NON NEGARE ASILO A CHI FUGGE FAME E GUERRA

La Fondazione Migrantes della Cei si unisce all’appello ‘di chi, persone e enti, chiede in questi giorni di non dimenticare la situazione drammatica in cui si trovano almeno 10.000 persone che hanno visto ricusata la loro domanda di asilo in Italia’. Una situazione drammatica che ‘non riguarda solo queste persone in Italia’, ma anche e in numero maggiore molte persone e famiglie con minori di altri Paesi europei, in particolare della Germania (oltre 100.000. L’Italia unitamente all’Europa – afferma mons. Giancarlo Perego, direttore generale di Migrantes -, alla luce dei fatti di violenza che in questi anni hanno coinvolto numerosi Stati anche dell’Africa subsahariana fino alle recenti rivoluzioni ancora in atto nel Nord Africa e nel Medio Oriente, non possono non valutare la necessità di salvaguardare la vita di tante persone e famiglie attraverso un permesso di protezione internazionale, nelle altre forme diverse dall’asilo (protezione sussidiaria, protezione umanitaria), per il tempo necessario alla formazione e alla ricerca del lavoro’. Per mons. Perego, ‘e’ un sacrifico certamente per il nostro Paese e per l’Europa che vivono un tempo di crisi, ma come in altri tempi – penso all’accoglienza in Italia e in Europa di 200.000 persone dell’Ungheria nel 1956 – la protezione umanitaria puo’ costituire un segno di rinascita e di sviluppo, di condivisione e di cooperazione decentrata’.
Il direttore di Migrantes ricorda che ‘ci sono volti e storie di migranti che, nati in Somalia, in Eritrea, in Nigeria, in Ghana nel Mali, nel Ciad, in Sudan, in Costa d’Avorio, in Bangladesh o in Pakistan o in Afghanistan, da anni sono in cammino e chiedono di trovare casa, lavoro, ma soprattutto pace nel nostro Paese e in Europa’. ‘Non possiamo negare e ricusare – conclude – il diritto di migrare a chi sappiamo non potra’ rientrare nel proprio Paese, ma che senza un titolo di soggiorno continuera’ a vagare irregolarmente in Italia e in Europa, alla ricerca di una sicurezza, ma con il rischio di essere ancora vittima di sfruttamento e di violenze’.