Il Vangelo secondo Andrea Filloramo: vocazioni e abusi sessuali dei preti

di ANDREA FILLORAMO

 A completezza di quanto scritto precedentemente sul caso dell’ex seminarista “cacciato” dal seminario per motivi – a suo parere – legati alla denuncia da lui fatta di abusi sessuali operati da preti, rispondo a un’e-mail inviatami qualche tempo fa, in cui, fra l’altro c’è scritto: “Le pongo la domanda, alla quale  non ho avuto risposta: dinnanzi alla crisi della Chiesa, delle vocazioni e degli abusi sessuali dei preti, …quale via può essere percorsa per avere dei sacerdoti come li vuole Gesù Cristo?

Data la complessità della domanda postami nell’e-mail, rispondo, facendo riferimento ad una tecnica che generalmente è suggerita agli insegnanti, ai conferenzieri etc.., alla quale ho fatto talvolta ricorso nel mio lungo percorso di docente e di dirigente scolastico.

Essa consiste nel consiglio. che quando qualcuno sgancia addosso una domanda che richiede delle risposte complesse, non bisogna mai schivarla né pensare che qualche secondo di silenzio possa essere interpretato come un’esitazione, forse anche come poca trasparenza o addirittura ignoranza o nescienza.

Ciò che si può fare per migliorare le risposte a domande difficili, è, infatti, guadagnare il tempo necessario per trovare la risposta giusta.

Tenendo conto di questa premessa, ritengo che, alle domande postemi nella lunga e-mail da me riportata solo parzialmente da parte di uno sconosciuto, hanno già risposto tanti nelle pagine dei loro libri, nelle riviste specializzate, che chiunque può anche consultare per trovare in esse delle risposte in parte o in tutto esaurienti.

Rispondo tuttavia non direttamente ma, come è mio costume, attraverso IMGPRESS, ma dopo alcuni giorni, che ho ritenuto necessari per pervenire a delle risposte coerenti con il mio modo di vedere e di considerare tutto ciò che concerne la Chiesa.

Rammento, innanzitutto, che c’è in atto un lungo percorso sinodale, iniziato già nel mese di ottobre, che avviene secondo i modi e le finalità volute da Papa Francesco e che, quindi, diventa una realtà preziosa per tutta la comunità ecclesiale giacché prevede la chiamata di tutti all’ascolto, alla riflessione e al confronto.

Il Sinodo sicuramente volgerà la sua attenzione anche alle problematiche poste dal mittente dell’e-mail.

Per far ciò, il Sinodo non potrà non partire da una semplice considerazione: nel nostro Paese in vent’anni i sacerdoti diocesani sono diminuiti del 16% e solo un prete su dieci ha meno di 40 anni. Quel che succede in Italia succede anche in quasi tutti i paesi europei. In Germania, per esempio, dove vivono 22 milioni di cattolici, di cui va a messa il 6%, i matrimoni fra cattolici si riducono a meno di un terzo e dove cala il numero delle parrocchie, secondo un rapporto diffuso nei media, nel giro di poco più di una decina d’anni – per il 2030 – registreranno un deficit di 14.000 parroci.

La rivista di informazioni Focus scrive che il Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK) si aspetta che, per quella data, circa 7.000 degli attuali 13.500 luoghi pastorali rimarranno vacanti. Si tratta di evento “catastrofico”, ha dichiarato il Presidente del ZdK, Thomas Sternberg: “Non saremo più in grado di mantenere le strutture abituali e i laici in futuro dovranno assumersi molti più compiti”.

Le domande, quindi, che si possono porre sono le seguenti: – “Si deve continuare, come avviene in alcune diocesi, a cercare i presbiteri da altri continenti che hanno un surplus di preti senza modificare la struttura delle nostre comunità parrocchiali? – Si deve intraprendere un’altra esperienza di chiesa superando lo schema parrocchia-prete tuttofare, detentore di ogni potere e fornito di ogni competenza, per taluna delle quali non ha magari né preparazione, né attitudine? – Bisogna continuare a ritagliare le strutture parrocchiali, su un numero che appare attualmente molto alto, impostandole non in modo tradizionalmente clericale? – E’ necessario cercare con coraggio, rischiando anche l’impopolarità e fors’anche il senso del possesso di alcuni preti che considerano la parrocchia “la mia parrocchia”, i fedeli: “i miei fedeli”, accogliendo anche per l’Italia l’invito del Presidente del ZdK, Thomas Sternberg: “Non saremo più in grado di mantenere le strutture abituali e i laici in futuro dovranno assumersi molti più compiti”?

Una risposta a tutte queste domande mi appare ovvia e molto semplice: – occorre ristrutturare al più presto tutta la Chiesa, abbandonando ciò che non serve più il Vangelo e alle persone. –  Occorre, ancora, abbandonare quelle strutture ritagliate su un numero di presbiteri molto più alto, di quello attuale, e soprattutto solo sui presbiteri, cioè impostate in modo piuttosto clericale. – Occorre formare dei preti che siano degli autentici mediatori e per questo abolire quei seminari che, nel loro stile educativo e formativo, non rispondono a quelle che sono le esigenze di un mondo che si rifiuta di accettare supinamente le imposizioni di un clero non declericalizzato, che continua a imporre sempre e dovunque le sue decisioni, presentandole sempre come espressioni della volontà di Dio.

Affermiamolo con forza: è oggi, intollerabile il fatto che i seminari sfornino preti che hanno dimostrato di essere solo pii e ubbidienti ma privi di quelle “doti” psicologiche ed intellettuali che da loro esige la società per riconoscerli come tali.

Molta attenzione il vescovo, perciò, deve porre nella scelta dei formatori nei Seminari, così come richiesto dalla Nota della Commissione Episcopale del clero, della CEI, contenente le Linee Comuni dei nostri Seminari del 1999.

Essi dovrebbero essere, perciò, persone altamente specializzate, con competenze psico-pedagogiche, di ampia cultura anche laica, di vasto spessore esperienziale, di mentalità non clericale, da rintracciare anche in altre diocesi nel caso in cui nella propria non si trovasse nessuno con tali caratteristiche.

Ogni formatore dovrebbe essere sempre, poi, disponibile a cedere il passo ad altri nel caso in cui accusasse un certo grado di stanchezza, di insicurezza, di incompetenza psico-educativa di fronte alle problematiche dei seminaristi.  

Un rettore siffatto, un Padre Spirituale o un Superiore qualsiasi, non può, infatti, rimanere inchiodato nella sua “seggiola” anche per un ventennio, così come in qualche diocesi è avvenuto perché gradito al suo vescovo, che non sa o non vuole sostituirlo o non sa come sostituirlo.

Rimane certamente il nodo, non sappiamo per quanto tempo, del celibato. Se sempre meno giovani vogliono diventare preti, dipende chiaramente anche dal fatto che oggi, rispetto a una volta, riesce difficile vivere per tutta la vita il celibato e l’astinenza sessuale e di questo la Chiesa, prima o dopo, deve tenere conto, abbandonando del tutto la sessuofobia sulla quale ha costruito almeno nel passato la sua moralità.

A partire dal Concilio Vaticano II (1962- 1965), infatti, è divampato di frequente il dibattito se il celibato deve rimanere obbligatorio per tutti i preti. Il concilio aveva dichiarato che non appartiene all’essenza del sacerdozio, ma che, “sotto diversi punti di vista, è ad esso appropriato”.

 L’abolizione del celibato, però, è una strada impervia, anche per i pontefici che non intendono contraddire i loro predecessori che considerano la castità assoluta un bene irrinunciabile per i preti e non un carisma che non può essere imposto.

Lo stesso Papa Francesco, che sembrava che facesse cadere questo mito, si limita a osservare: “sul sesso niente tabù. La sessualità e il sesso sono un dono di Dio che il Signore ci dà e che ha due scopi: Amarsi e generare vita. È una passione, è l’amore appassionato. Il vero amore è appassionato. L’amore fra un uomo e una donna, quando è appassionato, ti porta a dare la vita per sempre. Sempre. E a darla con il corpo e l’anima”.

Il Papa, però, non va e forse non può andare oltre: ai preti si nega ancora di ricevere quel dono che non è negato agli altri.