse non adatto alla situazione, prigioniero del suo fatalismo non era in grado di comandare come invece sapeva fare bene suo padre Ferdinando II. Alla fine i due sovrani si rifugiarono a Gaeta e qui in pratica ci fu l’unica resistenza borbonica nei confronti dell’invasione armata dell’esercito piemontese di Vittorio Emanuele II. Intanto Napoli rimane nelle mani del doppiogiochista Liborio Romano, i sovrani lasciano a Palazzo Reale tutti i loro beni, perfino il tesoro privato, gli 11 milioni di ducati che il defunto padre Ferdinando aveva depositato presso la Banca d’Inghilterra e che il figlio aveva riportato a Napoli nel cavaeu del Banco di Napoli. Subito incamerati da Garibaldi e i piemontesi. Insieme con gioielli, il vasellame d’oro e d’argento,le opere d’arte rimaste nella vecchia capitale. Francesco si porta dietro solo quattro dipinti di grande valore, ma per lui soprattutto affettivo.
A Gaeta i sovrani di Napoli cercano di fare l’ultimo tentativo di difendere il trono, con loro quasi ventimila soldati, decisi a tenere fede al giuramento di fedeltà verso un sovrano senza terra. La fortezza di Gaeta resiste fino al 13 febbraio 1861, poi mestamente i due giovani sovrani devono abbandonare la fortezza al suono dell’inno del Regno composto da Paisiello. In quei mesi di guerra nasce il mito della regina combattente sugli spalti di Gaeta, il suo coraggio poi ispirerà diversi scrittori a scrivere sull’eroicità della giovane regina, avrò modo di raccontarlo meglio presentando l’opera di Arrigo Petacco, La Regina del Sud.
Caprarica accenna ai tradimenti dei vari generali che si sono venduti ai nuovi vincitori, cioè ai Piemontesi, ma è convinto che il regno borbonico era già pronto a cadere. “Il Regno di Francesco II si è dissolto molto prima che lui si rinchiuda a Gaeta”, scrive Caprarica.
Nel testo Caprarica mette in discussione quei “progressi” soprattutto economici che più volte la pubblicistica vicina ai borboni ha sempre celebrato. Per Caprarica non esiste l’Arcadia affacciata sul Golfo di Napoli, cioè di un Regno favoloso, ricco e progredito.
Ma allora perchè ad un certo punto il popolo meridionale insorse contro il nuovo potere? Caprarica dà la solita lettura di sinistra dei contadini traditi dalle promesse dei garibaldini ecco perché scoppia la rivolta di Bronte: “invece di ricevere i campi promessi vedono i nuovi padroni appropriarsi delle antiche terre comuni, le tasse aumentare e i figli costretti a darsi alla macchia per sfuggire alla leva militare obbligatoria introdotta dagli ‘italiani’”.Tutto vero. Anche Caprarica definisce le insorgenze popolari contro i nuovi arrivati, i piemontesi, come una vera e propria “guerra civile. Una guerra totale dei ‘cafoni’ contro l’esercito degli italiani e dei ‘galantuomini’”.E’ la vera guerra nel Sud. una guerra ‘sporca’, asimmetrica, si dirà nel XX secolo. Nell’arco di cinque anni arriverà a schierare fino a centoventimila soldati italiani contro almeno sessantamila ‘cafoni’ – tra briganti, disertori, contadini complici- che sono italiani ma si dicono napoletani”.
Per capire qual’era l’idea dei liberali piemontesi e in particolare di Camillo Benso Conte di Cavour, del popolo meridionale è interessante leggere cosa ha scritto su La Stampa a proposito della Sardegna arretrata e afflitta da numerosi problemi. Alla domanda che cosa facesse per la Sardegna, la risposta di Cavour è stata questa: “Ho fatto qualcosa, ho mandato un altro battaglione di bersaglieri”. La stessa ricetta applicata adesso alle ex Due Sicilie. E sempre Cavour il 14 dicembre 1860 scrive al re che è ancora a Napoli: “Si dimostri una volontà irremovibile e il popolo si quieterà e si adatterà al nuovo regime. Imporre l’unità alla parte più corrotta, più debole dell’Italia. Sui mezzi non vi è pure gran dubbiezza: la forza morale e, se questa non basta, la fisica”.Qualche giorno dopo riscrive: “(…)non si perda troppo tempo a far prigionieri”.I suoi generali lo hanno preso alla lettera.
Caprarica racconta dei massacri dell’esercito piemontese sul popolo meridionale, ma anche di quelli perpetrati dai vari briganti. Infatti se bisogna evitare di creare leggende nere, allo stesso tempo occorre evitare le Leggende auree. Naturalmente i due paesi del matese Pontelandolfo e Casalduni, due interi paesi messi a ferro e a fuoco dall’esercito piemontese con centinaia di vittime sono lì a dimostrare di quali crimini spietati si sono macchiati i cosiddetti “liberatori”.
Inoltre il libro accenna anche alla vergogna dei tanti prigionieri borbonici, circa 36 mila che subiscono una vera deportazione nei campi di prigionia del Nord, dei veri e propri “lager dei Savoia” come li chiama Fulvio Izzo, il primo a parlarne dei cupi forti di Fenestrelle e di San Maurizio Canavese, trasformati in penitenziari. E cita La Civiltà Cattolica, l’unico giornale che allora ne aveva dato notizia.
Purtroppo il libro di Caprarica è notevolmente inadeguato quando affronta la questione romana, troppo deboli le sue riflessioni sul governo papale, in particolare di Pio IX. Ridicole quelle sul cosiddetto sesso all’ombra della cupola di S. Pietro. E infine questa dati sulla giustizia papalina, alquanto sciagurate: “La pratica dell’impiccagione seguita da decapitazione e infine squartamento resta infatti in vigore negli Stati della Chiesa sino alla fine, e le teste mozzate o gli arti strappati dei ‘liberali’ e dei criminali comuni vengono esposte agli angoli di Roma per ammonire i sudditi atterriti del papa-re”.
Non si è mai chiesto Caprarica come mai il popolo romano non si è mai sognato di insorgere contro il tiranno Pio IX.
Alla prossima affronteremo Terronismo, il libro di De Marco che è orientato verso una critica storico-politica della conquista del Sud e poi finalmente La Regina del Sud di Petacco.

DOMENICO BONVEGNA
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