Governo invia messaggi-spot annunciando l’assunzione di 500 prof e mille ricercatori

Solo il 15% degli italiani tra i 25-64 anni ha un livello di istruzione universitario rispetto a una media Ocse del 32%, dal 2008 le iscrizioni sono in perenne calo e rispetto al 2005 i diplomati che proseguono gli studi si sono ridotti del 27,5%. Chi conosce l’Università lo sa bene: sono “dati che all’estero farebbero tremare governi ed esigerebbero un’analisi rigorosa delle cause e una repentina inversione di rotta”. Invece, parlando di Università, il premier Matteo Renzi si sofferma su annunci-spot che riguarda la prossima emanazione di un bando per l’assunzione di 500 professori universitari e mille ricercatori.

E poi? Il solito immenso vuoto. Eppure non ci vorrebbe molto per capire quale strada intraprendere. Quella che passa per un nuovo sistema di reclutamento e per l’abbattimento del precariato: oltre alla necessità di tornare ad investire nel settore (l’Italia è trentesima su trentatre paesi OSCE per spesa nell’università e addirittura ultima per percentuale del PIL), va poi abbandonato una volta per tutte l’equivoco di associare il merito con il numero di pubblicazioni.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief, “è giunto il momento ci configurare la valenza di un ricercatore e di un docente accademico in base alla qualità. E per farlo si deve verificare quanto il suo operato abbia effettivamente un impatto scientifico di spessore. Introdurre questo parametro valutativo, sarebbe propedeutico per mutare veramente il reclutamento. Perché senza la fine del precariato cronico qualsiasi discorso è inutile. A tal fine, è bene ricordare che le idoneità conseguite dagli aspiranti docenti universitari non possono scadere come lo yogurt”.

“Lo stesso discorso vale per i ricercatori, oramai perennemente lasciati a tempo determinato: si tratta di una figura centrale per migliorare gli esiti dei nostri atenei, per questo hanno bisogno di stabilità. Invece tanti di loro hanno 35-40 anni, svolgono attività scientifica da tempo, ma continuano ad essere lasciati in una condizione di incertezza totale. E non si pensi che la chiamata diretta possa risolvere il problema”, ammonisce Pacifico.

Il problema è che anziché realizzare una sintesi delle leggi approvate negli ultimi anni (L. 210/1998, L. 230/2005, D.lgs. 164/2006, L. 1/2009), riconoscendo una nuova fascia della docenza relativa alla categoria dei ricercatori, si è deciso di cancellarne l’esistenza, attraverso la loro messa a esaurimento oppure di precarizzarne il ruolo, con la stipula di soli contratti a tempo determinato. La Legge n. 1/2010 sembrava avesse risolto il problema, mettendo in “palio” 5mila posti per il primo gradino della ricerca, ma poi ci ha pensato la 240/2010 a sancire la precarizzazione del personale dell’Università, cancellando la figura del ricercatore a tempo indeterminato dopo la sua messa ad esaurimento. Tra l’altro, in un momento in cui ancora non erano stati nemmeno assunti tutti gli idonei a posto di associato e ordinario a seguito dell’espletamento dei primi concorsi dopo la riforma.

“Quella Legge, la 240 del 2010 – ricorda Pacifico –, ha avuto un molteplice valenza negativa, perché approvata anche in un momento di esigenza di forte ricambio del turn over, derivante a sua volta dai provvedimenti limitativi della fascia di età di permanenza in servizio dei professori universitari (70 anni), di risanamento finanziario dei debiti contratti dagli Atenei e di continua riduzione delle risorse erogate alle università. Che così hanno abusato, in cambio di un mero rimborso spese, di insegnanti esperti e cultori delle varie materie: andando ben oltre il 5% massimo consentito. Nel frattempo, le tasse d’iscrizione, richieste dagli atenei agli studenti fuori corso, sono aumentate tra il 25% e il 100%”.

Della Carta europea dei ricercatori, della Raccomandazione della Commissione delle Comunità europee n. 251, dell’11 marzo 2005, e del Codice di condotta per l’assunzione dei Ricercatori, i governi degli ultimi anni non hanno avuto alcun rispetto. Lo scorso anno anche il Governo Renzi ha dato il suo contributo: con la Legge di Stabilità 2015, sono stati introdotti nuovi tagli al fondo di funzionamento ordinario dell’Università pubblica, pari a 98 milioni in tre anni a partire dal 2016. Così come è stata approvata la riduzione di 140 milioni per gli FSRA, di 42 milioni agli enti di ricerca e di 1 milione all’Afam, l’Alta Formazione Artistica e Musicale, sempre più in decadimento.

E sempre dieci mesi fa, il titolare del Miur, Stefania Giannini, ha firmato e pubblicato il decreto con il nuovo riparto del Fondo di finanziamento ordinario alle università statali e sul “costo standard” di formazione per studente in corso, agganciando lo stanziamento del 20% delle risorse non più a criteri storici, ma alla qualità e alla tipologia dei servizi offerti agli studenti. Con gli atenei collocati in contesti più svantaggiati e con più abbandoni, ad iniziare da quelli del Sud, destinati ad affondare. Ora, il primo rappresentante del governo sostiene che tutto il sistema cambierà in meglio grazie a 500 nuovi docenti e mille ricercatori: un’affermazione che si commenta da sola.

Anief ricorda che tutti i ricercatori e i docenti che hanno svolto attività a vario titolo, certificato, nelle università per oltre tre anni, anche non continuativi, hanno diritto alla stabilizzazione: per i primi, i ricercatori, va infatti ripristinata la figura e prevista la messa in ruolo; per i secondi, coloro hanno fatto didattica, deve essere allo stesso modo prevista una norma che li vada ad inquadrare nella copertura dei corrispettivi insegnamenti di laurea come professore associato. Tutti coloro che sono interessati a ricevere ulteriori informazioni possono scrivere a universita@anief.net