BASTANO LE MISURE DRACONIANE PER SCONFIGGERE IL VIRUS?

In questi giorni di grave emergenza, stiamo ascoltando diversi commenti più o meno interessanti, visto il tempo a disposizione, ho avuto modo di leggerne diversi, il primo che voglio presentare è quello del professore Luca Ricolfi, un economista serio, ha offerto diverse riflessioni. Il mese di febbraio per bloccare il virus è stato cruciale, e sugli errori fatali di questa mediocre classe dirigente ci sarà molto da dire.

 

Errore 1: avere sottovalutato, nonostante le avvertenze degli esperti (il primo allarme di Roberto Burioni è dell’8 gennaio, ben due mesi fa), la gravità della minaccia dell’epidemia di coronavirus, non solo respingendo la linea rigorista dei governatori del Nord, ma tentando di approfittare politicamente delle circostanze: un’emergenza sanitaria è stata trattata come un’emergenza democratica, come se la posta in gioco fosse l’antirazzismo e non la salute degli italiani (il medesimo Burioni, per le sue proposte di quarantena, è stato accusato di fascio-leghismo).
Errore 2: aver rinunciato, quando la misura sarebbe stata ancora efficace, a una campagna massiccia di tamponi, per la paura di danneggiare l’immagine dell’Italia all’estero.
Errore 3: aver insistito per giorni sulla necessità di far ripartire l’economia, come se questo obiettivo – se perseguito nel momento di massima espansione dell’epidemia – non avesse l’effetto di facilitare il contagio. Non so se, in queste ore, il governo correggerà la rotta, e in che misura eventualmente lo farà. Ma penso di poter dire, sulla base dell’evidenza statistica disponibile, che non essere intervenuti drasticamente e subito avrà un costo enorme in termini di vite umane, prima ancora che in termini di ricchezza»
. (Luca Ricolfi, “Coronavirus, calcoli sbagliati: le gravi responsabilità del governo”, 5.3.2020 Il Messaggero)

A questo punto il professore fa due conti, «Se, come molti esperti considerano possibile, il virus dovesse raggiungere anche solo il 20% della popolazione (12 milioni di persone), i morti non sarebbero il 3% (circa 360 mila) ma almeno il triplo o il quadruplo, ovvero 1 milione o più. In quel caso, infatti, i posti di terapia intensiva necessari per salvare i pazienti gravi non sarebbero sufficienti, nemmeno ove – tardivamente – il governo varasse oggi stesso un piano per raddoppiare o triplicare la capacità attuale (oggi i posti disponibili sono 5000, con 12 milioni di contagiati ce ne vorrebbero più di 50 mila, ossia 10 volte la capacità attuale)».

Per Ricolfi lo scenario potrebbe diventare apocalittico, se l’epidemia dovesse raggiungere quasi l’intera popolazione italiana.

A questo punto sarebbe necessario un nuovo governo e ben altra classe dirigente. Incalza Ricolfi: «Oggi è il tempo di salvare l’Italia da una catastrofe potenzialmente peggiore di una guerra, e di farlo con i mezzi che abbiamo e il tempo ristrettissimo che ci sta davanti».

Dopo aver detto che non spetta a lui redigere un piano che limiti i danni. Certamente ci penseranno quelli come il professore Burioni, Crisanti o Galli.

Tuttavia Ricolfi si sente di scrivere due cose: «La prima è che la priorità non può essere far ripartire l’economia subito, perché questo non farebbe che accelerare la circolazione del virus. Le risorse economiche dovrebbero essere indirizzate prima di tutto a moltiplicare le unità di terapia intensiva e sub-intensiva, perché quasi certamente fra 2 o 3 settimane i malati gravi saranno molto più numerosi dei posti disponibili. La seconda è che, se vogliamo limitare il numero dei morti, dovremo rinunciare, per almeno qualche settimana, a una parte delle nostre libertà e, probabilmente, anche a una frazione di ciò che siamo abituati a pensare come parte integrante della democrazia. Quando dico rinunciare alle nostre libertà, penso soprattutto alla libertà di circolazione e di spostamento».

Ricolfi insiste anche oggi sulle misure drastiche da intraprendere: «Avere senso civico, oggi, significa fare ciò che ci viene richiesto, anche se significa vivere in un modo orribile e disumano. Ed è gravissimo che sia i privati (per interessi economici) sia le autorità (per ragioni politiche) continuino a diffondere le tre bufale fondamentali che hanno ritardato la presa di coscienza dei cittadini: che il virus uccida solo gli anziani già affetti da altre gravi patologie; che i soggetti senza sintomi (i cosiddetti asintomatici) non possono trasmettere il virus; che il coronavirus sia poco più che una brutta influenza». (Luca Ricolfi, “L’impegno di tutti/ Una guerra che non ammette disertori”, 9.3.2020, Il Messaggero)

Sul senso civico degli italiani, si sta puntando in queste ultime ore. Sta facendo molto discutere, quello che è successo a tarda sera di sabato alle stazioni ferroviarie di Milano è stata una scena per alcuni da “8 settembre”, un caos provocato dal Governo Conte con il suo “decreto” sulla chiusura della Lombardia. “L’assalto ai treni per fuggire da Milano è la fotografia più avvilente del livello al quale è stato portato il Paese, ha scritto Eugenio Capozzi.

Infatti «Che si arrivi a tanto così dal mettersi le mani addosso per salire su un treno e rischiare di portarsi altrove il virus che magari è stato appena preso nella folla. E rendere banali, così, gli sforzi di chi sta tentando di preservare la salute, il lavoro ed i soldi di tutti. Questa esperienza, finora, ha insegnato che l’Italia è ancora molto lontana dall’essere un Paese unito. Scene come quelle di ieri sera alla stazione Centrale milanese fanno capire che qui ciascuno bada al proprio orticello anche quando non grandina e che se l’insalata dell’orto del vicino marcisce, è solo un problema suo». (C. Arija Garcia, “Coronavirus: il fallimento educativo sta uccidendo l’Italia”, 8.3.2020, laleggepertutti.it)

Anche il professore Capozzi mette l’accento sulla mancanza di senso civico degli italiani, «da questi complessivi fallimenti ed insufficienze emerge anche un problema complessivo di mentalità diffusa, di costume rispetto ad altre parti del mondo. A parte le considerazioni sul caso cinese, non paragonabile al nostro per la natura illiberale e dittatoriale delle misure restrittive poste in atto da quel regime (ma, va rimarcato, su numeri giganteschi: si parla di 700 milioni di persone praticamente isolate), sembra indubbio che la società italiana abbia oggi molto da imparare dalla disciplina sociale, dal senso civico e dal rigore istituzionale prevalenti nei paesi dell’Estremo Oriente asiatico. Essa mostra ancora, rispetto all’epidemia, un atteggiamento troppo superficiale e leggero: in parte per la sua radicata propensione all’individualismo e familismo anarcoide, in parte perché incoraggiata fino a poco tempo fa da messaggi irresponsabili e controproducenti lanciati dal governo e da altre istituzioni […] Occorre assolutamente un deciso cambiamento di passo nella lotta all’epidemia: che vuol dire innanzitutto percepire fino in fondo la gravità della situazione, e agire con decisione, se necessario con durezza, di conseguenza.

È vitale che, dai più alti vertici istituzionali a tutte le fasce della società, si smetta di considerare sacre e intoccabili tutte le nostre abitudini e comodità consolidate. Che ci si torni a convincere – e molto in fretta – che di fronte a prove difficilissime, in cui è in gioco il futuro del paese, si può e si deve rinunciare per un certo periodo a quote anche consistenti di libertà individuale per il bene della comunità. (E. Capozzi, “Coronavirus in Italia: il naufragio delle istituzioni e una società incapace di disciplina”, 7.3.2020. L’Occidentale)

E allora se occorre rigore e fermezza potrebbero avere ragione chi in questi giorni per lottare contro l’epidemia ipotizzano di ispirarsi al regime totalitario comunista cinese di Xi Jimping, che si presenta come il miglior modello possibile di contrasto alla diffusione del morbo: «controllo totale e capillare dei suoi cittadini, chiusura completa di intere regioni con decine di milioni di abitanti, costruzione di ospedali a tempo record. E molti italiani, anche insospettabili, vorrebbero seguirne l’esempio. Eppure questa è solo la facciata “buona”, sotto cui il totalitarismo comunista nasconde inefficienza e brutalità. Senza dimenticare che l’epidemia si è diffusa solo a causa dei silenzi imposti dalla censura di Pechino». (Stefano Magni,” Lotta al Coronavirus, tutti affascinati dalla dittatura cinese. Meno i cinesi stessi”, 7.3.2020, in LaNuovaBQ.it)

Per esempio Daniela Sbrollini, senatrice di Italia Viva, che accoglie il suggerimento degli esperti di “chiudere tutto” in vista del peggioramento dell’epidemia. “E’ evidente che siamo in un Paese democratico dove non vige il regime comunista della Cina, che però in questo caso è riuscita a contenere l’epidemia adottando dei sistemi obbligatori di controllo e di schedatura dei propri cittadini”.

Mentre Corrado Formigli, nella trasmissione Piazza Pulita, intervistando il professor Massimo Galli (infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano), nelle sue domande dice anche: “Diciamo che lì (in Cina, ndr) hanno il vantaggio della dittatura, che non è un vantaggio da poco”. Così Magni si domanda: «Quale vantaggio ha mai dato la dittatura comunista alla Cina e al mondo nella lotta a questa epidemia? Prima di tutto, pensare che la Repubblica Popolare sia un modello virtuoso, vuol dire sacrificare la realtà della genesi e della prima diffusione del coronavirus». A me questo sembra che questo atteggiamento assomigli molto alla “sindrome di Stoccolma”.

L’editorialista de LaNuovaBQ.it in questo documentato articolo sintetizza come è nato il virus nel mercato del pesce di Wuhan e poi come le autorità comuniste hanno costretto il dottor Li Wenliang (successivamente morto del male che ha contribuito a scoprire) a fare autocritica e quindi a nascondere tutto anche all’Oms. Ritengo opportuno pubblicare gran parte del servizio per capire con chi abbiamo a che fare.

«Meno nota – continua Magni – è però la sistematicità con cui le autorità, a tutti i livelli, hanno soppresso ogni informazione sul nuovo virus, perdendo un intero mese critico in cui l’epidemia poteva essere più efficacemente contenuta. Il Wall Street Journal ha documentato puntualmente tutte queste carenze, omissioni e deliberate disinformazioni del regime cinese, pagando con l’espulsione di tre suoi giornalisti dalla Cina.

Ancora il 7 gennaio, quando lo stesso presidente Xi Jinping dava l’ordine di controllare lo scoppio dell’epidemia, le autorità locali ufficialmente negavano che si trattasse di una malattia trasmissibile da uomo a uomo. Il banchetto organizzato dal Partito nella città di Wuhan per celebrare il capodanno lunare si è tenuto regolarmente, con almeno 40mila ospiti. Nei giorni del capodanno, almeno 5 milioni di cinesi si sono mossi da e per Wuhan, il tutto mentre le autorità sapevano ma tacevano.

Intanto, fra il 6 e il 17 gennaio si riunivano i consigli legislativi e consultivi del Partito a Wuhan e in quel periodo ogni notizia “allarmistica” era censurata. Per una prima dichiarazione pubblica del presidente Xi Jinping si sarebbe dovuto aspettare fino al 20 gennaio. Il 23 la Cina ha dichiarato lo stato di emergenza e ha posto in quarantena Wuhan e le città limitrofe, un’area con 50 milioni di abitanti, come mettere in una zona rossa tutta l’Italia. Il contenimento, tanto osannato dagli “esperti” ha avuto successo? Purtroppo non lo sappiamo. Scrive Magni – Sappiamo solo che la Cina continua a censurare le notizie e abbiamo chiari indizi che stia manipolando le statistiche. Un gruppo di ricerca canadese, il Citizen Lab, ha rilevato che sin dal 1° gennaio le autorità stanno applicando una forte censura su WeChat (la più diffusa app per le chat in Cina, simile a Whatsapp) filtrando tutte le parole chiave che riguardano l’epidemia di coronavirus, per impedire ogni critica alla classe dirigente cinese. Anche i videoblogger che provano a raccontare come si vive in quarantena o cosa pensa la gente della politica delle autorità, pagano col carcere.

Non è possibile verificare in modo realmente indipendente le statistiche cinesi, i numeri vengono ridotti o gonfiati. E molti funzionari, che temono l’epurazione, potrebbero non dire tutta la verità. Appare come il sintomo di una epurazione imminente, ad esempio, il video della visita a Wuhan di Sun Chunlan, la vicepremier. Passeggiando per le vie del quartiere Qingshan, viene contestata apertamente dai cittadini, che le gridano dalle finestre “Falsi! Falsi! E’ tutto falso!” e “Formalismo!”  La dittatura “ha i suoi vantaggi”, – scrive Magni – ma ha uno svantaggio fondamentale: che tutto finisce nelle mani di un partito politico con potere assoluto. Che agisce, prima di tutto, con criteri politici. E non è detto che siano i migliori per salvare vite umane».

DOMENICO BONVEGNA

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