SCUOLA – Stipendi, dopo Pasqua meno di 50 euro d’aumento

Manca solo l’ufficialità, ma si può dare quasi per certo che ad aprile 1 milione e 200 mila lavoratori della scuola riceveranno i sospirati aumenti, che in media non superano le 50 euro. Sull’ipotesi di contratto, firmata dal CGIL, CISL e UIL, dopo il sì del Consiglio dei Ministri, secondo Orizzonte Scuola manca all’appello solo la Corte dei Conti. La quale, “dovrebbe pronunciarsi nell’arco di 15 giorni. Se la Corte dei Conti non troverà intoppi, il testo sarà definitivamente firmato dalle parti sociali e dall’amministrazione e sarà dato il via al recupero delle somme di aumento che spettano al personale della scuola”.

L’entità delle cifre, dopo quasi 10 anni di blocco delle buste paga, si commentano da sole: sempre secondo la rivista specializzata, un collaboratore scolastico ad inizio carriera percepirà in più appena 37 euro netti, mentre un docente con 35 anni di anzianità non supererà di molto le 50 euro. Gli incrementi stipendiali, su cui pesa l’incognita futuro per quelli più bassi, assicurati solo fino al dicembre 2018, risultano persino sotto quella che sarebbe stata l’indicizzazione della vacanza contrattuale, contro cui abbiamo non a caso fatto ricorso sulla base di un chiaro parere della Consulta.

Somme modestissime in arrivo anche per quanto riguarda gli arretrati del biennio 2016/2017: per gli Ata, vanno da un minimo di 195 euro per i collaboratori scolastici, ad un massimo di 429 euro per i direttori dei servizi generali e amministrativi. Per quanto riguarda i docenti, il massimo a cui potranno aspirare quelli dell’infanzia sarà di 395 euro, mentre la cifra più significativa spetterà ai laureati che lavorano negli istituti secondari di II grado, cui spetterà per 35 anni di anzianità 412 euro. In pratica, una seconda vergogna nazionale, attuata su chi guadagna meno di tutti nella PA.

Per l’Anief, quelle che arriveranno ad aprile a 1.191.694 dipendenti della Scuola sono cifre davvero troppo modeste: “I docenti e il personale Ata – spiega il suo presidente nazionale, Marcello Pacifico – meritavano di più dal contratto: 300 euro mensili di aumento e 6mila di arretrati. Invece, è arrivata una miseria: aumenti complessivi di 5 punti percentuali, a regime, ben tre volte solo l’inflazione registrata dal 2008. Il tutto, dopo dieci anni di blocco, con l’avallo pure da chi, i sindacati rappresentativi, avrebbe dovuto tutelare i dipendenti meno pagati della pubblica amministrazione italiana in tutti i modi e fino all’ultimo. Piuttosto che svenderli”.

A questo punto, diventa fondamentale quello che accadrà a metà aprile: il rinnovo delle Rsu di categoria, per la prima volta dopo 30 anni, potrebbe infatti portare a sedersi al tavolo delle trattative nazionali un nuovo sindacato nazionale. Per questo motivo, l’Anief ha presentato 5mila liste in tutto il territorio nazionale, grazie a 7.500 candidati di cui uno su sette Ata: ecco perché, considerando che il giovane sindacato ha chiuso il 2017 con 41 mila deleghe certificate, stavolta si candida ufficialmente alla rappresentatività.

Per l’Anief, il CCNL 2016/2018 – che ha portato ridicoli aumenti stipendiali al personale, lontani dal coprire anche solo inflazione – è solo un’applicazione ossequiosa della Legge 107/2015: per questo motivo, il contratto va riscritto per intero, affinché il diritto nelle aule scolastiche non si spieghi soltanto ma si rispetti anche nei rapporti con l’amministrazione centrale: tra i più colpiti, ci sono i dipendenti neo assunti (a cui è stata confermata l’abolizione del primo gradino stipendiale) e il personale con oltre 27anni di servizio, ma anche i vicari (a cui è stata tolta l’indennità di presidenza) e i Dsga (a cui si continua ad applicare la temporizzatore nei passaggi di ruolo).

Tra le battaglie che verranno intraprese dall’Anief al tavolo delle trattative c’è anche quella sugli accordi finora raggiunti sulla mobilità e sulle liquidazioni. E la valorizzazione degli amministrativi, dei tecnici e dei collaboratori scolastici, trattati dagli ultimi Governi come delle comparse che operano nelle scuole. Per non parlare del personale di ruolo, a cui viene ancora fatta una ricostruzione di carriera con conteggio parziale dei servizi svolti. Oppure dei precari storici, che il Partito Democratico aveva progettato di assorbire indistintamente nei ruoli dello Stato, e che invece ora si ritrovano espulsi dalle GaE (le maestre e i maestri con diploma magistrale) oppure con la prospettiva di non lavorare più nemmeno come supplenti annuali perché, con la riforma Renzi-Giannini, le direttive Ue e dei giudici transnazionali di assunzione automatica a tempo indeterminato dopo 36 mesi di servizio sono state incredibilmente sovvertite.