Ancora un caso giudiziario di errore da Intelligenza Artificiale. Limiti e potenzialità: l’Umano al centro

Sta facendo discutere un’altra decisione che chiama in causa l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale (di seguito denominata Ai) per la redazione di atti del diritto.

Il Giudice, chiamato non solo a valutare i contenuti delle rispettive ragioni dal lato delle pretese e da quello della difesa, si fa interprete anche del modo con cui la dottrina si pone nei confronti delle questioni del diritto che vengono sollevate davanti al competente Tribunale. Dagli avvocati.

Le conseguenze di un uso sbagliato di una Ai nella formazione/redazione degli atti del processo si conferma pericolosa non solo per la disfatta in giudizio, ma anche per le conseguenze punitive che i giudici possono (e per molti versi devono) comminare alla parte che ha usato male l’Ai.
Nel dettaglio – decisione n. 2021/2025 del Tribunale del Lavoro di Torino – è un’opposizione all’ingiunzione di pagamento con varie motivazioni in diritto e in procedura. Non ultima di notifica. La controparte ha chiesto non solo il rigetto del ricorso ma anche la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite.
L’atto in questione presentava non poche criticità, fra cui per esempio, come si legge in sentenza: “Tutte le doglianze relative al merito della pretesa creditoria portata dagli avvisi di addebito sottesi all’intimazione di pagamento e alla validità formale degli stessi -espresse, per altro, in termini del tutto astratti, privi di connessione con gli specifici titoli impugnati e che, pertanto, risultano in larga parte inconferenti – non possono essere esaminate, in quanto proposte oltre il termine di 40 giorni dalla notifica di ciascuno degli avvisi di addebito”

E ancora, la redazione dell’atto si espone a censura da parte del Giudice laddove si legge: “L’eccezione di incompetenza territoriale va rigettata in quanto formulata in via del tutto generica e senza alcuna connessione con gli atti oggetto del ricorso o con la situazione della ricorrente”.
Ulteriormente: “L’eccezione di omessa indicazione del criterio di calcolo degli interessi è infondata in quanto il detto criterio è legislativamente predeterminato ai sensi dell’art. 30, DPR n. 602/73, che fa riferimento al tasso determinato annualmente con Decreto del Ministro delle Finanze, e dunque conoscibile dal contribuente (Cass. ord. 6288/2025), come, per altro, risulta esplicitato a p. 22 dell’atto impugnato”.

Infine, come se già non bastasse: “L’eccezione di nullità della pretesa tributaria per essersi formato il silenzio assenso dell’amministrazione sulla sospensione ex lege e cancellazione dei crediti oggetto dell’istanza ex L. 228/2012, art. 1 co. 537-540, formulata dalla ricorrente è, anch’essa, infondata. (omissis) ha infatti prodotto la comunicazione con cui, in data 28.5.2024 ha rigettato l’istanza avanzata dalla ricorrente in data 24.5.2024. Nulla ha osservato la ricorrente sul punto. Nessun silenzio assenso può dunque ritenersi prodotto in relazione ai crediti oggetto del giudizio”.

Così letto l’atto sembra di per sé deficitario. Sicuramente, una oculata difesa avrebbe potuto pronosticare l’esito. Le parole del giudice infatti, sono facilmente “anticipabili” attraverso un’attività di ricerca nemmeno troppo elaborata, trattandosi di fattispecie note in diritto e su cui si è formata un’ampia giurisprudenza. Altrettanto per le argomentazioni sostanziali.

Quindi ecco la tanto commentata valutazione critica del giudice che coinvolge l’utilizzo di una Intelligenza Artificiale:
“La ricorrente ha infatti agito in giudizio con malafede o, quantomeno con colpa grave, dal momento che ha proposto opposizione nei confronti di avvisi di addebito che le erano stati tutti notificati in precedenza, già oggetto di plurimi atti di esecuzione anch’essi tutti regolarmente notificati ed ha svolto – tramite un ricorso redatto “col supporto dell’intelligenza artificiale”, costituito da un coacervo di citazioni normative e giurisprudenziali astratte, prive di ordine logico e in larga parte inconferenti, senza allegazioni concretamente riferibili alla situazione oggetto del giudizio – eccezioni tutte manifestamente infondate”.

Pertanto, oltre alla sconfitta e al pagamento delle spese di lite, il giudice condanna altresì:
“Ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., si ritiene altresì necessario condannare parte attrice al pagamento della somma di euro 500 in favore di ciascuna delle parti convenute” cui fa seguito ad abundantiam: “A tale statuizione consegue, ai sensi dell’art. 96, c. 4, c.p.c. la condanna ad una somma in favore della cassa delle ammende che si determina equitativamente in Euro 500”.

Negli ultimi mesi i professionisti sono stati i destinatari di una sempre maggior offerta di servizi IT basati sull’uso di agenti di intelligenza artificiale.

Le differenze in queste offerte commerciali paiono essere più di natura pubblicitaria, offrendo in larga parte i medesimi servizi. Salvo il copiarli per ragioni di marketing integrando quindi alcuni che a macchia di leopardo inizialmente non sono presenti o vengono introdotti a discapito degli altri competitor. E’ quindi ragionevole affermare che l’offerta è standard.

Nel frattempo si moltiplicano i corsi che provano a spiegare come meglio utilizzare l’Ai per massimizzare i contenuti e valorizzarne l’impatto nella produttività.

Una buona parte di questi corsi sono pensati per un target di destinatari che non hanno la minima competenza o che non posseggono elementi di antropologia culturale IT idonei a metterli a contatto con l’utilizzo dell’Ai il cui approccio da parte del consumatore medio è molto più riferibile, se vogliamo, a quello che l’essere umano chiede all’internet of things.

Inevitabilmente in questo contesto il rischio è di organizzare un’armata brancaleone di professionisti che ricorreranno all’Ai un po’ come uno studente pone quesiti e domande di teologia a una app. Senza cioè possedere la capacità critica di verificare non il risultato ma la natura della domanda.
L’Ai corre il rischio di concepire l’atto a immagine e somiglianza degli intenti di colui che la interroga. Le conferisce quelle disposizioni operative che non sono per l’Ai interpretabili alla luce della capacità oratoria e persuasiva come appartenne ai Sofisti nelle loro dissertazioni, bensì all’espediente di ottenere con furbizia un risultato utile. Ed ecco quindi che il costrutto è molto umano e poco artificiale.

Per questo, e giustamente, il giudice lo qualificherà come inconferente. Non certo per via del canone ermeneutico utilizzato dall’Ai nello sviluppo delle argomentazioni (che non c’è), ma quale ripercussione logica conseguente delle intenzioni manifestate da parte di colui che governa l’Ai.

La mano sulla culla è quella di chi controlla il Mondo, per il Bambino che in essa riposa. Il compito affidato a chi guida la tenerezza e la fanciullezza nella sua crescita (e nel suo addestramento a diventare autonomo) parte dal presupposto che l’emancipazione sia un percorso dove qualcosa viene preso e altro viene tralasciato. In favore di quello che rende ognuno unico e irripetibile: l’esperienza.

Si rifletta metaforicamente sul fatto che un prodotto commerciale, quanto tecnologicamente avanzato, se offerto in pasto ai Proci di Ulisse non provoca altro se non la debosciata quanto lasciva ricerca di una soddisfazione all’altezza di coloro che bivaccano e sciupano le risorse non potendo equipararsi ai costruttori e ai visionari.

Si potrebbe affermare, non senza un pizzico di rammarico per le occasioni mancate, che ahimè non diventerete bravi più di quanto già non lo siate grazie all’Ai. Se eravate scrittori mediocri l’Ai non vi trasformerà in Autori best seller meritevoli di premi letterari. Non funziona così.
Se pretendete di utilizzare l’Ai come un motore di ricerca per velocizzare, l’esplorazione la deprime. Gli sottraete bellezza in favore della rapidità. Orbene l’esperto del diritto è colui che naviga alla ricerca della sapienza attraverso la conoscenza.

Ben ricordo quando scartabellando tra Libri e indagando le nuove tecnologie qualcuno esclamava: “stiamo facendo il diritto” perché ci spingevano a osservare la volta celeste come Cartesio alla ricerca di un qualcosa che potesse diventare la scintilla di un fuoco greco.

Questo l’Ai non lo può fare. E chi per adesso afferma il contrario sta mentendo. O è un venditore e allora vi dice quello che volete sentire.
Se si continuerà ad essere esploratori e ad amare ciò che esplorate, si sarà come gli archeologi che non si arrendono se sotto la sabbia trovano solo la sabbia perché da ogni scavo imparano qualcosa e prima o poi è la somma di quegli errori che gli permetterà di raggiungere una scoperta.
L’Ai non ha bisogno di sbagliare ma paradossalmente, se la si vuole usare bene, le si dovrà trasmettere quel bagaglio di errori che siamo noi. Irripetibili perché pieni di difetti. I “nostri” difetti. E ci rendono unici.

L’assimilazione provoca risultati atroci che solo i furbetti vanno cercando perché pensano che esiste una scorciatoia che, guarda caso, dovrebbe premiare proprio loro mentre la ricerca non si ferma al risultato e valorizza il percorso.

Alla luce di questa decisione ma anche di precedenti, ritengo che l’avvocato sia ancora e forse di più’ irrinunciabile. Laddove lo stesso non è una macchina e non usa una macchina per quanto sofisticata, ma la governa attraverso la comprensione non della tecnologia ma della scienza del diritto, dove entrambi, umano e Ai, in un’ottica forse in parte romantica e magari anche transumanista possono competere ed eccellere. Ma solo l’avvocato, alla fine, può vincere.

Marco Solferini, legale, consulente Aduc, delegato sede Bologna