GAZA: 1 PERSONA SU 4 COSTRETTA A LASCIARE LE CASE. SFOLLATI TUTTI GLI OPERATORI UMANITARI DI ACTIONAID

«Ogni volta proviamo a raccogliere la nostra dignità, a cercare un po’ di pace, a vivere una vita normale. All’improvviso ci ritroviamo in una tenda: caldo soffocante, sabbia ovunque, insetti, nessun conforto, nessuna privacy. Sono stato sfollato più di otto volte. Le nostre vite sono diventate una valigia» racconta un operatore umanitario di Gaza che chiede anonimato. 

Oltre una persona su quattro a Gaza è stata nuovamente sfollata con la forza dopo che il cessate il fuoco del 18 marzo è stato violato, secondo gli ultimi dati dell’UNOCHA. Tra questi c’è lo staff delle associazioni partner di ActionAid nella Striscia, che ha dovuto abbandonare improvvisamente le attività e fuggire dalle sedi e dalle proprie abitazioni, dopo aver ricevuto ordini di evacuazione forzata da parte dell’esercito israeliano.

Con l’82% del territorio sotto controllo militare israeliano o soggetto a ordini di evacuazione di massa continui, le persone sfollate sono costrette a cercare rifugio in un’area sempre più ristretta, in campi e rifugi sovraffollati.

I lavoratori umanitari sfollati di ActionAid esprimono una profonda disperazione per aver perso tutto ancora una volta, dopo essere stati già costretti a fuggire in più occasioni, in alcuni casi fino a 12 volte. Uno di loro ha dichiarato: «Ogni volta che proviamo a ricominciare, ci ritroviamo nello stesso dolore, come se la stanchezza fosse il nostro destino. Sono stato sfollato sei volte. Ogni volta è più difficile della precedente: sono mentalmente esausto. La mia casa è stata distrutta, così sono tornato nella mia città di origine. Ho sistemato una piccola stanza nella casa dei miei genitori, ho ricostruito la mia vita a poco a poco, comprato l’indispensabile e ho provato un barlume di gioia. E oggi? Sono di nuovo in una tenda, a ricominciare da zero, ancora una volta».

Un altro ha raccontato ad ActionAid: «Siamo fuggiti sotto pesanti bombardamenti, con il cuore che batteva forte per la paura dei miei figli. Ho raccolto quel poco che sono riuscito a portare. È stato uno degli sfollamenti più duri: siamo scappati a malapena con la vita mentre le esplosioni colpivano tutto intorno. I miei figli sono ancora traumatizzati: non dormono e sobbalzano a ogni rumore. Il loro stato psicologico sta crollando e io mi sento impotente».

Con il blocco totale dell’ingresso di beni e aiuti umanitari nella Striscia da più di tre mesi, le persone sfollate devono arrangiarsi e le condizioni di vita sono insostenibili. Molte famiglie sono ammassate in tende precarie sulla spiaggia, con donne e ragazze in particolare che soffrono per la totale mancanza di privacy e sicurezza.

Oltre a dover affrontare pericoli costanti e condizioni disumane, la popolazione di Gaza continua a soffrire la fame e la situazione peggiora di giorno in giorno. Dopo tre mesi di quasi totale blocco dell’ingresso di aiuti e beni, nei mercati resta a malapena del cibo, e quel poco che c’è ha prezzi inaccessibili.

Tasneem, operatore della rete di ONG palestinesi-PNGO, partner di ActionAid ha raccontato: «Di solito non trovo nulla al mercato. A volte ci sono delle verdure avariate. Ma anche quelle costano moltissimo. Ci diciamo spesso l’un l’altro: “Hai mangiato e hai ancora fame?” È perché il nostro cibo non è più nutriente. Non vediamo frutta, carne, pollo, latte, uova o alimenti sani da più di tre mesi».

Le persone disperate, oggi, si trovano di fronte al terribile dilemma tra morire di fame o rischiare la vita per cercare di accedere agli aiuti distribuiti dalla controversa Gaza Humanitarian Foundation, che non fornisce più cibo da tre giorni, dopo una settimana di caos mortale in cui decine di persone sono state uccise nel tentativo di raggiungere i punti di distribuzione. Non c’è nulla di umanitario né di umano nell’operazione condotta da questa fondazione, che invece di rispondere ai bisogni di una popolazione affamata, utilizza il sistema di distribuzione degli aiuti per controllare e sfollare le persone.

ActionAid chiede che il mondo riconosca che questo esperimento pericoloso ha fallito e che è necessario agire subito affinché gli aiuti possano entrare e vengano distribuiti attraverso il sistema delle Nazioni Unite, fondato su principi umanitari.  I palestinesi a Gaza stanno morendo di fame e non c’è più tempo da perdere.
Gli Stati possono e devono fare molto di più per garantire un cessate il fuoco permanente e fare pressione sulle autorità israeliane affinché permettano l’ingresso su larga scala degli aiuti, per fermare sul nascere una carestia annunciata.