INUTILIZZATO IL PIù GRANDE PATRIMONIO ARTISTICO MONDIALE

La tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico è un tema che mi ha sempre affascinato, per questo mi ha colpito l’intervista di Luigi Mascheroni su Il Giornale a Mario Resca, (“Nell’Italia dei burocrati far fruttare i beni culturali significa avere tutti contro”, 25.7.12) l’ex direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale. Scaduto il suo mandato dopo tre anni, viene sostituito, nell’indifferenza totale, da Anna Maria Buzzi, docente della Lumsa di Roma. Resca con un curriculum manageriale impressionante, era stato nominato dall’ex ministro Sandro Bondi, e come lui ha subito avversioni di ogni sorta.
“Nell’Italia dei burocrati far fruttare i beni culturali significa avere tutti contro”. Il nemico giurato è la burocrazia, che blocca tutti i cambiamenti: “è il male assoluto dell’Italia inefficiente e corrotta, rallenta le decisioni e l’azione. Da quando sono stato eletto – afferma Resca – ho avuto tutti contro: sindacati, sovrintendenti, ministeriali, accademici, giornali di sinistra…”. Il motivo:“non accettavano e non accettano l’idea che il patrimonio culturale sia una ricchezza che può generare utili”.
In pratica, non si accetta, che oltre a tutelare e conservare il grande patrimonio artistico, si possa valorizzare, cioè “vendere”, i nostri tesori agli stranieri e agli stessi italiani, sfruttando al massimo la cultura dell’accoglienza del nostro Paese. Far girare le opere d’arte, come testimonial della bellezza italiana nel mondo, viene vista come una bestemmia. Non si accetta che nell’ambiente si parli di marketing.
L’Italia possiede oltre il 60% del patrimonio artistico mondiale, ne parlo spesso con i miei alunni, un patrimonio che “sfruttato” potrebbe dare lavoro a un mare di giovani. Nell’intervista Resca sostiene che possediamo 440 siti culturali tra musei e aree archeologiche, escluse biblioteche e archivi. La maggioranza di questi non sono conosciuti, non solo dagli stranieri, ma anche dagli italiani.
L’ex direttore ha provato in questi tre anni a valorizzarli, farli conoscere, per attirare pubblico e c’era riuscito visto che il 1° anno sono stati più del 16%; il 2° più 9%; il 3° più 12%. Di conseguenza, se aumentano i visitatori, aumentano gli incassi, che significa più soldi. Poi ha cercato di renderli più vivibili, offrendo servizi migliori (dalle toilette alle caffetterie, ai ristoranti interni).
Non si comprende per quale motivo bisogna vergognarsi a considerare il visitatore come un cliente da trattare bene per farlo poi tornare. E’ possibile che il Paese più ricco di arte di tutto il pianeta abbia meno visitatori di tutti gli altri Paesi? Resca tra le tante iniziative, aveva inventato lo slogan: “se non lo visiti lo portiamo via”. I professori si sono scandalizzati, ma l’intenzione era quella di comunicare con la gente comune. Altra importante iniziativa è quella dell’accordo con Google per digitalizzare a loro spese un milione di testi delle nostre biblioteche di Stato per renderli accessibili gratis.
Proprio in questi giorni, in Cina, in piazza Tienanmen, stanno vedendo una mostra dei nostri capolavori del Rinascimento, uno spot gigantesco per la nostra cultura di fronte a milioni di cinesi; se anche l’1% decidesse di venire nel nostro Paese? E’ già un successo. Il dottor Resca si rammarica per non essere riuscito a mettere ad ogni museo il meglio della ristorazione, servizi bookshop, il meglio delle guide multimediali. Non è stato possibile perché ancora c’è la difesa corporativa delle varie cricche che rifiutano il mercato. Da noi i privati non possono fare nulla e dato che lo Stato da solo non ce la fa a gestire il patrimonio artistico, allora questo cade a pezzi. L’anno scorso, l’ex ministro Sandro Bondi è stato fatto fuori dal Palazzo in maniera ignobile, strumentalizzando il crollo di un muretto a Pompei, un posto dove ogni giorno cade qualcosa. Qualche mese dopo le forzate dimissioni, l’ex ministro del governo Berlusconi, ha scritto un libro, che recentemente ho letto: La cultura è libertà, pubblicato da Mondadori nel 2011. Scriveva l’ex ministro: “nella cultura il solo fare cenno a un possibile diverso assetto, a un diverso modo di intenderla, è considerato alla stregua di un sacrilegio. Così e così deve restare, unica cittadella che ancora resiste alla marea montante della barbarie”.
Proprio per denunciare questo perverso intreccio che ha spinto Bondi, dopo la sofferta decisione di dimettersi da ministro per i Beni e le Attività culturali, a scrivere il libro per rendere testimonianza del suo impegno a favore della cultura, si tratta delle linee guida di una nuova politica a favore della cultura alla luce delle grandi risorse del nostro Paese. Nella prima parte, a brevi linee ripercorre il processo di egemonizzazione gramsciana del mondo culturale italiano (scuola, giornali, cinema) a cura del più grande Partito comunista occidentale. Con il crollo del Muro di Berlino e la scomparsa del Pci, il “nobile” ideale dell’egemonia muta radicalmente, e si corrompe “nell’ossessiva attività agitatoria ‘a prescindere’ della sinistra postcomunista, che demonizza l’avversario e oppone un rifiuto categorico a ogni possibile mediazione”.
Nella seconda parte, l’ex ministro Bondi, auspica una nuova politica a favore della cultura, che sia più aperta e “democratica”, liberata dalla soffocante tutela dello Stato, e che accetti di farsi giudicare dai cittadini, coinvolgendoli direttamente per farli diventare fruitori dei propri tesori. Nel testo Bondi manifesta una “fede nel bello e nel buono, una scommessa nell’elevazione spirituale dell’uomo, perché la cultura è il luogo dove si è depositato il meglio che l’umanità abbia saputo produrre nel suo lungo cammino”.
Dopo aver letto il libro di Bondi, ho capito perché c’è stato tanto accanimento e odio nei suoi confronti, e penso che per certi versi, le sue dimissioni forzate (non è stato difeso abbastanza neanche dal suo Governo) sono state profetiche visto che dopo alcuni mesi ha dovuto darle anche il presidente del consiglio Berlusconi.

DOMENICO BONVEGNA