Nostro viaggio-inchiesta nel coraggio, nelle competenze, nell’empatia, nelle aspirazioni delle nostre donne della sanità

«Il loro sorriso non manca mai nel primo contatto con le persone, e poi a “fare la differenza” c’è quel calore che sanno trasmettere con la loro innata empatia, fondamentale nel prendersi cura dei soggetti più fragili.

Alla base, però, c’è soprattutto la solidità di quelle competenze che ne fanno il baluardo della tutela della salute della collettività. I dati del Ministero della Salute, aggiornati al 2021, in tal senso non mentono. Il nostro Sistema Sanitario è sempre più…al femminile.

A dicembre 2021, sono, infatti, più di 450mila, le donne che lavorano con contratto a tempo indeterminato presso le strutture del Servizio Sanitario Nazionale: parliamo di infermiere, ostetriche ed altre professioniste della salute, ossia il 69% circa del personale del nostro SSN, con il 50% rappresentato dagli infermieri, la professione sanitaria per eccellenza al femminile. In questo caso, nel caso delle professioniste dell’assistenza, le nostre donne sono, in Italia, il 76,45% degli iscritti agli ordini professionali contro il 23,55% degli uomini».

Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

«Più che mai in questo delicato momento storico in cui il nostro sistema sanitario è decisamente in debito di ossigeno, le donne della sanità devono far fronte a tutta la propria forza e a tutte le proprie qualità umane per cercare di “rimanere a galla” nelle acque agitate dei disagi, della disorganizzazione, della carenza di personale, dei turni massacranti.

E poi ci sono le vili aggressioni. In questo caso parliamo di infermiere, sono proprio loro le vittime sacrificali dell’esasperazione dei pazienti e dei loro parenti: oltre il 70% delle vittime, questo lo sappiamo, continua De Palma, sono le nostre professioniste dell’assistenza e vale la pena di ribadirlo quando si parla di personale sanitario femminile.

Calci e pugni fanno davvero male e non lasciano solo “il ricordo” di lividi e volti tumefatti quando torni a casa dal marito e dai figli. Fanno capolino il terrore, la paura, i traumi, perché si dimentica forse troppo in fretta che, prima che professioniste della sanità, le donne sono madri e mogli.

I turni di notte, le ferie accumulate, la gestione anche di 20 pazienti nelle lunghe giornate dei pronto soccorsi affollati  in un’area triage, ma anche lo stress emotivo di anni trascorsi in reparti come la terapia intensiva, dove, a contatto diretto con soggetti gravi, quando spesso si è chiamati a lottare faccia a faccia con la morte, l’ansia esplode in patologie come la sindrome di burnout, ma anche altre malattie legate a una professione, decisamente usurante, dove i turni di notte e le scarse ore di sonno diventano il preludio di malattie come scompensi ormonali e cardiaci, nonché sindromi metaboliche.

E allora, al di là dei freddi numeri “della geografia” del personale sanitario del SSN, rimangono, nel caso delle professioniste della sanità, più che mai, le azioni, le emozioni, l’abnegazione, le elevate responsabilità che sanno gestire.

Non è un caso che tra le professioni della pubblica amministrazione, la presenza femminile ai vertici delle direzioni generali delle aziende sanitarie e ospedaliere italiane, sia pur ancora molto bassa, registra nel 2022 un aumento percentuale del 3,8% rispetto all’anno precedente, secondo l’analisi condotta dalla Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) sul management femminile nelle direzioni strategiche della sanità.

Il trend di crescita di donne manager è stato lento ma continuo negli ultimi quattro anni, portando il totale dal 14,4% del 2018 al 22% registrato dalla Fiaso alla data del 28 febbraio 2022.

Tutto questo equivale a dire che c’è una sanità dove le donne non solo occupano ruoli manageriali e strategici, ma dimostrano ogni giorno di più di possedere le capacità e la volontà per meritarlo», conclude De Palma.