Narcoguerra. Cattura di El Chapo Guzman: morto un papa se ne fa un altro…

E’ sulle cronache dei media di tutto il mondo. Il boss dei boss del narcotraffico messicano, El Chapo Guzman, in ottimi rapporti con la nostrana ‘ndrangheta calabrese, è stato arrestato. La vicenda, i contorni, i fatti, i video, le storie… tutto è come se facesse parte di un film già visto e che vedremo per tanti altri anni, a meno che non si decida di cambiare strada. Gli Usa, ovviamente, principale mercato di consumo dei prodotti di El Chapo, si sono già mossi per estradare il boss e processarlo con la loro giustizia. Ma sembra che la cosa non sia così semplice: Guzman, ormai leone ferito, è per l’appunto ferito e non morto, e la semina di narcodollari che ha fatto in questi anni del suo incontrastato potere col cartello di Sinaloa, comprando anche più di quel mezzo mondo che avrebbe dovuto contrastarlo, continua a dare i suoi sperati e voluti frutti. Nonostante i potenti mezzi economici e dissuasivi degli Usa in Messico, la vicenda sarà lunga e non facile.
E nel frattempo?
Nel frattempo… niente! Morto un papa se ne fa un altro. O -meglio, visto l’ambito- il nuovo papa si farà da solo, coi soliti metodi iper-violenti che contraddistinguono il settore della delinquenza organizzata e articolata con poteri statuali (e non) in ogni angolo del mondo.
Fintanto che il problema non verrà affrontato alla radice, di “papi Guzman” ne avremo a iosa: col machete facile per la decapitazione di chiunque vi si opponga, col doppiopetto dei grandi business di riciclaggio bancario e industriale, col turbante dei contadini disgraziati dell’Afghanistan o degli altipiani del Marocco, coi laboratori olandesi delle psicodroghe o coi contadini disperati delle alture di Bolivia, coi guerriglieri del Triangolo d’Oro tra Thailandia e Birmania o coi campi di piantagioni in Albania, fino ai “campetti di cannabis” del nostro Stivale.
Problema da affrontare alla radice, per l’appunto. Ci stanno provando in alcuni Stati Usa e nel minuscolo Uruguay, mentre in Europa si tende solo a farsi meno male con un po’ di riduzione del danno (decriminalizzazione dei consumi a macchia di leopardo). All’Onu, fra qualche mesetto si affrontera’ il problema con una speciale sessione… ma non sarebbe una novita’ che prima che l’Onu si muova i Guzman di tutto il mondo continueranno ad imperversare, e a seminare morte e distruzione umana e civica. Per ora, possiamo solo fidare su alcune coraggiose politiche nazionali come, per l’appunto, quella dell’Uruguay e di alcuni Stati Usa tipo Colorado. Ma poco, troppo poco. Quasi inutile? No, ma solo tendenza. Con forti contrasti ovunque, anche e soprattutto da parte dei tantissimi (destra, sinistra o centro politico… c’è scarsa differenza) che continuano a credere che vietare sia istruttivo e salutare.
Ma noi, che viviamo nel 2016 e che siamo stufi di tutti i vecchi e nuovi Guzman e di chi li produce e alimenta, “diamoci una mossa”. Anche culturalmente. A partire dai nostri figli che si fanno gli spinelli negli intervalli a scuola tra una lezione e un’altra. Capire per meglio conoscere e meglio gestirsi. La battaglia è essenzialmente culturale, di quella cultura che ci deve poi portare a scegliere chi ci deve rappresentare nelle istituzioni, non solo perchè ci dia la pagnotta e il companatico, ma anche il cuore e la libertà. E noi siamo quelli della libertà d’azione e di pensiero, nel rispetto degli altri e, soprattutto, di scelta: libertà a cui i divieti fanno solo male.

Vincenzo Donvito, presidente Aduc