Il Vangelo secondo Andrea Filloramo: ll “giuramento antimodernista”

di ANDREA FILLORAMO

ll “giuramento antimodernista”, al quale il mittente di una e-mail giuntami fa riferimento, quasi accusando di spergiuro Papa Bergoglio, che, in tempi molto remoti, aveva sicuramente fatto, giacché allora esso era imposto a tutti i membri del clero con compiti di ministero, magistero o di giurisdizione ecclesiastica e a quanti aspiravano a diventare parte del clero.

Il giuramento era stato introdotto da Papa Pio X, inizialmente il 1º settembre 1910  col nome di “giuramento della fede”  in risposta al Modernismo che già da alcuni decenni cominciava a prendere piede  e che già era stato condannato in modo molto duro dal Papa nel 1907.

Esso  fu abolito dopo la chiusura del Concilio Vaticano II, in quanto il Concilio non se ne è affatto occupato, da Papa Paolo VI nel 1966.

I Modernisti, del secolo scorso, che vengono ad essere richiamati alla memoria erroneamente da alcuni critici dell’attuale Pontefice ogni qualvolta si parla di lui, oggi dovremmo evitare in ogni modo di demonizzare.

 Ciò per non precipitare in alcuni equivoci interpretativi, poiché i Modernisti – è bene evidenziarlo –  si proponevano una riforma della Chiesa che armonizzasse i valori della tradizione e della cultura cattolica con i problemi impellenti e gravidi di sfide posti dall’età moderna, adattando dunque la rivelazione neotestamentaria a una spiritualità in rapida evoluzione e crescita e alle problematiche della società contemporanea, uscendo così dal bigottismo e dal provincialismo filoclericale, che ancora purtroppo possiamo osservare.

Tutto questo però non contro la Chiesa, ma nella Chiesa stessa, traendo ispirazione dall’evoluzione del pensiero religioso ottocentesco e adottando come strumento di ricerca anche in campo religioso il metodo storico moderno.

L’adozione del metodo storico moderno come strumento di ricerca comportava un maggiore richiamo all’esperienza religiosa e come testimonianza della verità della fede e tutte quelle aperture al mondo e alle problematiche sociali che poi vennero riprese dal Concilio Vaticano Secondo.

In tal senso, quindi, papi modernisti (usiamo il temine con il significato di attenti alla modernità), sono stati sicuramente gli ultimi Papi e, particolarmente quelli più vicini a noi, come Giovanni Paolo Secondo, Benedetto XVI e in un rapido crescendo e molto di più Papa Francesco.

Volendo analizzare il pensiero al quale Papa Bergoglio si è voluto ispirare, che non ha bisogno di assolutamente ancorarsi ai Modernisti o ad alcune loro frange dell’inizio del secolo scorso, lo rintracciamo particolarmente nella prospettiva teologica di un teologo a lui sicuramente molto caro: Karl Rahner (19041984), un gesuita tedesco, che è stato uno fra i protagonisti del rinnovamento della Chiesa che portò al Concilio Vaticano II, sul quale vale la pena prolungarsi.

Egli, chiamato, per iniziativa di papa Giovanni XXIII, come “perito”, cioè teologo consultore, del Concilio Vaticano II, diede il contributo più vigoroso, in ambito cattolico, alla “svolta antropologica” in teologia.

Bisogna – egli sosteneva – sempre partire dall’esperienza trascendentale dell’uomo, in alleanza con la ragione, per costituire una teologia che sia autocomprensione dell’essere umano e superare così il divario, che si è in epoca moderna tra rivelazione ed esperienza umana.

Tra i frutti del pensiero rahneriano, riveste particolare importanza la teoria teologico-religiosa cosiddetta dei “cristiani anonimi”.

Attraverso di essa vengono superate le interpretazioni più restrittive della dottrina della salvezza ottenibile esclusivamente per mezzo della piena comunione con la Chiesa.

D’altra parte, già il Concilio di Trento insegnava l’antica dottrina – risalente ai tempi di Sant’Ambrogio – del “battesimo di desiderio”, secondo la quale chiunque, nel suo autentico indirizzo morale, sia orientato positivamente verso Dio è una persona “giustificata”, anche se non ha ancora ricevuto il battesimo.

La base per la teologia di Rahner è che tutti gli esseri umani hanno una consapevolezza latente (“atematica”) di Dio in tutte le esperienze.

Poiché tale esperienza è “la condizione di possibilità” per conoscere e per la libertà come tale.

Rahner focalizza la propria riflessione sul carattere universale della salvezza, rivolta anche alle “animae naturaliter christianae”, cioè alle “anime che sono naturalmente cristiane”.

Il teologo – è bene evidenziarlo –  nega che la dottrina dei cristiani anonimi sia in contrasto con la pretesa del cristianesimo di essere la più alta espressione del rapporto di grazia fra l’uomo e Dio – o che tale dottrina faccia venir meno la necessità del battesimo e della fede cristiana. 

Pur non manca, nell’approccio di Rahner, un riconoscimento di quanto anche gli appartenenti a fedi diverse dalla cristiana – così come i non aderenti ad alcuna fede – possano essere portatori di Verità.

“Cristianesimo anonimo”, spiega Rahner, significa questo: “chiunque segue la propria coscienza, sia che ritenga di dover essere cristiano oppure non-cristiano, sia che ritenga di dover essere ateo oppure credente, un tale individuo è accetto e accettato da Dio e può conseguire quella vita eterna che nella nostra fede cristiana noi confessiamo come fine di tutti gli uomini. In altre parole: la grazia e la giustificazione, l’unione e la comunione con Dio, la possibilità di raggiungere la vita eterna, tutto ciò incontra un ostacolo solo nella cattiva coscienza di un uomo”.

Ogni uomo, quindi, può essere, secondo Rahner, un cristiano anonimo, anche se non è formalmente un cristiano: Dio vuole la salvezza di tutti e, in ragione di questa universale volontà salvifica, offre a tutti – cristiani espliciti e non – la possibilità della salvezza.

In tal senso, Rahner affermò che la teologia è predicabile soltanto se si mantiene al “passo con i tempi”, capace di confrontarsi e di assimilare l’intera autointerpretazione della verità acquisita dal genere umano in una determinata epoca.

Rileggendo Rahner vediamo di riflesso tutta l’operatività e la programmazione pastorale di Papa Francesco che non è, assolutamente, un demolitore della dottrina e della tradizione, come il mittente della e-mail pervenutami vorrebbe far pensare.

Bergogliani, quindi, e antibergogliani, dovrebbero smetterla di “analizzare questo pontificato con gli occhiali del pregiudizio: gli uni strumentalizzando ciò che dice il papa per farne un falso testimonial di battaglie che si richiamano al modernismo del secolo scorso, gli altri criticando a prescindere tutto ciò che fa o dice”.