IN CRESCITA LO SHOPPING “MADE IN ITALY” DEGLI STRANIERI

MADE IN ITALY: “Fashion & High Street Report” di Federazione Moda Italia-Confcommercio: nei primi sei mesi del 2019 aumento del 7% del volume degli acquisti effettuati dagli stranieri extra Ue nei fashion store del nostro Paese, con uno scontrino medio che si aggira sugli 800 euro. Borghi: “aspettiamo una vera sforbiciata alle tasse su imprese e famiglie”.

 

I consumi interni, dopo una primavera devastante, hanno evidenziato da giugno a settembre segnali positivi che si spera possano trovare conferme anche nell’ultimo trimestre di questo 2019. Lo shopping made in Italy segna, anche nel primo semestre 2019 una crescita del 7% del volume degli acquisti effettuati dagli stranieri extra Ue nei fashion store del nostro Paese, con uno scontrino medio che si aggira sugli 800 euro.

L’Italia rimane meta di grande appeal sia per i brand internazionali sia per quelli made in Italy, con canoni di locazione in crescita grazie all’offerta esclusiva di spazi di pregio. Questo lo scenario che emerge dal nuovo “Fashion & High Street Report” di Federazione Moda Italia-Confcommercio con World Capital, in collaborazione con Osservatorio Acquisti Nexi, Global Blue e CCIAA di Milano che include, in questa edizione, un focus interamente dedicato alla città di Milano.

“Con l’avvento del Natale – afferma Renato Borghi, presidente di Federazione Moda Italia–Confcommercio – l’auspicio che mettiamo sotto l’albero è che torni a crescere la fiducia dei negozi di moda e, soprattutto, la voglia di shopping, dopo un anno ancora troppo tentennante e una situazione metereologica e di mercato in profondo cambiamento. Le mutate abitudini e attitudini d’acquisto dei consumatori e l’esponenziale concorrenza dei nuovi canali di vendita hanno evidenziato rinnovate esigenze del fashion retail che porteremo all’attenzione delle istituzioni per nuove scelte politiche e fiscali”.

“Le nostre aziende – prosegue Borghi – stanno aprendo una seria riflessione sui loro modelli di business, ma chiedono di lavorare almeno a parità di condizioni con quelle che realizzano sul web fatturati astronomici senza versare il dovuto corrispettivo. Facciamo un mestiere che è sempre più complicato e competitivo in un mercato all’insegna del ‘laissez- faire’, con autostrade aperte su Internet per multinazionali e grandi gruppi e aziende del piccolo dettaglio che continuano a soffrire sulle nostre strade. Quelle stesse strade che i negozi tengono vive creando, tra mille balzelli e difficoltà, valore ed occupazione e dando decoro, luce, professionalità, servizi e soprattutto relazioni umane di cui oggi, in questi tempi nuovi e complessi, c’è un grande bisogno”.

Aver evitato l’aumento dell’Iva e introdotto la web digital tax – conclude Borghi – è, dunque,  un grande risultato ascrivibile all’azione portata avanti con determinazione da Confcommercio, ma restiamo ancora in attesa di una bella sforbiciata delle tasse su famiglie e imprese; una riforma fiscale, cioè, capace di dare una scossa anche ai consumi interni”.