Per i dipendenti pubblici stipendi fermi, stabilizzazione e carriera ridotte: dov’è la Costituzione?

“In un Paese moderno e giusto, la Festa della Repubblica serve anche a ricordare alle istituzioni che tutti i cittadini sono uguali e hanno i medesimi diritti: non si comprende perché i dipendenti pubblici italiani debbano oggi ancora essere penalizzati sul fronte della stabilizzazione, degli stipendi e della carriera”: lo ha detto stamane Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, a Copenhagen in un incontro della Cesi, la Confederazione europea dei sindacati indipendenti che raccoglie organizzazioni sindacali di differenti paesi europei.

“Rasenta quasi l’imbarazzo – ha detto Pacifico – raffigurare ai colleghi europei rappresentanti dei lavoratori, quanto sta accadendo in Italia ai dipendenti pubblici, privi del rinnovo contrattuale più di sei anni e con quelli della scuola che attendono l’adeguamento dal 2009. Ricordare loro che le norme in vigore nella nostra Penisola, violano almeno sette articoli della Costituzione italiana e tre direttive europee, la cui adozione avrebbe garantito tutele ai cittadini lavoratori statali. E che quindi l’attività professionale dei lavoratori statali non risponde alle norme europee: sono penalizzati per la mancata tutela del diritto all’avvicinamento alla famiglia, per un accesso ritardato ai pubblici uffici, per una retribuzione iniqua, per una ricostruzione di carriera incompleta e per una pensione e liquidazione inadeguata”.

“Riteniamo assurdo – ha detto ancora il sindacalista Anief-Cisal – che proprio i lavoratori pubblici, chiamati, per definizione, a difendere quotidianamente al rispetto della legge e alla sua corretta adozione, siano trattati in questo modo. Ci sono, invece, tanti articoli della Costituzione, espressione massima della Repubblica italiana, che per gli ‘statali’ vengono oggi ancora sistematicamente calpestati: oltre all’articolo 1, abbiamo il 3, poiché non tutti i lavoratori statali hanno di certo ‘pari dignità sociale’. Ma anche il 4, nella parte in cui si dovrebbero creare le condizioni che agevolino il ‘diritto al lavoro’ e promuovano ‘le condizioni che rendano effettivo questo diritto’. Con le buste paga ferme da tempo, i governanti italiani sono riusciti nell’impresa di non applicare nemmeno l’indennità di vacanza contrattuale”.

“Eppure l’indennità di vacanza contrattuale – ha continuato Pacifico – rimane l’unico finanziamento idoneo a risarcire il lavoratore nelle more dello stanziamento delle risorse economiche: per questo, dovrebbe per legge essere corrisposta come una sorta di anticipo dei futuri adeguamenti di stipendio, nella misura del 50% dell’inflazione ufficiale. Ma tale principio è valso solo per il privato, dove gli aumenti stipendiali sono stati del 20%. Per questo, il sindacato continua a chiedere l’adeguamento dei valori dell’indennità di vacanza contrattuale alla metà dell’inflazione, come registrata a partire dal settembre 2015 rispetto al blocco vigente dal 2008”.

Nei giorni scorsi, l’Istituto nazionale di Statistica ha ricordato che degli oltre 8 milioni di lavoratori in attesa del rinnovo, quasi 3 milioni operano nel pubblico impiego, dove da quasi sette anni vige il blocco della contrattazione: i prezzi in deflazione non bastano a ridare slancio ai consumi. E a febbraio 2016 si è toccato un nuovo minimo storico degli stipendi. Un’altra grave conseguenza della deflazione è il punto più basso delle retribuzioni mai registrato in 34 anni di serie storiche, dal 1982. Tutto ciò accade come se la Consulta, nell’estate del 2015, non avesse mai dichiarato illegittimo il blocco stipendiale. Anche il futuro non promette nulla di buono: leggendo l’ultimo Documento di Economia e Finanza, dobbiamo aspettarci una riduzione stipendiale per gli anni 2017 e 2018 (rispettivamente -0,8 e -0,2 per cento), per poi stabilizzarsi nel 2019. Con l’indennità di vacanza contrattuale che potrebbe ancora rimanere “congelata” almeno sino al 2018 e forse anche fino al 2021.

“A pesare negativamente sugli stipendi – ha aggiunto il sindacalista autonomo – c’è anche il conteggio incompleto della carriera scolastica: non importa se è stato svolto da docente precario o di ruolo. Pochi giorni fa, lo ha ribadito il tribunale del lavoro di Torino, che ha risarcito con oltre 32mila euro un’insegnante donna, entrata in ruolo nel 2015 ma la cui prima supplenza risaliva al lontano 1989, conferendo nei suoi confronti i medesimi scatti di anzianità previsti per il personale di ruolo. Oltre al risarcimento, alla docente è stato collocato nel “gradone” di competenza, con un incremento mensile di oltre 700 euro. Non è giusto che per ottenere un diritto si debba ancora ricorrere in tribunale”.

“Per festeggiare il 2 giugno – ha continuato Pacifico – va rispettato prima di tutto l’articolo 36 della Costituzione: non può essere lesa la dignità professionale del cittadino che lavora per il benessere della nazione. E anche l’articolo 39, che prevede l’adozione di un contratto di lavoro, con l’aumento dello stipendio adeguato al costo della vita. Ma pure l’articolo 117, comma 1, che impone al legislatore nazionale e regionale di ottemperare agli obblighi comunitari. Mentre la direttiva 1999/70, voluta per prevenire l’abuso di precariato, continua ad essere elusa: vanno assunti i dipendenti, in possesso di titoli, che abbiano svolto almeno tre anni, pure non continuativi, di servizio su posto libero. Attendiamo, speranzosi, su questo punto che si esprima la Consulta”.

Tra i punti toccati dal presidente Anief c’è anche la mancata stabilizzazione di tanti precari della scuola, la cui unica “colpa” è esserci, riuscendo anche a discriminare una parte dei candidati risultati idonei ai concorsi pubblici. Eppure la Curia europea, nel punto 14 della sentenza di fine novembre, ha fatto esplicito riferimento ai pareri della Consulta italiana e del Tribunale di Napoli, affermando l’applicazione del decreto legislativo n. 368/2001 anche alle pubbliche amministrazioni scolastiche, come normativa attuativa della direttiva 1999/70/CE.

Pacifico ha quindi ricordato come in Italia venga sistematicamente elusa un’altra direttiva del vecchio Continente: la 88/2004, approvata per la tutela della famiglia e dei ricongiungimenti familiari da attuare per motivazioni lavorativo-professionali. Come nella scuola vanno inseriti nelle GaE tutti gli abilitati dopo il 2011. In Italia non trova ancora accoglimento la direttiva 14/2002 dell’Unione europea sulla consultazione e informazione dei lavoratori, anche precari: si mantiene lo stato di rappresentanza dei dipendenti pubblici ai soliti sindacati maggiori.