L’undicesima tappa di “Innamòrati di Te” sbarca sul web

Codere Italia accende un faro sulla violenza di genere durante la pandemia globale, sulla questione delle donne in Afghanistan e sulla tutela delle bambine. Imma Romano: tutti siamo chiamati a fare la nostra parte per una società più inclusiva…

Nuovo appuntamento con “Innamòrati di Te”, il progetto itinerante di Codere Italia giunto ormai all’undicesima edizione. Quest’anno sbarca sul web, in diretta streaming sul canale YouTube e moderato dalla giornalista Cecilia Leo, per stimolare ancora una volta il dibattito sulla violenza di genere, in particolare su quella consumata durante la pandemia globale.

“La differenza di genere è stata utilizzata da parte della società e della cultura per creare un rapporto diseguale in cui alle donne è stato imposto un ruolo di subordinazione agli uomini. Lo vediamo soprattutto nel luogo che dovrebbe tutelare i diritti dei cittadini in maniera indistinta: il Tribunale, ovvero lì dove dovrebbe regnare la verità e invece troppo spesso regna lo stereotipo, sottolinea Maria Antonietta Labianca, Avvocato penalista cassazionista. Il Tribunale non è un luogo separato dalla realtà culturale e sociale in cui opera, ma è la sua ulteriore rappresentazione. Il settore giuridico è infatti imbevuto di pregiudizi che si esprimono con le domande che vengono rivolte alle vittime nei processi di violenza oppure nelle motivazioni delle sentenze. Tuttavia, è possibile abbattere i pregiudizi di genere, a partire dall’educare nelle famiglie al rispetto per gli altri e al non imporre modelli educativi in cui esistono ruoli separati ed assegnati di chi serve e di chi è servito”.

“Mai come in questo periodo è necessario sensibilizzare e promuovere la “cultura del rispetto” per ogni essere umano, ma con particolare attenzione al rispetto verso le bambine, le ragazze e le donne di ogni età, dichiara Rosaria Avisani di FIDAPA-Federazione Italiana delle Donne nelle Arti, Professioni e Affari. Strani rigurgiti dettati da ignoranza, opportunismo e poteri patologici stanno offuscando la vita quotidiana delle donne in tutti i Paesi del mondo e anche in Italia. Rilanciare il paradigma e il valore del rispetto in ogni ambito e contesto, non perdere mai l’occasione, ritengo sia la prima operazione da svolgere e l’unico strumento per colmare i gap e i dossier ancora aperti, quali la violenza, l’istruzione, il lavoro di cura e retribuito e il differenziale retributivo”.

È bene ricordare che durante la pandemia da Covid-19 sono state proprio le donne ad essere protagoniste: dei 49 milioni di persone impegnate nel settore sanitario, ben il 76% è donna. Particolarmente presenti anche nei servizi essenziali che sono rimasti attivi durante il lock down: il genere femminile rappresenta, ad esempio, l’82% degli addetti alle casse e il 95% di quelli impegnati in lavori assistenziali e domestici. E nei lavori di assistenza all’infanzia e nell’insegnamento di sostegno siamo al 93%.

Circa l’84% delle donne lavoratrici tra i 15 e i 64 anni è impegnato nei cosiddetti impieghi al femminile dell’economia: asili nido, lavori domestici e di segreteria, vendita al dettaglio, servizi ricettivi e turismo.* Posizioni che hanno risentito fortemente della pandemia con conseguenti perdita di posti di lavoro. E lì dove il lavoro è stato conservato, lo si è dovuto combinare in modalità smart-working con la cura dei figli alle prese con la didattica a distanza.

Tutto questo ha prodotto una vera escalation nella violenza sulle donne. Con le restrizioni di movimento, e la conseguente convivenza forzata tra le mura domestiche, è diventato più difficile per le vittime anche chiedere aiuto alle forze dell’ordine o semplicemente contattare il numero antiviolenza.

 “Spesso, anche sulla base di pregiudizi e di una mal percepita sfiducia verso l’Autorità, si ritiene che alla denuncia da parte della vittima non segua un’adeguata risposta in termini di repressione, fa notare Paolo Vincenzoni, Comandante del Reparto crimini violenti del ROS. In realtà la denuncia, oltre alla formalità dell’atto, costituisce di fatto l’incipit non solo all’esercizio dell’azione penale, ma, grazie alle revisioni legislative intervenute nel tempo sul tema specifico della violenza di genere e contro le donne in particolare, consente di fatto l’adozione di immediate ed importanti misure preventive contro gli autori delle violenze, non solo da parte dell’Autorità Giudiziaria, ma anche dell’Autorità di Polizia. Solo con la denuncia si può interrompere quello che, tecnicamente, per gli addetti ai lavori, è conosciuto come il “ciclo della violenza”, ovvero quel percorso ciclico e tragico nella sua evoluzione, che a volte viene portato fino alle estreme conseguenze”.

L’uso su larga scala del web ha inoltre esposto soprattutto i minori a forme di violenza online. La violenza, quindi, come riportano le cronache, non si è fermata. Gli ultimi dati del Servizio Analisi Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza della Direzione Centrale della Polizia Criminale ci danno la fotografia degli omicidi volontari in Italia – e nello specifico quelli che hanno avuto come vittime le donne – consumati nel periodo 1° gennaio – 3 ottobre 2021 con il confronto sullo stesso periodo 2020. Si sono registrati 219 omicidi (228 nel periodo 2020) – di cui 91 con vittime donne (90 nel periodo 2020) – commessi in 117 casi in ambito familiare (113 nel periodo 2020). Di questi, 54 sono state uccise per mano del partner/ex partner (53 nel periodo 2020).

 

“Il fenomeno della violenza di genere, ancor prima che con l’intervento repressivo, necessita di essere combattuto promuovendo una cultura di genere che, in modo sistemico, miri ad eliminare retaggi culturali e discriminazioni, evidenzia Angela Di Salvo Commissario Divisione Anticrimine Questura Roma – Polizia di Stato. Quest’opera di rinnovamento culturale ha interessato anche la Polizia di Stato che da cinque anni, nell’ambito della Campagna “Questo non è amore”, sta portando avanti il Progetto Camper. Un’equipe multidisciplinare composta da psicologi, investigatori e operatori dei centri antiviolenza si reca nei principali luoghi di aggregazione, piazze, scuole, università, mettendo a disposizione a chi ne fa richiesta le proprie competenze, cercando di favorire un contatto diretto con le potenziali vittime, con l’obiettivo di informare ed aiutare a far emergere i casi di violenza taciuta o nascosta”.

 

In Italia operano anche molte associazioni che hanno come scopo la valorizzazione delle pari opportunità’ e la cultura di solidarietà e di mutuo aiuto fra le donne. Tra queste gli Stati generali delle Donne ha dato vita nel 2016 al progetto #panchinarossa, ormai diventato uno dei simboli della lotta alla violenza sulle donne. “Lo scopo del progetto è la volontà di ricordare tutte le donne uccise per violenza e che hanno subito o che ancora subiscono violenza. La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani, che offende la libertà e l’autodeterminazione delle donne, è una discriminazione nei confronti delle donne, una disparità di trattamento tra uomini e donne. Purtroppo, ancora oggi, nonostante lo sviluppo culturale, il progresso tecnico, il riconoscimento dei diritti e dei valori, la nostra società è condizionata da una tradizione patriarcale e sessista”, commenta Isa Maggi, coordinatrice nazionale degli Stati generali delle Donne.

 

La recente cronaca ha fatto emergere anche la difficilissima posizione delle donne in Afghanistan, un paese in cui hanno ripreso potere i talebani che in un lampo hanno di fatto annullato i progressi duramente fatti negli ultimi 20 anni. Nonostante la rassicurazione delle forze di governo locale, al momento nessuna donna è presente nel nuovo esecutivo. Sono state anche annunciate ulteriori restrizioni come quelle di praticare alcuni sport. Non va meglio nelle università dove uomini e donne sono tenuti rigorosamente lontani o in classi diverse o separati da tende oscuranti: una vera e propria segregazione di genere. A questo si aggiungono nuovi diktat sull’abbigliamento, sugli orari di entrata e uscita per impedire la socializzazione. Un allarme lanciato anche dall’Unesco che ha parlato di rischio di “catastrofe generazionale” che farebbe svanire gli enormi progressi fatti in particolare per le ragazze e le donne. A questo si aggiunge un tasso di povertà del 72% (dato ONU).

“La pandemia non ha diminuito la nostra attenzione sulla violenza di genere, spiega Imma Romano, Direttore Relazioni Istituzionali di Codere Italia. Il progetto Innamòrati di Te ormai da sei anni accende un faro sulle questioni di genere e mai come quest’anno crediamo ci sia bisogno di sottolineare come la pandemia abbia reso la società meno inclusiva. Tutti siamo chiamati a rispondere alle sfide che si stanno presentando in materia di parità di genere: le istituzioni devono fare la loro parte ma anche i singoli e le aziende private devono mettere in campo tutte le azioni per un futuro sostenibile. E Codere, da tempo, in questo si è già attivata. La crisi che ha colpito il mondo deve essere vissuta come un’opportunità, per far emergere il valore dell’enorme contributo che le donne apportano alla società”.

*Dati EPRS/EIGE/UN/Eurostat