LA VOLPE E IL CACCIATORE. IL PRIMO LEGAL THRILLER AMBIENTATO A MESSINA

L’uomo che rappresentava gli interessi di Cosa Nostra nella città di Messina adesso era fermo all’angolo di via Carducci a Milano.
Osservò la folla con attenzione per qualche minuto, come se volesse svelare a ciascuno di loro la sua vera identità. Lui era Tano, uno dei più pericolosi boss della mafia. Avrebbe voluto leggergli in faccia il loro stupore, la tensione che si scioglieva trasformandosi in gocce di sudore. Sorrise al pensiero.
“Da qui si può dirigere la baracca senza che nessuno mi rompa i coglioni – pensò il boss – che si ammazzino fra di loro quei quattro disgraziati e pezzenti, tanto chi se ne fotte… ho il potere e soprattutto i soldi”.


A pensarci bene, Tano la volpe, agli occhi di un attento osservatore, aveva l’aspetto di un ricco turista. Lo faceva da uomo libero, e non avrebbe potuto, lo continuava a fare ora, che poteva ancora di meno. Aveva una bizzarra eleganza: capelli corti ben tenuti su dal gel, pantaloni griffati con una piega perfetta e una cravatta dai colori tumultuosi.
Erano ormai trascorse diverse settimane da quando gli sbirri avevano violato la sua privacy. Quello stronzone che lui teneva in pugno non era riuscito a bloccare la cosa. Solo un avvertimento e nulla più. L’unica cosa che al momento non gli sembrasse un incubo era la ragazza russa che si era scopato la sera prima. Le era montato di sopra con la solita foga. E lei, poco dopo, l’aveva fatto godere con tutta la femminilità che emanava ogni lembo della sua pelle. Che nottata ragazzi! Spaccone com’era, ne avrebbe raccontato le prodezze sessuali a quei minchioni dei suoi picciotti. I quali con la bava alla bocca avrebbero iniziato a tesserlo di lodi.
“Minchia! Chi è stato quel cazzone che ha detto che comandare è meglio di fottere – pensò a un tratto – io posso fare tutte due le cose…“.
Nonostante la doccia che si era concesso quella mattina, aveva ancora addosso il suo profumo. L’aveva contattata tramite un amico che trafficava in merce umana. Roba di lusso. Tano lo spaccone si era presentato come un professionista dell’alta finanza. In fondo, a pensarci bene, in quella sua definizione racchiudeva la vera natura: succhiare il sangue al povero malcapitato di turno. No! Non aveva del tutto mentito quando si era presentato come un manager di Piazza Affari.
Quando Marina, la vaporosa ventiquattrenne originaria di Mosca, si avvicinò alla sua bocca e iniziò a sbottonargli la camicia le sensazioni che provò dentro di sè furono molteplici. Un vulcano in piena eruzione. La ragazza aveva capelli neri e gli occhi verdi. I suoi lineamenti erano perfetti. Con la bava alla bocca le guardò le gambe lunghissime e i seni tondi ben fatti. Per quanto Tano fosse abituato a simile mercanzia, dovette ammettere che la puttana era davvero bella. Sicuramente una delle tante modelle mancate che affollano i marciapiedi dei locali di via Montenapoleone. Per tutta la serata aveva mandato giù un bicchierino dietro l’altro con apparente facilità. Il cognac sembrava non intaccare più di tanto i suoi riflessi, né deturpare la sua bellezza. Un fiore sbocciato offerto a mani rozze che non lo sapevano apprezzare. Le movenze con le quali stava catturando l’attenzione di Tano erano d’alta scuola. Ogni sua espressione racchiudeva un giochino. Il cliente non avrebbe avuto di che lamentarsi per il trattamento riservato, pensò Tano mentre puntava decisamente gli occhi sul corpo ben modellato della ragazza. La cerniera della lampo venne giù in modo naturale. La biancheria che teneva ben rinchiusa la mercanzia lasciava trasparire i tesori. Il mafioso la baciò con passione in bocca. Pensò che fosse bello baciarla. Definì quella labbra tenere e quel contatto con il suo corpo un’eccitazione degna della migliore pellicola hard. Sfiorò il suo seno e la pelle morbida di Marina e quel profumo di sesso gli procurò quasi una erezione. La cosa lo innervosì non poco. Da focoso amante quale si era sempre vantato con i suoi picciotti, si stava misurando con i rischi di una performance erotica troppo precoce. “Cazzo, proprio a me no”, pensò mentre si concentrava sull’ultima preda distesa a gambe invitanti sul lettone. Gli tornarono nella testa le vertigini che aveva provato mentre la donna giocava con il suo pene, di come lo eccitava il solo pensiero di lei. Era ancora talmente arrapato da non riuscire a respirare.
La stanza dell’albergo dove Tano alloggiava era divenuta di colpo silenziosa. Solo la luce dei lampioni saliva su dalla strada ed entrava dalla finestra. Nonostante i guai giudiziari, Tano Foresta aveva cose più importanti a cui pensare. La squillo di lusso in un cattivo italiano gli aveva raccontato di aver posato come covergirl per importanti magazine. A Tano sembrò una storia già sentita altre migliaia di volte. Marina adesso vendeva il suo splendido corpo e le sue carezze al migliore offerente. Quella notte era toccato a Tano lo sbruffone.
Il colpo di vento, causato dal brusco passaggio di un tram, lo riportò immediatamente alla realtà: si ritrovò immobile sul marciapiede in compagnia di un gruppo di turisti giapponesi che lo stavano fotografando.
“E questi musi gialli che minchia vogliono da me?”, così dicendo fece un cenno con la mano ai suoi guardaspalle che lo seguivano a breve distanza: nel giro di cinque minuti la pellicola venne distrutta e le relazioni diplomatiche con il Sol Levante gravemente compromesse.
Quindi entrò in un bar e prese una tazza di caffè con in mano una copia della Gazzetta del Sud, che aveva poco prima acquistato in un’edicola. Era una abitudine, per sentirsi legato alla sua città. Seduto al tavolino, lesse con attenzione il titolo che lo riguardava, a pagina 6. Gli sfuggì un’imprecazione.
“La Squadra mobile indaga sulle attività di Gaetano Foresta”.
C’era anche una sua fotografia. Tano fu colpito dal sorriso beffardo stampato sul volto. Lesse velocemente l’articolo. Fu interrotto dallo squillo del telefonino:
“Fatta! Abbiamo la merce e i soldi”.
“Bene Salvatore. Spediscila a don Santo, vediamo cosa dice”.
“Sì… mi ha chiamato Antonio: vuole andare lui ”.
“Domani mattina noi ci sentiamo e tu gli telefoni verso le 3 del pomeriggio. Io ti dico dove lo devi rintracciare, va bene?”.
“Uhm”.
“Poi si è fatto vivo quell’altro della provincia… parlava di soldi che sta perdendo dietro l’affare in Polonia”.
Sembrò infastidito.
“Lascialo perdere!”.
“Tano, ha chiamato tre volte eh…”.
“Fanculo!”.
“Senti, ha fatto il nome di don Santo…”.
Ci fu un attimo di silenzio, poi replicò in tono leggero.
“Uhm. Caso mai, chiamo io don Santo e vediamo cosa vuole”.
“C’é dell’altro, Tano?”.
Foresta esitò qualche istante prima di impartire l’ordine:
“Un’ultima cosa… organizza la squadra. Quel lavoretto che ti dicevo è fissato per questa sera”.

 

LA VOLPE E IL CACCIATORE – IMG PRESS