Il principio che vieta il cumulo delle azioni penali può ostare all’arresto di una persona interessata da una segnalazione Interpol

Così è nel caso in cui le autorità competenti siano a conoscenza di una decisione giudiziaria definitiva che accerta l’applicazione di tale principio, adottata in uno Stato parte dell’accordo di Schengen o in uno Stato membro…

Nel 2012 l’Organizzazione internazionale della polizia criminale (Interpol) ha pubblicato, su richiesta degli Stati Uniti e sulla base di un mandato d’arresto emesso dalle autorità di tale paese, un avviso rosso riguardante WS, un cittadino tedesco, ai fini della sua eventuale estradizione. Se una persona oggetto di un simile avviso rosso viene localizzata in uno Stato affiliato all’Interpol, tale Stato deve, in linea di principio, procedere al suo arresto provvisorio oppure controllarne o limitarne gli spostamenti.

Tuttavia, ancor prima della pubblicazione di tale avviso rosso, un’indagine avente ad oggetto, secondo il giudice del rinvio, gli stessi fatti all’origine di tale avviso era stata avviata a carico di WS in Germania. Tale procedimento è stato definitivamente archiviato nel 2010, dopo il pagamento di una somma di denaro da parte di WS, conformemente a un procedimento specifico di transazione previsto nel diritto penale tedesco. Successivamente, il Bundeskriminalamt (Ufficio federale anticrimine, Germania) ha informato l’Interpol che, a suo parere, a causa di tale precedente procedimento, il principio del ne bis in idem era applicabile al caso di specie. Tale principio, sancito sia all’articolo 54 della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen [1] sia all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), vieta segnatamente che una persona che sia già stata giudicata con sentenza definitiva sia nuovamente sottoposta a procedimento penale per il medesimo reato.

Nel 2017 WS ha proposto un ricorso contro la Germania dinanzi al Verwaltungsgericht Wiesbaden (Tribunale amministrativo di Wiesbaden, Germania), affinché le fosse ordinato di adottare le misure necessarie per il ritiro del suddetto avviso rosso. A tale riguardo, WS deduce, oltre a una violazione del principio del ne bis in idem, una violazione del suo diritto alla libera circolazione, garantito dall’articolo 21 TFUE, in quanto egli non può recarsi in uno Stato parte dell’accordo di Schengen o in uno Stato membro senza rischiare di essere arrestato. Egli ritiene altresì che, a causa di tali violazioni, il trattamento dei suoi dati personali, contenuti nell’avviso rosso, sia contrario alla direttiva 2016/680, relativa alla protezione dei dati personali in materia penale [2].

È in tale contesto che il Verwaltungsgericht Wiesbaden ha deciso di interrogare la Corte sull’applicazione del principio del ne bis in idem e, più precisamente, sulla possibilità di procedere all’arresto provvisorio di una persona oggetto di un avviso rosso in una situazione come quella di cui trattasi. Inoltre, in caso di applicabilità di tale principio, detto giudice chiede quali siano le conseguenze rispetto al trattamento, da parte degli Stati membri, dei dati personali contenuti in un simile avviso.

Nella sua sentenza, pronunciata in Grande Sezione, la Corte dichiara che l’articolo 54 della CAAS nonché l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, letti alla luce dell’articolo 50 della Carta, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano all’arresto provvisorio, effettuato dalle autorità di uno Stato parte dell’accordo di Schengen o da quelle di uno Stato membro, di una persona interessata da un avviso rosso pubblicato dall’Interpol su richiesta di uno Stato terzo, a meno che non sia accertato, in una decisione giudiziaria definitiva adottata in uno Stato parte del suddetto accordo o in uno Stato membro, che tale persona è già stata giudicata in via definitiva rispettivamente da uno Stato parte del suddetto accordo o da uno Stato membro per gli stessi fatti su cui detto avviso rosso si basa. La Corte dichiara inoltre che le disposizioni della direttiva 2016/680, lette alla luce dell’articolo 54 della CAAS e dell’articolo 50 della Carta, devono essere interpretate nel senso che esse non ostano al trattamento dei dati personali contenuti in un avviso rosso emesso dall’Interpol, fintanto che non sia stato accertato, con una tale decisione giudiziaria, che con riferimento ai fatti su cui detto avviso si basa si applica il principio del ne bis in idem, purché un simile trattamento soddisfi le condizioni previste da tale direttiva.

Giudizio della Corte

In via preliminare, la Corte ricorda che il principio del ne bis in idem può trovare applicazione in una situazione come quella di cui trattasi, vale a dire in un contesto in cui sia stata adottata una decisione che archivia in modo definitivo un procedimento penale subordinatamente al rispetto, da parte dell’interessato, di determinate condizioni, in particolare il pagamento di una somma di denaro fissata dal pubblico ministero.

Fatta tale precisazione, la Corte dichiara, in primo luogo, che l’articolo 54 della CAAS, l’articolo 50 della Carta nonché l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE non ostano all’arresto provvisorio di una persona interessata da un avviso rosso dell’Interpol, fintanto che non sia accertato che quest’ultima è stata giudicata con sentenza definitiva da uno Stato parte dell’accordo di Schengen o da uno Stato membro per gli stessi fatti su cui l’avviso rosso si basa e che, pertanto, si applica il principio del ne bis in idem.

A tale riguardo, la Corte indica che, quando l’applicabilità del principio del ne bis in idem resta incerta, un arresto provvisorio può costituire una tappa indispensabile al fine di procedere alle verifiche necessarie, evitando al contempo la fuga dell’interessato. Tale misura è allora giustificata dall’obiettivo legittimo di evitarne l’impunità. Qualora, invece, l’applicazione del principio del ne bis in idem sia stata accertata con decisione giudiziaria definitiva, tanto la fiducia reciproca esistente tra gli Stati parti dell’accordo di Schengen quanto il diritto di libera circolazione ostano a un simile arresto provvisorio o al mantenimento di tale arresto. La Corte precisa che spetta agli Stati parti dell’accordo di Schengen e agli Stati membri garantire la disponibilità di mezzi di ricorso che consentano agli interessati di ottenere una simile decisione. Essa rileva inoltre che, quando un arresto provvisorio sia incompatibile con il diritto dell’Unione, a causa dell’applicazione del principio del ne bis in idem, uno Stato membro dell’Interpol, astenendosi dal procedere a un arresto siffatto, non verrebbe meno agli obblighi ad esso incombenti in quanto membro di tale organizzazione.

In secondo luogo, quanto alla questione relativa ai dati personali contenuti in un avviso rosso dell’Interpol, la Corte indica che ogni operazione applicata a tali dati, come la loro registrazione nei sistemi di ricerca di uno Stato membro, costituisce un «trattamento» rientrante nella direttiva 2016/680 [3]. Essa ritiene inoltre, da un lato, che tale trattamento persegua una finalità legittima e, dall’altro, che esso non possa essere considerato illecito per la sola ragione che il principio del ne bis in idem potrebbe applicarsi ai fatti su cui l’avviso rosso si basa [4]. Tale trattamento, da parte delle autorità degli Stati membri, può del resto risultare indispensabile proprio al fine di verificare se detto principio si applichi.

In tali circostanze, la Corte dichiara, parimenti, che la direttiva 2016/680, letta alla luce dell’articolo 54 della CAAS e dell’articolo 50 della Carta, non osta al trattamento dei dati personali contenuti in un avviso rosso, fintanto che una decisione giudiziaria definitiva non abbia accertato che il principio del ne bis in idem si applica nella fattispecie. Tuttavia, un simile trattamento deve rispettare le condizioni previste da tale direttiva. In questa ottica, esso deve essere necessario, in particolare, per l’esecuzione di un compito di un’autorità nazionale competente, a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali [5].

Quando, invece, il principio del ne bis in idem si applica, la registrazione, nei sistemi di ricerca degli Stati membri, dei dati personali contenuti in un avviso rosso dell’Interpol non è più necessaria, dato che la persona di cui trattasi non può più essere sottoposta a procedimento penale per i fatti oggetto di detto avviso né, di conseguenza, essere arrestata per questi stessi fatti. Ne consegue che la persona interessata deve poter chiedere la cancellazione dei suoi dati. Se, tuttavia, tale registrazione è mantenuta, essa deve essere accompagnata dall’indicazione che la persona di cui trattasi non può più essere sottoposta a procedimento penale in uno Stato membro o in uno Stato contraente per i medesimi fatti, a causa del principio del ne bis in idem.

[1] Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen (Lussemburgo) il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore il 26 marzo 1995 (GU 2000, L 239, pag. 19) (in prosieguo: la «CAAS»).

[2] Direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio (GU 2016, L 119, pag. 89).

[3] V. articolo 2, paragrafo 1, e articolo 3, punto 2, della direttiva 2016/680.

[4] V. articolo 4, paragrafo 1, lettera b), e articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2016/680.

[5] V. articolo 1, paragrafo 1, lettera e articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2016/680.