TUMORI: AL GIGLIO CORTOMETRAGGIO SULL’UMANIZZAZIONE DELLA CURA

Si sono concluse alla Fondazione Giglio di Cefalù le riprese di un cortometraggio ispirato alla vicenda umana di una giovane mamma che si scopre affetta da un tumore alla mammella in fase metastatica.

 

Da qui la chiusura in se stessa, nel suo dolore, le difficoltà di dialogo con i medici, la scelta di lasciare i propri figli nelle mani della nonna per facilitarne, un giorno, il distacco. Tutto ciò sino all’approccio con la medicina narrativa o espressiva che la  porta a riscoprire nuovi percorsi personali, in questo caso la passione per il disegno.

Questo aspetto, insieme ai disegni, diventano il filo conduttore del racconto nel film, dal titolo Greta, del regista Alberto Culotta.

“E’ un cortometraggio – spiega il responsabile dell’oncologia Massimiliano Spada – che vuole fare emergere l’umanizzazione della cura e la costruzione di un rapporto tra il medico e il paziente  e la famiglia dello stesso che non si deve limitare alla mera trasmissione di dati clinici”. “L’umanizzazione nei percorsi sanitari – sottolinea il presidente della Fondazione Giglio, Giovanni Albano – è fondamentale per donare al paziente serenità e costruire un rapporto di fiducia”

La sceneggiatura è tratta da una storia vera vissuta tra le mura dell’ospedale Giglio di Cefalù. E’ stata scritta dall’oncologo Massimiliano Spada, dallo psicologo clinico Gaetano Castronovo, dal regista Alberto Culotta con contributi dell’oncologo Sebastiano Spada

Sul set, allestito all’interno anche della struttura sanitaria, sono impegnati oltre agli attori professionisti, circa 15 maestranze. I ruoli principali sono interpretati da Gaetano Ingala, Lorenza Caroleo, Cesare Biondolillo e Federica D’Amore.

Il cortometraggio avrà una durate di circa 15 minuti e sarà presentato al congresso nazionale Aiom di fine anno.

“Da sei anni al Giglio – concludono Giuseppe Rotondo, responsabile della psicologia clinica e Gaetano Castronovo – nell’approccio con il paziente, utilizziamo la medicina narrativa che sfrutta diversi moduli espressivi e un nuovo modo di comunicazione. Cerchiamo di vedere il malato e non la malattia facendone emergere le diversità interiori”.