Avvocata generale Ćapeta: la normativa anti-discriminazioni dell’Unione europea non osta a che uno Stato membro istituisca un obbligo vaccinale per i militari, anche se in contrasto con le loro opinioni personali

Le opinioni personali basate su preoccupazioni sanitarie in merito al vaccino o sul dissenso rispetto alla politica governativa in materia di vaccinazione non costituiscono «convinzioni personali» rientranti nei motivi di discriminazione vietati…
Durante la pandemia di COVID-19, la legislazione italiana di cui è causa ha introdotto un obbligo di vaccinazione contro il coronavirus per i membri dell’esercito che lavorano per il Ministero della Difesa. Il personale militare che ha scelto di non vaccinarsi è stato temporaneamente sospeso dall’esercizio dell’attività lavorativa senza retribuzione.
Il ricorrente nel presente caso ha rifiutato di farsi somministrare tale vaccino per due ragioni. In primo luogo, riteneva che fosse inefficace e non sicuro. In secondo luogo, dissentiva dalla politica del governo, ritenendo inaccettabile la reticenza del governo ad assumersi qualsiasi responsabilità per i potenziali effetti collaterali del vaccino. Di conseguenza, è stato sospeso dal lavoro, senza retribuzione, per circa due mesi, al termine dei quali l’obbligo vaccinale è stato revocato. Egli ha impugnato la decisione sostenendo che tale sospensione era stata discriminatoria, fondandosi, tra l’altro, sulla direttiva quadro sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro 1.
Al fine di valutare la compatibilità della legislazione italiana con tale direttiva, l’organo giurisdizionale italiano ha sottoposto alla Corte di giustizia alcune questioni pregiudiziali.
Nelle sue odierne conclusioni, l’avvocata generale Tamara Ćapeta afferma che la direttiva quadro sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro non è applicabile al caso di specie.
L’avvocata generale spiega che tale direttiva vieta le discriminazioni fondate su una serie di motivi da essa elencati, uno dei quali è il motivo della «religione o convinzioni personali». La Corte di giustizia ha operato una distinzione tra convinzioni di natura religiosa, filosofica o spirituale, che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva, e altre opinioni, ad esempio convinzioni politiche o sindacali, che esulano dall’ambito di applicazione di tale direttiva.
Pertanto, una opinione personale basata su preoccupazioni relative alla salute o su dissensi rispetto alla politica governativa non rientra nelle «convinzioni personali» che costituiscono uno dei motivi di discriminazione vietati dalla direttiva in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, in quanto non è qualificabile come una vera e propria convinzione filosofica, bensì piuttosto come un’opinione critica riguardo alla vaccinazione obbligatoria.

In subordine, qualora la Corte dovesse ritenere che tale opinione personale riguardo all’obbligo vaccinale rientri nelle «convinzioni personali» ai sensi di tale direttiva, l’avvocata generale considera che tale obbligo configurerebbe a una discriminazione indiretta, la quale, comunque, può essere giustificata dall’obiettivo legittimo di protezione della salute pubblica. La vaccinazione obbligatoria rappresentava una misura appropriata e necessaria per conseguire tale obiettivo nel contesto dell’emergenza causata dalla diffusione del coronavirus.