Corte Ue: non viola il diritto Ue la normativa italiana del 2014 che ha ridotto gli incentivi per gli impianti fotovoltaici

Tra il 2003 e il 2014, alcuni imprenditori, gestori di impianti fotovoltaici in Italia, hanno concluso con il Gestore dei Servizi Energetici (“GSE”), società pubblica, delle convenzioni che prevedevano incentivi per la produzione di energia elettrica mediante impianti fotovoltaici.

Nel 2018, molti di questi imprenditori, alcuni rappresentati dalla Anie, Federazione nazionale delle imprese elettrotecniche ed elettroniche, si sono rivolti al TAR del Lazio chiedendo l’annullamento della normativa italiana del 2014 in materia di produzione di energia da impianti fotovoltaici[1], che ha, in sostanza, ridotto gli incentivi (o differito il pagamento degli stessi) per il settore fotovoltaico, incidendo negativamente sulle convenzioni in corso.

In questo contesto, il TAR Lazio chiede alla Corte di Giustizia se il diritto dell’Unione (in particolare la Direttiva 2009/28/CE sulle rinnovabili[2], gli articoli 16 – libertà d’impresa – e 17 – diritto di proprietà – della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché i principi di certezza del diritto e di protezione del legittimo affidamento), si opponga ad una normativa nazionale come quella di cui trattasi.

 Con l’odierna sentenza, la Corte risponde negativamente a tale questione[3], fatte salve le verifiche del giudice del rinvio.

La Corte constata che, in base alla direttiva sulle rinnovabili, gli Stati membri hanno la facoltà, ma non l’obbligo, di adottare degli incentivi per il fotovoltaico. Pertanto, purché siano rispettati i principii generali del diritto dell’Unione – qual è il principio della certezza del diritto, che ha come corollario il principio della tutela del legittimo affidamento – la direttiva non si oppone alla modifica in senso peggiorativo di un regime di incentivi precedentemente introdotto.

La Corte sottolinea, poi, che, nelle convenzioni stipulate con i gestori di impianti fotovoltaici, il GSE si era riservato espressamente la facoltà di modificare unilateralmente il contenuto di dette convenzioni per poter tener conto dell’evoluzione del quadro normativo di riferimento: ciò indicava chiaramente che gli incentivi potevano essere adeguati, o addirittura soppressi, in forza, appunto, di modifiche legislative. Modifiche del genere erano tanto più prevedibili in quanto le convenzioni erano valide per lunghi periodi (anche di vent’anni). Sulla scorta di tali osservazioni, la Corte conclude che la riduzione degli incentivi o il differimento del pagamento degli stessi non comporta la violazione della certezza del diritto e del legittimo affidamento dei gestori e si inscrive, anzi, nel quadro dei limiti legali al diritto di proprietà di cui all’articolo 17 della Carta.

La Corte rileva, inoltre, che la normativa di cui trattasi non ha comportato alcuna ingerenza nella libertà di impresa (art. 16 della Carta) dei gestori degli impianti fotovoltaici, nella misura in cui le modifiche peggiorative non riguardano gli incentivi già erogati ma solo quelli previsti nelle convenzioni e non ancora erogati. Orbene, la libertà d’impresa comprende il diritto di ogni impresa di poter liberamente utilizzare le risorse economiche e finanziarie di cui dispone. Gli incentivi previsti dalle convenzioni stipulate tra il GSE e i gestori, però, non possono essere considerati parte delle risorse di cui questi ultimi dispongono, dato che i corrispondenti importi non sono stati ancora erogati e che i gestori non possono far valere un legittimo affidamento ad ottenerne l’erogazione.

La Corte osserva, infine, che i gestori non hanno negoziato i contenuti delle convenzioni. Essi hanno potuto solo scegliere se aderirvi o no. Solo nell’adesione si è, cioè, estrinsecata la libertà contrattuale dei gestori. Le modifiche successive delle convenzioni in base alla nuova normativa, quindi, non costituiscono un’ingerenza nella libertà contrattuale delle parti, tanto più che, come detto, il GSE si era riservato di modificarne unilateralmente il contenuto.

[1] Decreti ministeriali del 6 e 17 ottobre 2014 che hanno dato attuazione all’articolo 26 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (in Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 144 del 24 giugno 2014), convertito nella legge 11 agosto 2014, n. 116, recante: «Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea».

[2] Direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE

[3] La Corte rileva che non è applicabile al caso in esame la c.d. carta dell’Energia (Atto finale della Conferenza sulla carta europea dell’energia – Allegato 1: Il trattato sulla Carta dell’energia – Allegato 2: decisioni riguardanti il trattato sulla Carta dell’energia, in G.U. n. L 380 del 31/12/1994 pag. 0024 – 0090) perché non risulta che gli imprenditori ricorrenti siano legittimati ad avvalersi di tale accordo internazionale.